Maria, seduta ai piedi di Gesù
ascoltava la sua parola (Lc 10,39)
Maria, seduta ai piedi di Gesù
ascoltava la sua parola (Lc 10,39)
Un samaritano, che era in viaggio,
passandogli accanto,
vide e ne ebbe compassione.
Gli si fece vicino,
gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino;
poi, lo caricò sulla sua cavalcatura,
lo portò in un albergo
e si prese cura di lui (Lc 10,33-34)
Carissimi Parrocchiani,
a motivo dell’infortunio che mi costringe a tenere immobile la spalla per un mese, lasciamo per qualche domenica il nostro cammino in compagnia di Giuseppe. Mi limito a riportare una frase del Vangelo della domenica corrente che vorrei accompagnare con un’immagine adatta. A tutti l’augurio di una Buona Domenica!
Don Luigi
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due
davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (Lc 10,1)
Carissimi Parrocchiani,
a motivo dell’infortunio che mi costringe a tenere immobile la spalla per un mese, lasciamo per qualche domenica il nostro cammino in compagnia di Giuseppe. Mi limito a riportare una frase del Vangelo della domenica corrente che vorrei accompagnare con un’immagine adatta. A tutti l’augurio di una Buona Domenica!
Don Luigi
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51)
San Leonardo Confessore (Linarolo), 23 Giugno 2013
Carissimi Parrocchiani,
prima di seguire l’evolversi degli eventi della vicenda di Giuseppe, voglio ritornare con voi, con uno sguardo interrogativo, sulla sua sofferta esperienza: prima, la disillusione dell’onestà; poi, quella dell’amicizia.
Ci domandiamo: quale insegnamento vuole offrire la Parola di Dio con questi racconti? Mi sembra che possiamo rispondere così: il Signore, si serve spesso delle vicende della vita per purificare il nostro cuore.
Indubbiamente, ci sono esercizi di preghiera e di meditazione che ci aiutano guardare in noi stessi, a esaminarci, a tenere vivo un atteggiamento di discernimento e di continua conversione. Tuttavia, dobbiamo subito aggiungere che dai veri attaccamenti del cuore, dalle affezioni disordinate – di cui, talvolta, neppure ci rendiamo veramente conto – ci purifica e ci libera il Signore, servendosi, non di rado, proprio delle delusioni e delle prove.
Beati noi se comprendiamo questo; se davanti alle varie disillusioni della vita, siamo capaci di fermarci e di chiederci: perché Dio ha permesso questo? Che cosa vuole dirmi?
Interrogarsi è importante perché, diversamente, corriamo il rischio di diventare, con gli anni, davanti a qualche disillusione (può essere un’incomprensione, un torto subito, un’amicizia che ci ha delusi), scontenti di noi stessi e degli altri.
D’altra parte, è consolante sapere che, comunque, il Signore si serve di tutto e scrive diritto anche sulle nostre righe storte, così che niente vada perduto. La meta a cui Egli vuole condurci è di imparare a vivere il servizio nella Chiesa con cuore libero, grato, e gioioso.
Per arrivare a questo traguardo occorre – come ci ricorda la Parola di Dio – entrare nelle prove di Giuseppe. In questo modo scopriamo che le disillusioni permesse dal Signore non solo non dobbiamo leggerle come una dimenticanza da parte sua, ma, addirittura, possiamo viverle come il dono di una nuova potatura: una potatura necessaria, per far sì che il “sogno” che Dio ha su di noi possa procedere verso il suo compimento.
Don Luigi Pedrini
San Leonardo Confessore (Linarolo), 16 Giugno 2013
Carissimi Parrocchiani,
l’ultima volta abbiamo riflettuto un poco sulla dimenticanza del bene. Il testo biblico non chiude gli occhi su questo fatto increscioso che, non di rado, segna dolorosamente le relazioni umane.
Tuttavia, aggiunge anche una considerazione molto consolante: se gli uomini non sanno apprezzare il bene ricevuto e se ne dimenticano, Dio, da parte sua, non dimentica: “Ma il Signore fu con Giuseppe” (Gen. 40,21); “Il Signore era con lui e quello che egli faceva il Signore faceva riuscire.” (Gen. 40,23).
Ugualmente, se gli uomini non vedono il bene nascosto, Dio, al quale “sono note tutte le nostre vie” (Sal 139), tutto vede.
È bello pensare che il Signore è la memoria vivente del bene presente nella nostra vita. Gli anni passano e può succedere che chi ti è vicino non conosce la tua storia e non sa, di conseguenza, apprezzare i passi che ti hanno portato fin lì, i sacrifici, le fatiche, le rinunce, il bene compiuto; forse, noi stessi non sappiamo apprezzare veramente il cammino fatto o, meglio, il cammino che il Signore ci ha fatto fare. Purtroppo, abbiamo la memoria corta.
E’ consolante, però, pensare che Dio sa e custodisce la memoria di ciò che siamo; riconosce e apprezza i sacrifici fatti per il bene e un giorno ripeterà anche a noi le parole che Gesù ha detto agli apostoli alla vigilia della sua morte: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove” (Lc 22,28).
Non di meno, sarà consolante scoprire un giorno, con sorpresa, che proprio il bene nascosto è stato per il mondo quel tessuto connettivo che gli ha permesso di resistere e di non deflagrare nella vacuità.
Giustamente scrive al riguardo M. I. Rupnik:
Le sofferenze nascoste dell’amore vissuto e crocifisso nei luoghi più sperduti sono le perle preziose incastonate nelle pietre della Gerusalemme celeste che un giorno lo Spirito Santo ci farà vedere come la sposa dell’Agnello […] In quel giorno di sorpresa assoluta si vedrà che le persone operanti il bene e dimenticate erano quel tessuto organico che – dietro le quinte di un mondo spensierato e accecato da non vedere che sprofondava nelle crepe del tempo – salvavano dal precipizio definitivo coloro che li affliggevano con il disprezzo e il rifiuto del bene (M. I. Rupnik, Cerco i miei fratelli, Lipa, Roma, p. 65).
Don Luigi Pedrini
San Leonardo Confessore (Linarolo), 02 Giugno 2013
Carissimi Parrocchiani,
prima di andare oltre l’amara delusione vissuta da Giuseppe di vedersi dimenticato da una persona che aveva reputata come un vero amico, voglio sostare ancora per qualche considerazione in merito.
Una prima considerazione: abbiamo visto che Giuseppe, anche in prigione, ha agito bene; tuttavia, questa rettitudine di comportamento non gli ha ottenuto la liberazione sperata. Il coppiere, una volta ottenuta la liberazione, dimentica Giuseppe nel buio della prigione.
Questo triste particolare viene a dirci che l’uomo, facilmente, dimentica chi gli ha fatto del bene. Quando si è nella necessità, allora, si desidera trovare qualcuno da cui ricevere aiuto. Una volta ottenuto quello che si cercava, ci si scorda quasi subito del bene ricevuto e anche di colui che è venuto in nostro soccorso.
In questo contesto, forse possiamo meglio comprendere le parole di Gesù, quando esorta a fare del bene gratuitamente, senza cercare la ricompensa dagli uomini:
[1] State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. [2] Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. [3] Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, [4] perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6,1-4).
Il motivo per cui Gesù dà questo consiglio non è tanto per mettersi al riparo dall’amara delusione di non essere ricambiati, ma perché è il bene stesso che richiede la gratuità. Un bene fatto in vista del ringraziamento o del contraccambio, assomiglia più ad un investimento, ad un commercio piuttosto che a un dono. In ogni caso, non è il riflesso di quel bene vero che Dio opera per noi e che ha il marchio della gratuità: “Se fate del bene a chi a sua volta potrà farvi del bene, che cosa fate di straordinario?” (Lc 6,33-34).
Per questo la tradizione cristiana, sulla scorta delle parole di Gesù, è unanime nel consigliare di fare il bene in modo nascosto.
Don Luigi Pedrini
San Leonardo Confessore (Linarolo), 26 Maggio 2013
[16]Allora il capo dei panettieri, vedendo che l’interpretazione era favorevole, disse a Giuseppe: “Quanto a me, nel mio sogno tenevo sul capo tre canestri di pane bianco [17] e nel canestro che stava di sopra c’era ogni sorta di cibi per il faraone, quali si preparano dai panettieri. Ma gli uccelli li mangiavano dal canestro che avevo sulla testa”.
[18] Giuseppe rispose e disse: “Questa è l’interpretazione: i tre canestri rappresentano tre giorni. [19] Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti impiccherà a un palo e gli uccelli ti mangeranno la carne addosso”.
[20] Appunto al terzo giorno, che era il giorno natalizio del faraone, questi fece un banchetto per tutti i suoi ministri e allora sollevò la testa del capo dei coppieri e la testa del capo dei panettieri in mezzo ai suoi ministri. [21] Reintegrò il capo dei coppieri nel suo ufficio di coppiere, perché porgesse la coppa al faraone; [22] invece impiccò il capo dei panettieri, secondo l’interpretazione che Giuseppe aveva loro data. [23] Ma il capo dei coppieri non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò.
Anche il panettiere rivela, dunque, a Giuseppe il suo sogno. L’interpretazione, però, che ne riceve non è favorevole, così come era avvenuto per il coppiere. In effetti, le cose vanno proprio secondo le parole di Giuseppe.
Quello che qui merita di essere rimarcato è il finale di questa vicenda. Ci è riferito dal v. 23: Ma il capo dei coppieri non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò.
Questa annotazione amara, che trae efficacia proprio dalla sua brevità, mette in guardia dà un’eccessiva fiducia nell’amicizia. Essa rispecchia bene certi insegnamenti sapienziali che invitano a non dare credito agli amici con troppa facilità.
Giuseppe, in questo modo, conosce un terzo grosso scacco. Dopo la prova di vedersi rifiutato dai fratelli; dopo la prova di un’ingiusta condanna, nonostante la sua onestà; ora, la pungente delusione dell’amicizia.
Pungente perché – annota il Card. Martini – “le delusioni dell’amicizia sono forse le più cocenti, anche se sono le meno apparenti (spesso rimangono nascoste e conosciute solo dagli interessati), e anche le meno sensibili (nel senso che non comportano una decadenza fisica: le cose vanno avanti all’esterno come prima”. In cambio, però, “le delusioni dell’amicizia sono molto purificanti, perché ci aiutano a porre la speranza in Dio solo” (Due Pellegrini per la giustizia, Piemme, Casale Monferrato, p 106).
Proprio così è avvenuto per Giuseppe. Il fatto di non trovare aiuto neppure da parte di chi pensava si sarebbe ricordato di lui, avendo condiviso con lui la sofferenza del carcere, gli fa comprendere che ci sono valori più grandi nella vita sui quali riporre la propria fiducia. Non è la fiducia nel coppiere del faraone che può salvarlo e riscattare la sua vita, ma la fiducia nell’ “Altro” ben diverso.
Ecco la lezione che Giuseppe è chiamato ad interiorizzare. Questo senza voler negare il valore dell’amicizia. Il suo valore è reale; tuttavia, va purificata.
Don Luigi Pedrini
San Leonardo Confessore (Linarolo), 19 Maggio 2013
Carissimi Parrocchiani,
abbiamo lasciato Giuseppe impegnato in un dialogo aperto con il coppiere e il panettiere del faraone che si trovano in prigione con lui. Vedendoli afflitti a motivo di un sogno che hanno fatto entrambi nella stessa notte e al quale non sanno dare una spiegazione, li invita ad aprire il loro cuore: Dio che ha il potere di interpretarli ne renderà manifesto il significato.
Il primo a raccontare il sogno è il coppiere. Giuseppe ascolta e prontamente, con semplicità, lo spiega.
[9]Allora il capo dei coppieri raccontò il suo sogno a Giuseppe e gli disse: “Nel mio sogno, ecco mi stava davanti una vite, [10]sulla quale vi erano tre tralci; non appena cominciò a germogliare, apparvero i fiori e i suoi grappoli maturarono gli acini. [11] Io tenevo in mano il calice del faraone; presi gli acini, li spremetti nella coppa del faraone, poi diedi la coppa in mano al faraone”.
[12]Giuseppe gli disse: “Eccone l’interpretazione: i tre tralci rappresentano tre giorni. [13]Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti reintegrerà nella tua carica e tu porgerai il calice al faraone, secondo la consuetudine di prima, quando eri il suo coppiere. [14]Se poi, nella tua fortuna, volessi ricordarti che sono stato con te, trattami, ti prego, con bontà: ricordami al faraone per farmi uscire da questa casa. [15]Perché io sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo” Gen 40,9-15)
Su questo primo racconto meritano di essere fatte tre sottolineature. Anzitutto, è interessante il fatto che si torni nuovamente a parlare di sogni nella vicenda di Giuseppe. E’ la seconda volta. Accadrà anche più avanti con i sogni del faraone.
In secondo luogo, scopriamo che Giuseppe è in grado di offrire al coppiere oltre al sincero rapporto di amicizia che si crea nelle comuni situazioni di bisogno, anche la spiegazione del sogno: si tratta per lui di una buona notizia, perché gli annuncia l’imminente scarcerazione e la totale riabilitazione dal parte del faraone.
In terzo luogo, sono degne di nota le parole finali di Giuseppe, accorate e, allo stesso tempo, discrete: Se poi, nella tua fortuna, volessi ricordarti che sono stato con te, trattami, ti prego, con bontà: ricordami al faraone per farmi uscire da questa casa (v. 14). Come si vede, Giuseppe fa leva sull’amicizia che si è instaurata tra loro in prigione e, tuttavia, fa la sua richiesta, con modestia e senza alcuna pretesa.
La spiegazione soddisfacente e favorevole offerta da Giuseppe spinge anche l’altro prigioniero, il panettiere, a fare altrettanto: anche lui racconta il suo sogno a Giuseppe.
Ma di questo parleremo la prossima volta.
Don Luigi Pedrini
San Leonardo Confessore (Linarolo), 12 Maggio 2013
Carissimi Parrocchiani,
dopo aver considerato le sofferte, ma anche purificanti disillusioni che Giuseppe ha incontrato sul piano dell’onestà, consideriamo, ora, quelle incontrate sul piano dell’amicizia.
Giuseppe si trova, ora, in carcere insieme ad altri detenuti. L’esperienza testimonia che, in genere, la situazione di sofferenza comune provoca una spontanea solidarietà che, spesso, è il terreno fecondo di amicizie profonde che segnano la vita.
Giuseppe – come sappiamo – non ha alle spalle un’esperienza di fraternità amica; inoltre, è reduce dell’esperienza sofferta di uno scacco incontrato sul terreno dell’onestà: quale risposta al bene compiuto e alla sua fedeltà ai principi dell’onestà ha avuto non una ricompensa, ma un’ingiusta punizione.
Adesso è in prigione: un luogo dove l’amicizia – proprio perché si è nel bisogno di tutto – può essere apprezzata. E, in effetti, Giuseppe, con la sua bontà e la sua disponibilità, ha subito modo di segnalarsi e di farsi voler bene. Tutto questo non passa inosservato agli occhi del comandante della prigione che lo sceglie come uomo di sua fiducia.
[22]Così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati che erano nella prigione e quanto c’era da fare là dentro, lo faceva lui.
[23]Il comandante della prigione non si prendeva cura più di nulla di quanto gli era affidato, perché il Signore era con lui e quello che egli faceva il Signore faceva riuscire (Gen 39,22-23)
Un giorno, arrivano in carcere come prigionieri il coppiere e il panettiere del faraone, rei di aver mancato di rispetto nei confronti del loro padrone e Giuseppe viene designato dal comandante come loro servitore. Si presenta, così, a Giuseppe l’occasione di vivere incontri significativi con persone che hanno ricoperto ruoli di fiducia alla corte del faraone.
Si tratta di incontri casuali per Giuseppe e, tuttavia, capita spesso che l’azione pedagogica di Dio si renda presente e operante proprio attraverso circostanze misteriose e incontri non preventivati.
Ora, accade che tutti e due – coppiere e panettiere – nella stessa notte, fanno un sogno che li lascia turbati, non essendo in grado di darsi una spiegazione.
Giuseppe si rende conto della loro afflizione e li invita ad aprire il loro cuore con fiducia: i sogni – egli afferma – non sono destinati a rimanere senza risposta, perché c’è chi può darne la spiegazione.
Giuseppe disse loro: <<Non è forse Dio che ha in suo potere le interpretazioni? Raccontatemi dunque>> (Gen 40,12).
Don Luigi Pedrini