Preghiera
Il tempo che abbiamo a disposizione non è infinito. Ci sarà un momento in cui cesserà questo tempo e si dissolverà questo mondo. Un popolarissimo proverbio raccomanda: chi ha tempo non aspetti tempo. Significa che ogni momento della nostra vita è prezioso e va speso bene. Lo sottolinea con profondità e chiarezza il noto filosofo francese Jean Guitton (1901-199), protagonista del Concilio Vaticano II, dove fu primo uditore laico, e grande amico di papa Montini. In questa preghiera Guitton sottolinea l’importanza di usare bene i giorni della nostra vita, chiede la sapienza di imparare ad amare il tempo.
«Dio mio, insegnami ad usare bene il tempo che tu mi dai e ad impiegarlo bene, senza sciuparne.
Insegnami a prevedere senza tormentarmi, insegnami a trarre profitto dagli errori passati, senza lasciarmi prendere dagli scrupoli.
Insegnami ad immaginare l’avvenire senza disperarmi che non possa essere quale io l’immagino.
Insegnami a piangere sulle mie colpe senza cadere nell’inquietudine.
Insegnami ad agire senza fretta, e ad affrettarmi senza precipitazione».
Insegnami ad unire la fretta alla lentezza, la serenità al fervore, lo zelo alla pace.
Aiutami quando comincio, perché è proprio allora che io sono debole.
Veglia sulla mia attenzione quando lavoro, e soprattutto riempi tu i vuoti delle mie opere.
Fa’ che io ami il tempo che tanto assomiglia alla tua grazia
perché esso porta tutte le opere alla loro fine e alla loro perfezione
senza che noi abbiamo l’impressione di parteciparvi in qualche modo.
Vangelo
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
- La visita che l’angelo Gabriele fa alla vergine Maria avviene dopo quella al sacerdote Zaccaria. L’evangelista Luca racconta di due apparizioni. La prima, avvenuta in Giudea, a Gerusalemme, nel tempio, e la seconda in Galilea, a Nazareth, in una umile casa. In ciascuna delle due, l’angelo Gabriele porta l’annuncio di un concepimento e di una nascita: prima di Giovanni e poi di Gesù. Due concepimenti impossibili. Il primo perché Elisabetta, moglie di Zaccaria, “era sterile” e perché sia lei che Zaccaria “erano avanti negli anni”. Il secondo perché Maria era “vergine” e “promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe”. Maria, cioè, stava vivendo quella che, al tempo, era soltanto la prima fase di un matrimonio: quando, pur essendo già concluso il contratto matrimoniale, non era ancora iniziata la convivenza dei due nubendi;
- “Nulla è impossibile a Dio”. Le parole che l’angelo Gabriele rivolge a Maria rivelano come possano mutare non soltanto i cicli della natura, passando dalla sterilità alla fecondità. Nel primo capitolo del suo vangelo, Luca registra una serie di passaggi che non possono essere trascurati. Dalla Giudea si passa alla Galilea. Da Gerusalemme a Nazareth. Dal tempio alla casa. Da Zaccaria a Maria. Si passa da una regione centrale ad una periferica. Dalla città santa ad un villaggio sconosciuto che mai è nominato nelle Sacre Scritture. Dall’imponenza del tempio alla semplicità di una casa. Da un uomo consacrato a una donna profana. Descrivendo questa serie di passaggi, l’evangelista Luca apre un quadro che mai avremmo creduto fosse possibile. Un quadro (quello che ha come soggetto Maria e come ambiente Nazareth) che non presenta più segni di centralità, di grandezza e di sacralità.
- Avvertiamo un certo disorientamento davanti a quello che sta avvenendo e sta trasformando profondamente l’ambiente nel quale siamo cresciuti e abbiamo vissuto fino a questo momento. Si presenta davanti a noi un quadro che mai avremmo pensato di vedere. Si sta dissolvendo un sistema rimasto in piedi per secoli. Si vanno riducendo le forme, legittimate dalla tradizione, con cui esprimevamo i valori che sostengono il sistema nel quale sentiamo ancora di essere inseriti. Le processioni, ad esempio, sono sempre meno e quelle che si fanno diventano insignificanti a causa di un numero insufficiente di partecipanti. A fatica riusciamo a mantenere con il loro significato le festività religiose perché frenati da una preoccupazione eccessiva di tutela della sensibilità di un numero sempre maggiore di cittadini provenienti da altre culture. Un sistema sembra essere soppiantato da un altro. Un altro sistema che non ruota più attorno ad una Chiesa grande non solo numericamente e forte moralmente.
- Una Chiesa non più maggioritaria e non più al centro, con la tendenza ad impoverirsi (non solo economicamente) è quella descritta dal vescovo di Torino (oggi cardinale) in un recente articolo nel quale riflette sul suo futuro e sulle responsabilità che dovrà assumersi:
“Come dobbiamo ragionare di fronte ai numeri della partecipazione religiosa in forte calo o alla notizia di intere parrocchie che vengono cancellate? Per rispondere a queste domande parto da lontano, dall’inizio della vicenda cristiana. Che cosa avvenne all’inizio? … Coloro che tra i giudei e tra i pagani aderirono a Gesù, credendo che fosse il figlio di Dio, decisero di porre la propria vita nella vita di Cristo morto e risorto. Erano una minoranza rispetto alla stragrande maggioranza, che era fatta di pagani. Insomma, la Chiesa non nacque potendo contare sull’appartenenza di tutti. Non nacque neppure con il consenso di tutti.
… Poi quella stagione finì. Lasciato alle spalle il clima delle origini, il cristianesimo divenne una religione riconosciuta pubblicamente e poi addirittura divenne “la religione” dell’Impero romano, smantellando tutte le altre religioni. L’appartenere alla Chiesa e l’appartenere alla società dell’impero divennero un tutt’uno: si nasceva cristiani per il fatto stesso di nascere nelle regioni dell’impero. … Dal IV secolo in avanti noi abbiamo ereditato questo nuovo modo di essere Chiesa maggioranza, che si è tradotto in tante forme strutturali esteriori. La Chiesa si è ramificata in tutti i territori, coprendoli interamente con i propri servizi.
… Nei secoli recenti, sotto i colpi della cultura moderna, la sovrapposizione fra società civile e Chiesa ha cominciato a incrinarsi. … Siamo tornati a essere una Chiesa più simile a quella degli inizi della vicenda cristiana. La grande fatica che oggi dobbiamo affrontare è quella di ripensarci, non essendo più la totalità, forse neppure più la maggioranza. Ritrovando la freschezza degli inizi, quando i cristiani erano una minoranza. Sappiamo di trovarci a un guado, in un passaggio: ciò che abbiamo ereditato, il modo di essere Chiesa dei secoli passati, non esiste più. Si tratta di passare a un altro modo, che però non abbiamo ancora in mente e soprattutto non abbiamo nella carne.
… La Chiesa di oggi non è solo minoritaria, ma in forte invecchiamento. In verità non solo la Chiesa, ma l’intera società occidentale è in forte invecchiamento. I motivi sono moltissimi. C’è poca fiducia nella vita e nel futuro, viviamo pochi orizzonti di speranza, anche perché siamo immersi in una cultura che non offre spiragli di speranza. Rimanere desti rispetto alla cultura nichilista è uno dei grandi compiti dei cristiani in questo tempo. La scarsa adesione dei giovani all’esperienza cristiana mi fa pensare che la Chiesa oggi non è più percepita come risorsa spirituale. È una grave povertà, se consideriamo la ricchezza straordinaria della nostra tradizione spirituale. … Ho la sensazione che nessuno attinga più a queste fonti. … I giovani chiedono proposte alte. Ma, lo ripeto, la Chiesa può offrire soltanto ciò che vive.
… In definitiva, io credo che molti cristiani non sentano più l’urgenza o la bellezza di annunciare e testimoniare Gesù Cristo agli altri. Credo che in maniera sottile molti cristiani facciano proprio il nichilismo contemporaneo o, se volete, quella forma di nichilismo che è l’assoluto relax, il relativismo. Una cosa vale l’altra. Ma io non sto nella Chiesa e non sono cristiano se una cosa vale l’altra. Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti: che non c’è nessun altro nome in cui c’è salvezza, se non Gesù Cristo. Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano.
- “«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola»”. Maria risponde all’angelo mostrando la sua disponibilità nei confronti del Signore e della sua iniziativa. Lo può fare perché riconosce di possedere quella caratteristica che permette a Dio di realizzare il suo disegno. Qual è questa caratteristica? Questa caratteristica è la “piccolezza”. In essa, Dio trova la condizione ideale per operare i suoi prodigi. La “piccolezza”, ritrovata dalla Chiesa dopo secoli, è da considerarsi un’opportunità provvidenziale per continuare a vivere il compito affidatole da Gesù prima di lasciare questo mondo. Una riflessione interessante sulla figura di Maria è quella proposta da don Giuseppe Forlai nella sua “Piccola mariologia per continuare a credere”, edita da SanPaolo, nel 2023:
“Dio ha iniziato a riprendersi in mano la storia … da un piccolo borgo della Galilea, da Nazaret. Da lì, si dice, nessuno caverebbe qualcosa di buono: gente troppo contaminata, forse poco fedele alla Legge. Ma a Dio piace smentire i pensieri degli uomini, soprattutto dei presunti credenti e dei teologi; sceglie, direbbe san Paolo, ciò che nel mondo è disprezzato e ignobile per confondere i benpensanti (cfr. 1Cor. 1m,28). È sempre andata così. L’uomo quando deve mettere mano alle sue imprese sceglie la forza … Dio, invece, sceglie la debolezza, l’imprevisto, l’umiltà delle cose palesemente vere. Questo è lo stile del Padre celeste. … Per questo ha scelto il vecchio Abramo, il balbuziente Mosè e il mingherlino Davide.
La persona di Maria di Nazaret emerge da questo sfondo per sposarsi esattamente con lo stile di Dio. Ella è la personificazione di ciò che serve all’Onnipotente per cambiare la vita della gente rispondendo alle attese più profonde.
… Ecco la parola risolutiva: umiltà. Diceva sant’Agostino che per essere graditi a Dio ci vogliono tre virtù: l’umiltà, l’umiltà e … l’umiltà! Perché Dio è irresistibilmente attratto dall’umiltà? Perché solo con gli umili Dio può fare il suo mestiere; solo con gli umili Egli può mostrarsi per quello che è, cioè il risolutore, l’avvocato, il protettore. L’umiltà è il contrario della superbia e in particolare di un aspetto di essa, ovvero l’ipocrisia.
“Ipocrita” è la creatura che recita la parte di Dio chiedendo al Padreterno di garantirgli l’applauso della gente. L’ipocrisia vive di una menzogna fondamentale: io sono dio, sono speciale. L’umiltà, al contrario, vive di una semplicissima verità: non sono dio, e lo speciale non sono io. … L’ipocrisia è madre del fallimento perché costruisce personalità sempre più affaticate nel far credere agli altri ciò che in realtà non si è; al contrario l’umiltà è madre di serenità perché consente alla persona di gioire per ciò che si è e si ha, liberandosi dalle aspettative altrui, quasi sempre irrealistiche.
Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, ora sceglie Maria perché ella è semplicemente umile. Attenzione: la Donna di Nazaret non diventa umile, non si esercita nella virtù. Ella è umile. Guarda dentro di sé e si riconosce tale. La creatura mortale e bisognosa non può che essere umile, perché l’umiltà è prima di tutto la sua verità, ancor prima che una virtuosa conquista. Dio si è accorto dell’umiltà di Maria come se n’è accorta lei prima della visita dell’angelo. Lo confesserà candidamente ad Elisabetta: il Signore «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc. 1,48)”.
Per aiutare una risonanza.
Cosa temo dovendo accettare una condizione di “piccolezza”, di “minoranza”? Cosa occorrerebbe cambiare perché si possa vedere un modo diverso di essere chiesa, con uno stile più vicino a quello con cui Dio sceglie di adoperarsi? A cosa non possiamo rinunciare perché la nostra esperienza di comunità risulti essere serena e libera da aspettative irrealistiche?
Preghiera
Dalla raccolta di Messe della Beata Vergine Maria nel Tempo di Avvento.
Dio fedele,
che nella beata Vergine Maria
hai dato compimento alle promesse fatti ai padri,
donaci di seguire l’esempio della Figlia di Sion
che a te piacque per l’umiltà
e con l’obbedienza cooperò alla redenzione del mondo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.