Avvento 2024 – I Incontro

Preghiera

Viviamo in tempi frenetici, ma forse è sempre stato così. Le ore non bastano mai, gli impegni si accavallano, coniugare famiglia e lavoro risulta sempre più difficile. Eppure, le cose importanti hanno bisogno di tempo, spesso si costruiscono pietra su pietra, crescono goccia su goccia e tu puoi solo aspettare che maturino, usando tutta la pazienza che hai.

«Non amo attendere nelle file.

Non amo attendere il mio turno.

Non amo attendere il treno.

Non amo attendere prima di giudicare.

Non amo attendere il momento opportuno.

Non amo attendere un giorno ancora.

Non amo attendere perché non ho tempo e non vivo che nell’istante.
D’altronde tu lo sai bene, tutto è fatto per evitarmi l’attesa:

gli abbonamenti ai mezzi di trasporto e i self-service,

le vendite a credito e i distributori automatici,

le foto a sviluppo istantaneo, i telex e i terminali dei computer,

la televisione e i radiogiornali.

Non ho bisogno di attendere le notizie: sono loro a precedermi.
Ma tu Dio tu hai scelto di farti attendere il tempo di tutto un Avvento.

Perché tu hai fatto dell’attesa lo spazio della conversione,

il faccia a faccia con ciò che è nascosto, l’usura che non si usura.

L’attesa, soltanto l’attesa, l’attesa dell’attesa, l’intimità con l’attesa che è in noi,

perché solo l’attesa desta l’attenzione e solo l’attenzione è capace di amare».

Preghiera Jean Debruyrnne (1925-2006) sacerdote francese morto in Libano, a lungo cappellano delle guide scout transalpine.

Vangelo

In quel tempo, Gesù disse:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

  • I versetti proposti come testo evangelico sono tratti da quella pagina nella quale l’evangelista Luca riporta le parole che Gesù ha rivolto ai discepoli che con lui stavano nel tempio di Gerusalemme. Rispondendo a chi faceva osservare la bellezza e l’imponenza del tempio, Gesù annuncia la sua distruzione. Questa sciagura sarebbe stato il segno che nulla in questo mondo sarebbe durato per sempre. Ci sarà un momento in cui cesserà questo tempo e si dissolverà questo mondo. Quel momento coinciderà con la venuta del Figlio dell’uomo;
  • Gesù recupera dalle pagine dell’Antico Testamento, nella predicazione dei profeti, un’immagine familiare a chi lo ascolta nel tempio. E rivela di essere lui quella figura di “uno simile a un figlio di uomo” che il profeta Daniele aveva visto venire con le nubi del cielo. Una figura alla quale: “furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”. Un potere tale da permettere al “Figlio dell’uomo” di legare a sé il destino dell’intera umanità;
  • Gesù annuncia di essere lui il “Figlio dell’uomo” e che, mandato da Dio, sarebbe venuto di nuovo alla fine. Gesù chiede ai discepoli di stare preparati. “«Vegliate in ogni momento … perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo»”. I discepoli devono mostrarsi pronti per non lasciarsi sorprendere e travolgere da quanto sarebbe dovuto ancora accadere.
  • Annunciando la distruzione del tempio e la caduta di Gerusalemme, Gesù mostra la caducità dell’esistente. Nulla è destinato a rimanere per sempre. Ci accorgiamo di questo quando, ad esempio, guardiamo alla nostra esperienza di chiesa. Sembra ormai che stia definitivamente dissolvendosi il tessuto ecclesiale nel quale siamo cresciuti. Non ci sono preti sufficienti perché sia assegnato un parroco ad ogni parrocchia. Viene a mancare quello che è stato, per secoli, un collante importante. Una comunità che non è più coesa rischia di assottigliarsi fino anche a scomparire.
  • Gesù chiede ai suoi discepoli di “vegliare”. Così avrebbero dovuto affrontare ciò che sarebbe dovuto ancora accadere. L’invito di Gesù ci spinge a vivere l’attuale momento di crisi, che mette seriamente a rischio la tenuta di un sistema, non assumendo un atteggiamento di passività. Nella Pentecoste del 2023, il Vescovo Corrado così scriveva alla comunità diocesana invitandola a partecipare al lavoro di ridefinizione del suo modo di essere Chiesa:

“È nostro desiderio non subire le circostanze del presente, uscire dal lamento sterile, mettere mano al nostro modo di essere comunità, per un’esperienza più bella e più ricca di Chiesa. Vogliamo accettare senza rimpianti e nostalgie il tempo che Dio ci dona e orientarci con fiducia verso quella conversione pastorale in senso missionario, più volte evocata da Papa Francesco.

Sono sotto gli occhi di tutti le trasformazioni profonde nel vivere e nel sentire delle persone, che coinvolgono anche l’esperienza cristiana: il volto dei paesi e delle nostre città è già cambiato in questi ultimi decenni e cambierà ancora. Tutto questo diventa motivo per domandarci: come possiamo intercettare l’esistenza di tanti uomini e donne, soprattutto delle giovani generazioni? Come evitare il rischio di una pastorale di corto respiro, che non sia semplicemente funzionale alle strutture che abbiamo? Come far sì che il calo crescente delle vocazioni, e quindi dei sacerdoti, non renda il ministero sempre più frammentato ed esteriore? Come valorizzare meglio figure che condividono il loro servizio nelle nostre comunità, come i diaconi permanenti, le persone consacrate, i fedeli laici?

In questo orizzonte il ripensamento delle unità pastorali non sarà solo una questione di revisione dei confini parrocchiali, ma un’occasione provvidenziale per ridisegnare il modo di essere Chiesa oggi e per operare un discernimento pastorale ed ecclesiale, mettendoci in ascolto del vissuto e della storia delle nostre comunità, anche con le loro ferite e attese. Vorrei che fosse chiaro che il cammino che stiamo per avviare non è solo per rispondere a un’emergenza (il calo dei preti, la fatica di tenere attive le strutture, la diminuzione dei fedeli che partecipano alla messa e alla vita delle parrocchie), ma è la via per lasciarci interpellare dal Signore e per scoprire che possono nascere o riprendere respiro aspetti ed esperienze belle per ritrovare il gusto di essere davvero comunità cristiane nell’oggi”.

  • “«Vegliate in ogni momento pregando»”. Gesù chiede ai suoi discepoli di vegliare pregando. La preghiera sembra essere il primo e, forse, l’unico strumento utile ad allontanare la tentazione di subire passivamente le circostanze. Il Vangelo ci chiede di viverle assumendo l’atteggiamento dell’orante. Cosa fa chi prega? Egli sta di fronte alla persona a cui si rivolge. E ci sta riconoscendola come una persona affidabile a cui chiedere sapendo di riuscire ad essere esaudito. Una riflessione interessante sul tempo liturgico dell’Avvento è quella che ha proposto il monaco Goffredo Boselli sul sito della propria comunità:

“«Vegliate in ogni momento!», ci comanda il Signore. L’esatto contrario della vigilanza è la noncuranza. L’Avvento è il tempo dell’uomo e della donna che lottano contro lo spirito della noncuranza che si manifesta in tanti e diversi modi. Si manifesta come indifferenza e insensibilità verso le persone, come superficialità nei rapporti, disinteresse verso le situazioni e i momenti, inconsapevolezza del peso delle parole e dal valore del linguaggio, incuria degli oggetti, trascuratezza dei luoghi. La noncuranza prende la forma della dimenticanza, della mediocrità assunta a canone, della trascuratezza che a lungo andare amareggiano la vita propria e quelle altrui. La negligenza, le piccole e reiterate omissioni poco a poco erodono il desiderio fino ad annientarlo. La noncuranza è di chi ha uno smisurato amore per sé. Esistere solo per sé stessi porta a non vedere l’altro, non riconoscerlo per quello che è, condannarlo all’irrilevanza fino a toglierli la vita senza ucciderlo. Come credente, come posso attendere il Signore se non mi accorgo di chi mi vive accanto?

“State attenti a voi stessi”, ammonisce il Signore, ossia vegliate su voi stessi, “che i vostri cuori non si appesantiscano, in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Il cuore appesantito, la dissipazione e l’ottundimento mentale sono forme di estraniazione dall’altro, di indifferenza, di noncuranza, di disinteresse di tutto e di tutti. Al contrario, vegliare significa opporsi tenacemente all’incuria esercitando il desiderio di vedere volti e ascoltare voci finanche di animali e di cose. Veglia e attende colui che non si stordisce alienandosi dalla realtà ma ha cura e interessamento per tutti e tutto. Aver cura significa riconoscere il valore di ogni singola persona e di ciascuna relazione. Vuol dire riservare grande attenzione alla singola parola, al gesto più semplice e quotidiano, parole e gesti che giorno dopo giorno fanno una vita. Veglia chi dichiara che nulla e nessuno gli è estraneo, e rinuncia a dire: “Non mi interessa”.

“Vegliate in ogni momento!”, ci comanda il Signore. Ma si può anche fingere di vegliare. Simulare la vigilanza è ipocrisia: all’esterno mostrarsi vigilante ma dentro dormire. L’esatto contrario della vigilanza è l’ipocrisia, la falsità, l’insincerità, la finzione e la doppiezza. Colui che veglia è l’opposto dell’ipocrita perché per vegliare occorre essere tutto lì dove si è, senza escludere nulla di sé. L’attitudine interiore della vigilanza domanda l’interezza e non la doppiezza. I comportamenti personali diventano comportamenti sociali e prendono il nome di conformismo, perbenismo, moralismo. Demandare ad altri è l’esatto contrario del vigilare. Non vigilare è delegare invece di assumere in prima persona la responsabilità, la scelta, l’onere. Per essere vigilanti è necessario essere liberi da sé stessi e dal giudizio degli altri. Infatti, l’opposto dell’ipocrisia è la libertà. “Il tuo volto Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto”, come si può pregare dicendo di cercare il volto del Signore quando ci si nasconde il proprio vero volto agli altri?

Per aiutare una risonanza

Cosa fare per evitare di scivolare nell’indifferenza, nell’incuria, nella trascuratezza? Come porre un argine alla mediocrità e all’ipocrisia? Quali attenzioni recuperare perché ciascuno sia riconosciuto e rispettato nella sua originalità? Quali occasioni o spazi si potrebbero creare per permettere a ciascuno di mostrare il proprio valore?

Preghiera

Dal Messale Romano al Lunedì della Prima Settimana di Avvento.

Il tuo aiuto, o Padre,
ci renda perseveranti nel bene
in attesa di Cristo tuo Figlio;
quando egli verrà e busserà alla porta,
ci trovi vigilanti nella preghiera,
operosi nella carità fraterna
ed esultanti nella lode.
Egli è Dio, e vive e regna con te e con lo Spirito Santo

per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Diocesi di Pavia