Messaggio per la Quaresima 2015

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade.

Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare. Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone.

Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza. L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano. Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo. Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra.

E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6). Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita.

Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento, per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso. Vorrei proporvi tre passi da meditare per questo rinnovamento.

1. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor 12,26) – La Chiesa La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini. Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo. La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26). La Chiesa è communio sanctorum perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore. In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza.

2. “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9) – Le parrocchie e le comunità Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa ? (cfr Lc 16,19-31).

Per ricevere e far fruttificare pienamente quanto Dio ci dà vanno superati i confini della Chiesa visibile in due direzioni. In primo luogo, unendoci alla Chiesa del cielo nella preghiera. Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio. Finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo, i santi camminano con noi ancora pellegrini. Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: “Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime” (Lettera 254 del 14 luglio 1897).

Anche noi partecipiamo dei meriti e della gioia dei santi ed essi partecipano alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione. La loro gioia per la vittoria di Cristo risorto è per noi motivo di forza per superare tante forme d’indifferenza e di durezza di cuore. D’altra parte, ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani. La Chiesa per sua natura è missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini. Questa missione è la paziente testimonianza di Colui che vuole portare al Padre tutta la realtà ed ogni uomo. La missione è ciò che l’amore non può tacere.

La Chiesa segue Gesù Cristo sulla strada che la conduce ad ogni uomo, fino ai confini della terra (cfr At 1,8). Così possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto. Quanto abbiamo ricevuto, lo abbiamo ricevuto anche per loro. E parimenti, quanto questi fratelli possiedono è un dono per la Chiesa e per l’umanità intera. Cari fratelli e sorelle, quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!

3. “Rinfrancate i vostri cuori !” (Gc 5,8) – Il singolo fedele Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità ad intervenire. Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza? In primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste. Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti! L’iniziativa 24 ore per il Signore, che auspico si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo, vuole dare espressione a questa necessità della preghiera.

In secondo luogo, possiamo aiutare con gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità. E in terzo luogo, la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli. Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31).

Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro. Per questo, cari fratelli e sorelle, desidero pregare con voi Cristo in questa Quaresima: “Fac cor nostrum secundum cor tuum”: “Rendi il nostro cuore simile al tuo” (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

Dal Vaticano, 4 ottobre 2014

Festa di San Francesco d’Assisi

24 Ore per il Signore

Nel Messaggio per la Quaresima 2015 (TESTO) il Papa ha espresso l’augurio che in tutta la Chiesa, “anche a livello diocesano” si celebri l’iniziativa “24 ore per il Signore”, per “dare espressione alla necessità della preghiera”.

Ma di cosa si tratta? Le “24 ore” è una iniziativa lanciata nel 2014 dal Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, presieduto da monsignor Rino Fisichella. Allora si svolse venerdì 28 marzo; l’intera giornata fu dedicata al sacramento della riconciliazione, proprio per consentire a quanti lo desideravano di accostarvisi. Aderirono decine di diocesi in tutta Italia.

Quest’anno, come nel 2014, sarà Papa Francesco a presiedere la liturgia penitenziale a San Pietro, mettendo così il sacramento della riconciliazione al centro del cammino della nuova evangelizzazione in tutta la Chiesa. In alcune chiese del centro storico di Roma saranno disponibili confessori per la celebrazione individuale del sacramento, mentre giovani appartenenti a diverse realtà ecclesiali incoraggeranno i loro coetanei ad entrare in chiesa, dove per tutta la notte troveranno sacerdoti e confessori disponibili all’ascolto.

Il tema prescelto per orientare la riflessione è “Dio ricco di misericordia”.

15 Febbraio 2015

APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA

  • Domenica 15 Feb 2015 Ore 10.00
    Catechismo dei ragazzi.
    Nel pomeriggio Festa di carnevale secondo l’orario del manifesto con frittelle presso la Casa parrocchiale.
  • Svolgimento dei Gruppi di Ascolto. Si veda il prospetto sulla porta della Chiesa
  • Inizio della Quaresima. Invito a portare a casa il prospetto completo degli appuntamenti. In particolare ricordo in questa settimana:
    • il Mercoledì delle Ceneri.
      Giornata di digiuno e astinenza. S, Messa alle ore 16.30 e alle ore 20.45.
    • Giovedì ore 21.00: Adorazione eucaristica con i sacerdoti del Vicariato
    • Venerdì ore 20.45: Via Crucis
    • Domenica 22 c.m., ore 9.30, presso il vecchio asilo: mattina di ritiro per gli adolescenti.

Il catechismo dei ragazzi di 1, 2, 3 elementare e l’incontro per i loro genitori che era fissato nel pomeriggio di Domenica 22 febbraio è rimandato alla domenica 1 marzo, essendo presenti domenica 22 in parrocchia gli scout di Pavia per il loro raduno annuale.

15 Febbraio 2015

Carissimi Parrocchiani,

seguiamo i passi di questa ‘storia nuova’ che Dio va costruendo ora con un intero popolo e la seguiamo a partire da un’angolatura particolare, quella della missione di Mosè. Iniziamo dall’avvenimento che ha segnato la svolta della sua vita: la chiamata di Dio.

Mosè, da quarant’anni ormai vive presso il suocero: lì ha imparato a pascolare un gregge non suo. Sono anni di solitudine in cui impara a guardare sempre più a distanza il suo passato e si lascia alle spalle quel progetto di liberazione del suo popolo che, a suo tempo, aveva considerato come possibile missione della sua vita. Un giorno, mentre si trova nel deserto è spettatore di un fatto inspiegabile: vede a distanza un roveto avvolto dalle fiamme e che, tuttavia, non si consuma.

Siamo di fronte a un fatto misterioso che domanda una spiegazione. Le interpretazioni esegetiche di questo testo hanno dato al riguardo una duplice risposta. Abbiamo, anzitutto, una risposta che possiamo chiamare ‘teologica’ perché vede nel roveto ardente un segno anticipatore del mistero dell’Incarnazione: il fatto che il roveto bruci senza consumarsi sta dire che l’uomo (rappresentato dal roveto) si incontrerà con Dio (rappresentato dal fuoco) e tuttavia non sarà distrutto. Ecco come un biblista dei nostri giorni esprime tutto questo:
Noi ci incontriamo continuamente con Dio, eppure facciamo la nostra vita di sempre. Rimarremo per l’eternità in Dio e non saremo consumati da questo fuoco. Permanenza della natura umana in Cristo. Mistero grandissimo: Dio è uscito da sé; tu sei consumato eppure non consumato; muori e rinasci continuamente. Dalle ceneri della tua morte nasce una vita più alta: tu possiedi la vita stessa di Dio. Il roveto arde, ma non consuma. Mistero di Cristo e di tutti i cristiani. Si vive la nostra povera vita, eppure tutto è pieno di Dio. Noi viviamo con lui in semplicità, restiamo semplici uomini, ma possediamo l’immensità del suo dono (D. Barsotti)
La seconda risposta, invece, vi legge un rimando a ciò che Mosè deve scoprire in se stesso: egli pensa che il progetto di liberazione coltivato in gioventù appartenga al passato e non si rende conto che in realtà continua a vivere dentro di lui, nascostamente, ma è come una brace sepolta sotto la cenere che improvvisamente può tornare a divampare. Secondo questa interpretazione il roveto ardente è uno specchio di quello che Dio sta per operare in Mosè: Dio è venuto per rianimare in lui un fuoco che egli credeva consumato per sempre. Così, commenta P. Stancari:
Mosè scopre improvvisamente qualcosa che lo butta in faccia ad un mistero non ancora sondato. C’è qualcosa dentro di lui che – malgrado tutto – non viene meno: al fondo della sua intera esperienza di uomo ormai finito e di condottiero mancato, Mosè avverte una presenza che non si consuma. Egli scopre dentro di sé l’ardore di una fiamma che brucia senza consumarsi, come una passione, quieta e profondissima, che sia in grado di trarre nuova forza dal suo stesso bruciare. […] Mosè non capisce: è come se la passione che lo divora brillasse di nuovo vigore, man mano che egli si sente sprofondare nel buio della delusione… è come se il suo amore per la giustizia e per il suo popolo si ravvivasse, man mano che egli si sente invecchiare e morire. Mosè non capisce ancora…

Don Luigi Pedrini

Avvisi – 01 Febbraio 2015

  • Sabato 31 gennaio e Domenica 1 febbraio: Festa di san Giovanni Bosco,
  • Venerdì 5 febbraio, ore 20.30: catechismo dei ragazzi di 1°, 2° e 3° Media.
  • Sabato 7 febbraio, ore 18.30: Incontro per gli adolescenti.
  • Domenica 8 febbraio nel pomeriggio alle ore 15.15: catechismo per i ragazzi di 4° e 5° elementare e incontro per i loro genitori.

01 Febbraio 2015

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo lasciato Mosè che trova rifugio nella terra di Madian, viene accolto in casa dal pastore Ietro, sposa la figlia Sipporà dalla quale ha un figlio, Ghersom. Il futuro della sua vita sembra ormai deciso. Ma proprio in questa situazione, viene a collocarsi la chiamata di Dio, la sua ‘vocazione’. Tutto avviene sul “monte di Dio” che noi conosciamo come Sinai o anche Oreb. Questo monte si trova nella zona meridionale della penisola del Sinai, una zona montuosa che, probabilmente, aveva un valore di sacralità presso le popolazioni madianite che la abitavano.

Gli esegeti fanno notare che questo testo è nato dall’intreccio di diverse tradizioni bibliche: se da una parte, stenta a raggiungere una piena unificazione; dall’altra, rivela la preoccupazione di non voler perdere nulla del patrimonio tradizionale. In ogni caso risulta chiaro qual è il cuore del racconto che vuole trasmettere: nella vita di Mosè, un giorno, è accaduto qualcosa di importante che ha segnato uno stacco tra il prima e il dopo. Questo qualcosa ha orientato nuovamente Mosè verso il servizio al suo popolo e alla missione. Seguiamo, allora, i passi progressivi del racconto.

Dopo molto tempo il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio (Es 2,23). La sorte degli ebrei in Egitto rimane alquanto drammatica e neanche la morte del faraone che li ha duramente sottoposti ai lavori forzati non apporta alcun sollievo. In questa situazione innalzano il loro grido a Dio. Gemettero, dice il testo. Il gemito è l’espressione di una sofferenza indicibile, resa insopportabile dal fatto di non lasciar vedere alcuna via d’uscita.

Il lamento che innalzano non si accompagna ad una richiesta esplicita di liberazione. Sembra di capire che gli israeliti non sono ancora pronti per un passo del genere. Forse appare loro un traguardo troppo alto: abituati come sono a vivere in schiavitù non sono più capaci di pensare ad una vita diversa. La loro speranza è timida e incerta, forse anche per una certa paura che incute la libertà. L’Egitto per loro significa servitù, ma anche sopravvivenza assicurata. Basterebbe un servizio più leggero per rendere la loro permanenza accettabile; l’uscita dall’Egitto significa invece intraprendere il cammino verso la libertà che, se è affascinante, è anche pericoloso. C’è il deserto da attraversare e non è scontato l’avere sempre il necessario per sopravvivere. Dunque, il cammino della libertà costa e fa paura.

C’è da notare che il testo non dice che gli israeliti innalzarono a Dio grida di preghiera, ma grida di lamento che tuttavia raggiungono il cuore di Dio: Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero (Es 2,24-25). Questo “se ne prese pensiero” rivela il movente di tutta la vicenda dell’Esodo. All’inizio c’è questo darsi pensiero da parte di Dio.

Così, prende avvio una nuova storia: non più la storia di uomini singoli, come Abramo, Isacco, Giacobbe, ma la storia di un popolo, di una umanità redenta.

Ci prepariamo, in compagnia di Mosè, a seguire i primi passi di questa nuova storia.

Don Luigi Pedrini

Calendario – 25 Gennaio 2015

Domenica 25 gennaio, III DEL TEMPO ORDINARIO – Giornata mondiale dei malati di lebbra
7.30: Def. Casali Cornelia, Pinuccia, Teresa e Aurora
9.30: Def. Agnese e Pietro
11.00: Pro Populo

Lunedì 26 gennaio, Ss. Timoteo e Tito, vescovi
16.30: Def. Antonio e def. Fam. Piviali e Cassinelli

Martedì 27 gennaio, S. Angela Merici, vergine
16.30: def. Elvira e Angelo

Mercoledì 28 gennaio, S. Tommaso d’Aquino, sacerdote e dottore della Chiesa
16.30: Def. Silvio e Rosa Perotti

Giovedì 29 gennaio, Feria
8.30: Pro Populo
21.00: Adorazione eucaristica

Venerdì 30 gennaio, Feria
15.30: Adorazione eucaristica
16.30: Def. Luisa Arbasini

Sabato 31 gennaio, S. Giovanni Bosco, sacerdote
10.00-11.30: Confessioni
16.30: Def. Piero e Anna Milani e Fam. Def.

Domenica 1 febbraio, IV DEL TEMPO ORDINARIO – SAN GIOVANNI BOSCO – Giornata nazionale per la vita
7.30: Def. Fam. Ferrari – De Gradi
9.30: Per int. off.
11.00: Def. Mario Spada

Avvisi – 25 Gennaio 2015

AVVISI IN GENERALE

L’AIFO pavese ringrazia per il contributo dato domenica scorsa all’Associazione con l’acquisto del miele.

  • Martedì sera, alle ore 21.00: Prove di canto
  • Sabato 31 gennaio e domenica 1 febbraio: Festa di san Giovanni Bosco, Patrono del nostro oratorio.
    • Sabato, alle ore 21.00: tradizionale tombolata in oratorio.
    • Domenica 1 febbraio: S. Messa solenne alle ore 11.00.
    • Segue per i ragazzi che lo desiderano il pranzo nel vecchio asilo delle Suore.
    • Alle ore 15.00, in salone, rappresentazione teatrale su san Giovanni Bosco a cura dei ragazzi e con la partecipazione anche del coro parrocchiale. Siamo tutti invitati.
INCONTRI DI CATECHESI
  • Domenica 25 c.m., ore 10.00: Catechismo dei ragazzi.
  • Lunedì 26 c.m., presso i Francescani di Canepanova, Incontro di catechesi per i giovani alle ore 21.00. Alle 19,30: possibilità di cenare con gli altri giovani.
  • Venerdì 30 c.m., ore 20.30: i ragazzi di 1°, 2° e 3° Media si ritrovano in salone per la preparazione della rappresentazione su san Giovanni Bosco.
  • Sabato alle ore 10.00: Prove generali della rappresentazione.
  • L’incontro di catechesi che era fissato domenica 1 febbraio per i ragazzi di 4° e 5° elementare e per i loro genitori è rimandato a domenica 8 febbraio.
ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI
  • Giovedì ore 21.00: Esposizione eucaristica.
    Segue la recita dei Vespri.
    Quindi, la preghiera personale.
    Alle ore 21.45: recita di Compieta e Reposizione.
  • Venerdì ore 15.30: Esposizione.
    Ore 15,55: Rosario.
    Ore 16.20: Benedizione e Reposizione.
  • Sabato ore 10.00-11.30: Confessioni.

25 Gennaio 2015

Carissimi Parrocchiani,

a conclusione del commento di questo primo tratto della vita di Mosè che va dalla sua nascita all’incontro con Dio sul monte Sinai, ci lasciamo illuminare da una considerazione originale che traggo dalla Vita di Mosè di san Gregorio di Nissa, un padre della Chiesa vissuto nel secolo IV.

La sua riflessione ha una finalità eminentemente spirituale: vuole nutrire la nostra fede e stimolarci a rivivere in prima persona l’esperienza di Mosè. Infatti, dopo il racconto della nascita scrive: “La nascita di Mosè coincide con il decreto del faraone che ordinava l’eliminazione di tutti i bambini maschi. In che modo la nostra libertà imiterà questa circostanza fortuita?”

Dunque, si tratta per noi di imitare in certa misura la nascita ‘singolare’ di Mosè. Ma è possibile? Risponde in proposito san Gregorio: “Non dipende da noi, si dirà giustamente, imitare con la nostra nascita questa nascita così singolare”. E, tuttavia, aggiunge: “Ma questa difficoltà apparente, che sorge dall’inizio, non deve farci fermare”.

Ed ecco la sua originaria considerazione: egli distingue un ‘nascere’ che non dipende da noi (nessuno di noi ha deciso in prima persona di venire al mondo), da un ‘nascere’ che, invece, è opera nostra al punto che noi siamo – afferma san Gregorio di Nissa – “genitori di noi stessi”. Scrive: “Chi non sa che tutti gli esseri sottomessi al divenire non restano mai identici a se stessi, ma passano continuamente da una forma all’altra, a causa di un cambiamento continuo, che è sempre verso il bene o verso il male? Pertanto, essere soggetti al cambiamento significa nascere continuamente. […] Ma qui la nascita non è causata da un intervento esterno, come avviene per gli esseri corporali… Essa invece è il risultato di una scelta libera; e noi siamo, in un certo senso, i genitori di noi stessi, generando noi stessi nel modo in cui vogliamo essere e formandoci con la nostra volontà secondo il modello che scegliamo per il bene o per il male”.

Dunque, dipende da noi dopo essere nati che la nostra vita si orienti verso il bene che ci fa vivere oppure verso il male che ci porta alla rovina. È quello che già ricordava nell’Antico Testamento il libro del Deuteronomio: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità” (Dt 30,19-20). Nella stessa linea Gesù afferma che chi segue Lui che è la porta della vita “sarà salvo: entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9).

Si comprendono, allora le affermazioni conclusive di san Gregorio di Nissa: “Così noi abbiamo la possibilità, nonostante l’opposizione del tiranno (al tempo di Mosè era il faraone; per noi è il mondo che vuole imporre la sua logica fuorviante), di nascere ad una vita superiore”.

Questa nascita se da una parte è dono di Dio (è Lui che apre davanti a noi la strada della vita), dall’altra è opera nostra: dipende dalla nostra libera scelta orientare i passi sulla via che conduce alla vita. Davvero – conclude san Gregorio di Nissa – siamo di fronte a “una nascita spirituale in cui la libertà opera come nutrice” (da: La vita di Mosé, di Gregorio di Nissa, II,1-4)

Don Luigi Pedrini

Diocesi di Pavia