11 Novembre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 11 Novembre 2012

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver fatto luce sul personaggio centrale della nostra vicenda, Giuseppe, restano da illuminare le figure dei fratelli e di Giacobbe. Chi sono i fratelli alla luce degli avvenimenti ricordati?

Il testo riferisce espressamente che nei confronti di Giuseppe si assiste ad un crescendo di invidia e di odio da parte dei fratelli. Di questo atteggiamento fornisce anche le ragioni: il fatto che Giuseppe ingenuamente abbia informato il padre circa i loro pettegolezzi (v 2); il fatto che Giuseppe sia oggetto di una particolare predilezione da parte del padre (v 3); infine, l’insinuazione provocatoria contenuta nei sogni di una preminenza su tutti i familiari.

Le parole con cui il testo documenta questo crescendo di invidia e di odio sono forti (4b; 5; 8; 11). Il v 11, in particolare, riconduce l’odio all’invidia. È probabile pensare che san Giovanni Evangelista, quando ha scritto nella sua prima lettera che l’odio ha in sé una carica omicida (Cfr. 1 Gv 3,15), avesse presente insieme alla tragica vicenda di Caino e Abele (un fratello che uccide il fratello), anche quella di Giuseppe e i suoi fratelli.

In effetti, questo odio generato dall’invidia, avrà come esito l’eliminazione di Giuseppe. È vero che i fratelli si tratterranno, sia pur per circostanze abbastanza fortuite, dall’uccidere fisicamente il fratello; tuttavia, raggiungeranno il loro scopo: disfarsi di lui e farlo scomparire – per quanto questo sia una cosa possibile – dalla loro vita.

In questo modo hanno raggiunto ciò che volevano: d’ora in avanti non ci sarà più quel fratello scomodo a turbare l’armonia familiare con le sue ingenuità, con i suoi sogni, con il posto di privilegio che gli viene concesso in casa.

Sullo sfondo dell’eliminazione di Giuseppe da parte dei fratelli si intravede la figura di Giacobbe. Si può dire che alla radice di questa dinamica fratricida c’è l’odio proprio verso il padre colpevole di amare in modo diverso quel figlio. Il male fatto a Giuseppe, ultimamente, ha come obiettivo proprio Giacobbe. Si colpisce il figlio prediletto allo scopo di colpire il padre.

Ritorno alla domanda iniziale: chi sono i fratelli alla luce di questi avvenimenti? C’è una risposta variegata data al riguardo dal Card. Martini e che merita di essere riportata per intero.

Ma la vedremo la prossima volta.

 

Don Luigi Pedrini

 

04 Novembre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 04 Novembre 2012

Carissimi Parrocchiani,

riprendendo la vicenda di Giuseppe, dobbiamo accennare ad una seconda trappola non meno insidiosa che, dopo i sogni fatti, si è presentata sul suo cammino.

E’ probabile che Giuseppe abbia pensato al futuro di grandi imprese prospettato dai sogni come un traguardo facile da conseguire e senza alcun prezzo da pagare. Questo modo di fantasticare sui sogni è tipico dell’età adolescenziale.

È proprio dell’adolescente fare grandi progetti, senza considerare minimamente il prezzo di fatica che comporta, sfidando le cose con quella disinvoltura che, peraltro, è anche la ricchezza dell’adolescenza: proprio questa disinvoltura nel coinvolgersi in esperienze importanti fa dell’adolescenza la stagione delle grandi idealità.

Dallo stato adolescenziale si esce nel momento in cui ci si rende conto che ogni traguardo serio della vita ha un suo prezzo: la disinvoltura che affretta le scelte cede, allora, il posto ad un atteggiamento di graduale e ponderato discernimento. Questo passaggio segna l’ingresso nell’età adulta.

È, allora, probabile, che Giuseppe, ancora adolescente, abbia abbracciato con piena disponibilità il progetto a cui indirizzavano i sogni e abbia pensato ad un successo facile, in poco tempo, a portata di mano, senza particolari difficoltà. Non sarà così. I sogni si realizzeranno, ma non nel modo in cui Giuseppe pensava e, soprattutto, non senza passare attraverso un lungo e sofferto cammino di purificazione interiore.

Da questo aspetto della vicenda di Giuseppe possiamo trarre un insegnamento anche per noi, in particolare riguardo ai sogni che coltiviamo circa il nostro impegno (di lavoro o di studio), il nostro futuro, la nostra famiglia, la comunità in cui viviamo.

È del tutto legittimo coltivare dei sogni. Anche Gesù ha avuto i suoi sogni: ha desiderato, in particolare, di salvare il mondo e su questo suo sogno il Maligno ha tentato di insinuarsi proponendogli la via facile dl successo e, così, distoglierlo da quella dell’umiliazione e della croce. Gesù ha smascherato la tentazione e l’ha rifiutata: non ha rifiutato il sogno, ma ha rifiutato un modo sbagliato di realizzarlo.

Così, anche per noi: nei nostri sogni dobbiamo distinguere ciò che vale e va tenuto (ossia la verità del sogno) e rifiutare, invece, ciò che è vanità o presunzione.

Nel fare questo lavoro di purificazione possiamo contare sull’illuminazione di Dio: Egli, infatti, nutre il desiderio di fare verità in noi e metterci in sintonia con il vero sogno che lui per primo ha su di noi: “renderci santi e immacolati di fronte a Lui nella carità” (Ef. 1,4).

 

Don Luigi Pedrini

 

28 Ottobre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 28 Ottobre 2012

Carissimi Parrocchiani,

in questa domenica, 28 ottobre, 11 ragazzi e tre ragazze della nostra parrocchia riceveranno per mano del nostro Vescovo Mons. Giovanni Giudici il sacramento della Confermazione e riceveranno per la prima volta il dono dell’Eucaristia.

È una tappa molto importante della loro vita, una di quelle luci con la quale il Signore rischiara il loro cammino cristiano.

L’augurio che vogliamo fare loro lo possiamo ricavare dal vangelo di questa domenica che racconta di Bartimeo che, guarito dalla cecità, comincia a seguire Gesù per la strada, diventando suo discepolo.

Anche noi auguriamo loro che l’incontro con il Signore attraverso i sacramenti sia davvero trasformante la loro vita come lo è stato per Bartimeo: In Gesù incontriamo il Signore della vita, colui che è sempre capace di rimetterci in piedi, di darci occhi nuovi, di far fiorire in noi nuovamente la speranza, di infondere in noi il coraggio di seguirlo e di testimoniarlo con la vita.

Riporto qui i nomi dei ragazzi e delle ragazze perché abbiamo ad essere loro vicini con la nostra condivisione e la nostra preghiera.

 1. B. Matteo

2. B. Simone

3. C. Jacopo

4. C. Alessandro

5. F. Giovanni Pietro

6. F. Andrea

7. G. Matteo

8. G. Riccardo

9. G. Roberto

10. G. Sofia

11. O. Giusi

12. P. Kevin

13. R. Irene

14. T. Filippo

don Luigi Pedrini

21 Ottobre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 21 Ottobre 2012

Carissimi Parrocchiani,

 dopo l’interruzione dovuta alla Sagra Parrocchiale e all’apertura dell’Anno della Fede, riprendiamo il filo della nostra riflessione. Prima, però, di metterci in ascolto della vicenda che è seguita al racconto dei due sogni, propongo una pausa riflessiva per far meglio luce sui personaggi implicati in questa scena biblica.

 Il primo personaggio sul quale ci fermiamo è Giuseppe e ci chiediamo: chi è Giuseppe in questo momento?

La vicenda dei sogni rende manifesta in lui una buona dose di ingenuità. La sua inesperienza di vita lo porta a non prendere sul serio i sentimenti di gelosia che serpeggiavano tra i fratelli, a passarvi sopra sbrigativamente senza considerare che essi, se non sono tenuti a freno, possono portare ad una lacerazione del tessuto familiare.

Pure segno di ingenuità è il fatto che Giuseppe non si renda conto del fastidio interiore che crea nei fratelli raccontando i sogni; la stessa cosa vale per il racconto del secondo sogno riferito, senza alcuna remora, ai genitori alla presenza di tutti i fratelli.

In sostanza, possiamo dire che Giuseppe è in questo momento ancora lontano da quella semplicità unita a prudenza, di cui parla Gesù nel vangelo.

Possiamo illuminare ulteriormente la figura di Giuseppe, cercando di entrare nella sua interiorità e renderci conto di che cosa poteva fantasticare dentro di sé a partire dai sogni fatti.

Forse, la prima trappola della fantasia in cui egli è caduto è stata quella di pensare ad una carriera di onori, che lo avrebbe portato molto in alto, al di sopra di tutti i fratelli. E’ vero che a ostacolare una prospettiva del genere c’era il fatto che egli non era il primogenito e che, pertanto, non aveva il diritto di esercitare il ruolo di guida in mezzo ai fratelli. È vero, tuttavia, che già c’erano dei precedenti in cui il diritto di primogenitura non era stato rispettato: così, Isacco aveva prevalso su Ismaele; ugualmente, Giacobbe su Esaù.

Di conseguenza, è probabile che Giuseppe abbia pensato: perché questo non potrebbe accadere anche per me? Non dovrò svolgere una missione importante a favore della mia famiglia ?

Questi potevano essere i pensieri che si insinuavano in lui a motivo dei sogni. Ed è del tutto comprensibile. Il problema è che questi pensieri, se non vengono assunti all’interno di un processo di purificazione, diventano deleteri e finiscono per incrinare l’armonia familiare. La sete di carriera – attesta l’esperienza – è la sorgente più prolifica di tanti falsi sogni e, alla fine, porta a guardare i fratelli non più come fratelli, ma come avversari su cui prevalere.

Questa è la prima trappola che ha insidiato Giuseppe.

don Luigi Pedrini

 

14 Ottobre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 14 Ottobre 2012

Carissimi Parrocchiani,

oggi iniziamo insieme, ufficialmente, nella nostra parrocchia l’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI.
Nella nostra Chiesa campeggerà in fianco all’altare la raffigurazione del ‘logo’ che è stato scelto come simbolo. Vi è raffigurata una barca, immagine della Chiesa, in navigazione sui flutti. L’albero maestro è una croce che issa le vele, che tese dal vento formano il trigramma di Cristo: IHS (sono le iniziali delle parole greche che significano: Gesù Figlio Salvatore). Sullo sfondo delle vele è rappresentato il sole che associato al trigramma, rimanda all’Eucaristia.
Il logo mette cosi in luce la centralità di Gesù, centro dell’universo e della storia e la missione che la Chiesa ha ricevuto di annunciarlo al mondo. La Chiesa è solo una barca esposta ai flutti impetuosi del mare della storia. E, tuttavia, è affidato a lei il compito dell’evangelizzazione del mondo. Nello svolgimento di questa missione ella può contare sulla presenza del Signore Risorto che la mantiene in cammino mediante la forza dello Spirito (è il vento che soffia nelle vele) e la nutre tramite l’Eucaristia.
L’Armo della fede è stato voluto da Benedetto XVI in concomitanza con il 50° Anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano IL Eppure, come ricordava venerdì mattina nell’omelia della Messa di apertura questa iniziativa non è per onorare una ricorrenza, ma perché noi oggi più ancora che cinquantanni fa abbiamo bisogno di ritornare alle sorgenti della fede. “In questi decenni -diceva il Papa – è avanzata la ‘desertificazione’ spirituale”. Tempo fa non sapevamo cosa potesse comportare il vivere in un mondo senza Dio; lo si poteva percepire da “alcune pagine tragiche della storia”, ora, invece – continua il Papa – ” lo vediamo ogni giorno attorno a noi. È il vuoto che si è diffuso”.

Il Papa però aggiunge subito una consolante parola di speranza. Dice:

Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuoi dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada.

Diventare testimoni della vita nuova che nasce dalla fede; diventare una bussola per gli uomini del nostro tempo che a tentoni cercano la strada: sia questo il traguardo verso il quale, con umiltà, con fiducia, con generosità, insieme vogliamo incamminarci.

Don Luigi Pedrini

30 Settembre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 30 Settembe 2012

Carissimi Parrocchiani,

ci mettiamo, ora, in ascolto del secondo sogno fatto da Giuseppe.

 [9]Egli fece ancora un altro sogno e lo narrò al padre e ai fratelli e disse: <<Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me>>.

[10]Lo narrò dunque al padre e ai fratelli e il padre lo rimproverò e gli disse: <<Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io e tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?>>.

 Questo secondo sogno, a differenza del primo, non è più di carattere agricolo, ma astrologico: si parla del sole, della luna, delle stelle (undici, quanto i fratelli). Il significato che vi è sotteso è, però, simile al primo, così come protesta lo stesso Giacobbe (cfr. v. 10).

Oltretutto, questo sogno rispetto al precedente ha due aggravanti: anzitutto, ha un peso e un’autorità maggiore, per il fatto di chiamare in causa il mondo degli astri ritenuti, allora, direttamente influenti sulle vicende umane; in secondo luogo, è ancora più provocatorio del primo per il fatto che Giuseppe non si limita a raccontarlo ai fratelli, ma lo racconta anche ai genitori, forse non senza una certa autocompiacenza.

Per queste ragioni il racconto suscita immediatamente la reazione di Giacobbe nei confronti di Giuseppe. L’esito finale di questa vicenda è riferito al v. 11:

 [11]I suoi fratelli perciò erano invidiosi di lui, ma suo padre tenne in mente la cosa.

 In famiglia si determinano due comportamenti molto diversi: l’invidia da parte dei fratelli; la custodia nella memoria da parte di Giacobbe.

Giacobbe, pur rimproverando Giuseppe, non gli serba, tuttavia, rancore e accetta di stare a vedere, in attesa di una conferma o di una smentita.

Come sono da interpretare i sogni di Giuseppe? È la domanda che Giacobbe porta nel suo cuore. Sono il frutto della presunzione di un figlio un po’ baldanzoso, inorgoglitosi a motivo della lussuosa tunica che indossa o sono il presagio di un futuro che dovrà realizzarsi?

Così, il versetto finale ci rivela il cruccio interiore di Giacobbe: quello di un padre combattuto tra il timore e la speranza.

 

Don Luigi Pedrini

 

23 Settembre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 23 Settembe 2012

Carissimi Parrocchiani,

ci mettiamo in ascolto del racconto del primo dei due sogni fatti da Giuseppe.

[5]Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancor di più. [6]Disse dunque loro: «Ascoltate questo sogno che ho fatto. [7]Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio». [8]Gli dissero i suoi fratelli: «Vorrai forse regnare su di noi o ci vorrai dominare?». Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole (Gen. 37,5-8)

Questo primo sogno è di carattere agricolo: fa riferimento ad una prassi abbastanza usuale, allora, secondo la quale i covoni si collocavano in piedi, a tre a tre, appoggiati l’uno all’altro, a modo di piramide. Giuseppe vede un covone centrale eretto e undici covoni attorno prostrati (non ‘caduti a terra’) o, meglio ancora, nell’atto di prostrarsi.

L’insinuazione contenuta nel sogno è evidente: va nella linea di una messa in questione dell’uguaglianza tra i fratelli. La questione è delicata, talmente delicata che la Scrittura quando ne parla, la presenta come uno dei cardini fondamentali dell’unità familiare. Va tenuto presente, inoltre, che la Scrittura nel trattare questo tema riferisce il sentire comune di allora. Dunque, non deve accadere che un fratello si imponga sugli altri, mettendo così in questione la fraternità.

Molto significativo in proposito un testo del Deuteronomio. Parlando del re che il popolo dovrà eleggere, raccomanda che sia non uno straniero, ma uno degli israeliti: Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello (Dt 17,15). Sono significative le raccomandazioni che il testo da circa il comportamento del re: hi sostanza, chiede al re di non accumulare beni tali da minare l’uguaglianza con i suoi fratelli: Egli non dovrà procurarsi un gran numero di cavalli…; neppure abbia grande quantità di argento e d’oro (Dt 17,16-17). Piuttosto, dovrà preoccuparsi di conoscere e ascoltare la Scrittura: Quando si insidierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge… La terrà presso di sé e la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore suo Dio (Dt 17,18-19). Questo farà sì che il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli …(Dt 17,20) e così sarà salvaguardata la fraternità. Dunque, il re deve essere un fratello: solo mantenendosi nell’orizzonte della fraternità potrà svolgere il suo compito nella correttezza e con frutto.

La pretesa insinuata da Giuseppe raccontando il sogno — qui Giuseppe ha peccato un po’ di ingenuità: non è opportuno raccontare sogni del genere a persone direttamente coinvolte e coinvolte in quella maniera — suscita, comprensibilmente, l’indignazione dei fratelli, che si ribellano all’idea di diventare sudditi del fratello minore. Così, dopo il racconto, cresce in loro un senso di avversione verso di lui: Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole (v. 8).

 Don Luigi Pedrini

16 Settembre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 16 Settembe 2012

Carissimi Parrocchiani,

entrando nella vicenda di Giuseppe ci imbattiamo nel racconto di due sogni. Sono sogni che impressionano profondamente Giuseppe, tanto che subito ne parla in casa: del primo sogno riferisce ai fratelli, del secondo ai fratelli essendo presente pure il padre.

Bisogna dire fin d’ora che i sogni hanno un’importanza particolare nella vicenda di Giuseppe: sono il motivo conduttore di tutta la storia. Nei capitoli che compongono il ciclo a lui dedicato (i capitoli che vanno dal 37 al 50) sono presentati sei sogni: due sono di Giuseppe; due dei ministri del faraone (il coppiere e il panettiere), mentre si trovano in prigione; due del faraone.

Tutti questi sogni ruotano attorno a Giuseppe: i primi due perché lo vedono direttamente protagonista; gli altri in quanto se ne fa interprete. Da questo punto di vista, la figura di Giuseppe appare molto legata ai sogni; sarà così, molto tempo dopo, anche per l’altro Giuseppe, più famoso, Giuseppe di Nazaret, sposo di Maria e padre putativo di Gesù, la cui vicenda è stata segnata da quattro sogni.

Bisogna ancora osservare, al riguardo, che nella cultura di allora il sogno poteva essere interpretato come vaticinio, cioè come una rivelazione di Dio: così, ad esempio, nei capitoli precedenti (cfr: i cap. 28 e 31), i sogni che Giacobbe riceve in sogno sono interpretati come messaggi divini.

Per quanto riguarda, invece, i due sogni fatti da Giuseppe per il momento non si precisa la portata: non si da alcun giudizio se vengono da Dio o dalla sua fantasia.

Questo particolare rivela fin d’ora una nota di discrezione che è tipica di tutta la vicenda: Dio opera nel nascondimento e, nell’immediato, senza farsi notare; solo alla fine ci si renderà conto che era Lui a guidare la storia.

Riguardo ai sogni, vale la pena ricordare la lezione che qualche secolo più tardi offrirà il libro del Siracide. L’autore, Ben Sira, pur lasciando aperta la possibilità che Dio parli anche attraverso i sogni, invita, però, ad usare molta prudenza nei loro confronti.

[1]Speranze vane e fallaci sono proprie dell’uomo insensato, i sogni danno le ali agli stolti.

[2]Come uno che afferra le ombre e insegue il vento, così chi si appoggia ai sogni.

[3]Questo dopo quello: tale la visione di sogni, di fronte a un volto l’immagine di un volto.

[4]Dall’impuro che cosa potrà uscire di puro? E dal falso che cosa potrà uscire di vero?

[5]Oracoli, auspici e sogni sono cose vane, come vaneggia la niente di una donna in doglie.

[6]Se non sono inviati dall’Altìssimo in una sua visita, non permettere che se ne occupi la tua mente.

[7]I sogni hanno indotto molti in errore, hanno deviato quanti avevano in essi sperato.

[8]Senza menzogna si deve adempiere la legge, la sapienza in bocca verace è perfezione. (Sir. 34,1-8)

  Don Luigi Pedrini

09 Settembre 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 09 Settembe 2012

Carissimi Parrocchiani,

attingo la seconda considerazione che avevo lasciato in sospeso la volta scorsa dal v. 3 del cap. 37. In questo versetto troviamo una sottolineatura importante: Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli. La stessa sottolineatura ricompare subito dopo nel v. 4 per precisare che, proprio in ragione di questo ‘di più’ di amore, i fratelli nutrivano gelosia e invidia verso Giuseppe.

E’ tipico dell’invidia e della gelosia ‘misurare’ l’amore, cioé valutarlo semplicemente in base ad una logica quantitativa, come una questione di più o di meno. In realtà l’amore vero sfugge a questa logica. Caratteristica dell’amore è di amare in modo personale e, proprio perché personale, di amare ciascuno in modo diverso. Dio ama in modo personale e dà a ciascuno l’amore necessario.

S. Ignazio di Loyola, alla fine di una sua bella preghiera che ha inserito nel libro degli Esercizi Spirituali, si esprime così: “Dammi il tuo amore e la tua grazia e mi basta”, volendo dire che quando io so di essere amato dal Signore non manco più di nulla. Cosa importa, allora, se Dio ama in modo diverso il mio fratello, la mia sorella? Io ho l’amore che basta.

Dietro l’invidia e la gelosia si nasconde in fondo una non accettazione dell’amore personale con cui si è amati da Dio, la quale conduce, poi, al calcolo che quantifica l’amore.

Giuseppe è amato in modo diverso da Giacobbe e riceve in famiglia un ‘di più’ di amore perché la vocazione a cui è chiamato necessita di un ‘di più’ di amore. Egli è colui che opererà la riconciliazione di tutti e tre i rapporti compromessi dal peccato (il rapporto con Dio, con i fratelli, con la terra) ed è proprio in vista di questa vocazione che Giuseppe riceve da Giacobbe l’amore necessario per compiere la sua missione.

È avvenuto così anche per Pietro. Egli chiamato a un compito di unità nella Chiesa deve fare l’esperienza di essere amato da Gesù, perché ricco di un ‘di più’ di amore sia in grado di offrire un ‘di più’ di amore a Gesù e ai fratelli: “Mi ami tu più di costoro?… Pasci i miei agnelli” (Gv 21,15ss).

Ognuno riceve da Dio quel ‘di più’ di amore che gli è necessario per realizzare la propria vocazione. E l’amore che Dio ci dà è un amore senza misura. Lo fa notare, non senza meraviglia, san Paolo. Egli, dopo aver considerato il fatto che Dio per amore nostro è stato disposto a ‘perdere’ sulla croce il proprio Figlio, il Figlio amato, fa questa considerazione: “Se Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, davvero grande deve essere il suo amore per noi” (Rm 8,31-39).

In questo modo il Signore ci aiuta a estirpare dal cuore ogni sentimento di gelosia e di invidia per far posto al dono della fraternità. Il fatto che il mio fratello sia amato con un ‘di più’ di amore non deve indurmi a pensare ad una sottrazione d’amore nei miei confronti, ma diventa per me l’occasione per rendermi ancora più consapevole di quel ‘di più’ di amore personale che anch’io ho ricevuto e continuamente ricevo dalle mani del Signore.

Don Luigi Pedrini

 

02 Settembe 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo), 02 Settembe 2012

Carissimi Parrocchiani,

sostiamo ancora sui versetti già commentati per fare due considerazioni. La prima considerazione ci rimanda al v. 4 del cap. 37: I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente. In questo versetto scopriamo con sorpresa che sono riuniti insieme amore e odio: da una parte, l’amore di Giacobbe; dall’altra, l’odio dei dieci fratelli verso Giuseppe.

Questa singolarità ci conduce ad una constatazione sorprendente: l’amore, paradossalmente, può scatenare l’odio. L’amore che Giuseppe riceve dal padre lo rende odioso agli occhi dei fratelli.

In questo paradosso i commentatori cristiani hanno visto un’anticipazione di Gesù. Infatti, l’incapacità dei fratelli nel parlare amichevolmente a Giuseppe si ritrova anche in Gesù, il figlio prediletto del Padre. Anch’egli odiato e alla fine condannato a morte perché i suoi avversari non accettano di riconoscere in lui il Figlio di Dio, il Figlio prediletto (Mc 14,61-64). Gesù, avendo fatto sempre del bene a tutti, non era reo di alcuna colpa che giustificasse una condanna simile; La sua morte è stata il frutto di una condanna del tutto arbitraria. Gesù stesso ha dichiarato: “Mi hanno odiato senza ragione” (Gv 15,25).

Dunque, sia nella vicenda di Giuseppe, sia nella vicenda di Gesù l’amore, anziché suscitare una risposta d’amore, ha provocato un reazione d’odio. È una stranezza alla quale neanche l’amore di Dio si sottrae. Anzi, questo paradosso si evidenzia ancora di più quando in gioco c’è l’amore di Dio. Mi spiego: l’amore di Dio nei nostri confronti non può che volere per noi il bene, la verità; è un amore che non scende a patti con la menzogna e con il male. Proprio perché non si arrende di fronte al male, ma tutto vuole abbracciare e illuminare, ecco che il male si evidenzia e si ribella. È così che l’amore può condurre all’odio.

In tutto questo mi pare di poter cogliere un insegnamento importante per noi. È illusorio pensare che la testimonianza all’amore che esige la vita cristiana in quanto vita nello spirito di Cristo, che è spirito d’Amore, possa suscitare automaticamente l’amore. Amando si ottiene una risposta d’amore in chi ha un cuore già purificato. Là dove non c’è un cuore limpido, purificato, non si dà immediatamente una risposta d’amore e si rende necessario, in primo luogo, un cammino di purificazione che può passare anche attraverso fasi di ribellione e di odio. L’amore, tuttavia, è capace di vincere tutto questo, facendosene carico e pagando di persona.

I santi confermano tutto questo. Essi, pur testimoniando l’amore verso tutti, hanno incontrato, non di rado e proprio per questo, l’odio del mondo. E, tuttavia, hanno vinto il male, perché l’hanno espiato in se stessi l’hanno vissuto come partecipazione alla croce di Cristo.

Così, la vicenda di Giuseppe ci ricorda che non dobbiamo meravigliarci se nell’amare riceviamo non approvazioni gratificanti, ma critiche e anche opposizioni. La via dell’amore non passa attraverso scorciatoie facili, ma domanda un lungo e paziente cammino di purificazione.

Don Luigi Pedrini

 

Diocesi di Pavia