Archivi categoria: Messaggio Settimanale

23 Novembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo lasciato Mosè infante accolto nella casa del faraone come un figlio, lo ritroviamo, pochi versetti dopo, adulto che va a visitare i suoi “fratelli” per rendersi conto delle loro condizioni di vita. Si recò dai suoi fratelli… (Es 2,11): il testo lascia capire che Mosè è a conoscenza delle proprie origini. Sa di essere un privilegiato in Egitto: pur appartenendo a un popolo oppresso dalla schiavitù è un uomo libero, perfettamente istruito nella sapienza egiziana.

Notò i lavori pesanti da cui erano oppressi (Es 2,11): Mosè si dimostra una persona dall’indole generosa. La sua fortunata condizione non lo porta a disinteressarsi del suo popolo e a vivere agiatamente alla corte del faraone; piuttosto, si dà pensiero per i suoi fratelli. È un giovane intraprendente che vuole assumere le proprie responsabilità di fronte alla vita e che, probabilmente, va considerando che questa vicinanza ai suoi fratelli più sfortunati potrebbe essere proprio il suo campo di lavoro. Si farà paladino presso gli egiziani dei diritti del suo popolo.

È così deciso ad assumersi questa responsabilità che non esita anche a passare ai fatti: Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno, colpì a morte l’Egiziano e lo seppellì nella sabbia (Es 2,11-12). La reazione di Mosè è espressione di un uomo molto deciso, convinto nei suoi principi, forse un po’ idealista come può succedere quando si è ricevuto una formazione culturale un po’ fuori dal comune. Certo, è un uomo generoso, tanto da essere disposto anche a compromettere la propria reputazione pur di difendere i fratelli e essere fedele ai principi in cui crede.

C’è, tuttavia, in questo comportamento qualcosa di stonato: il sentirsi animati da ideali di solidarietà non è necessariamente segno di una missione ricevuta da Dio. Solo la chiamata di Dio abilita alla missione: diversamente si corre il rischio di immettersi in un campo che non è il proprio. E infatti Mosè si vede rimproverato proprio in questo senso da un fratello ebreo: Il giorno dopo, uscì di nuovo e, vedendo due Ebrei che stavano rissando, disse a quello che aveva torto: “Perché percuoti il tuo fratello?”. Quegli rispose: “Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l’Egiziano?”. La domanda è significativa. In fondo gli rinfaccia: “Chi sei tu per ritenerti garante della giustizia in mezzo a noi? Chi ti ha dato autorità?”

Dunque, Mosè, nonostante la sua generosità, si vede rifiutato proprio dai suoi stessi fratelli. Evidentemente percepiscono in questa iniziativa qualcosa di stonato. Forse, si rendono conto che una giustizia puramente umana che oppone violenza a violenza non fa che generare altra violenza e altre uccisioni.

Allora Mosè ebbe paura e pensò: “Certamente la cosa si è risaputa”. Poi il faraone sentì parlare di questo fatto e cercò di mettere a morte Mosè (Es 2.14-15). Mosè rifiutato è preso dalla paura. Lui, guardato come un principe dai suoi fratelli, ora si rende conto di essere un uomo come gli altri, un ebreo tra i tanti. E così si trova a vivere un momento di disillusione che lo provoca a una conoscenza più realistica di sé e a un ripensamento del compito di guida del suo popolo.

Don Luigi Pedrini

16 Novembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver visto come sono andate le cose nella singolare nascita di Mosè, facciamo ora qualche considerazione.

Il testo racconta che Mosè si è salvato dalle acque del Nilo grazie ad una cesta di vimini spalmata di bitume dentro e fuori nella quale era stato collocato. Questa cesta che per Mosè è stata come una scialuppa di salvataggio richiama alla mente l’arca che, all’epoca del diluvio, ha salvato Noè, la sua famiglia e gli animali. Ora, grazie a questa singolare ‘arca’, ad essere salvato è soltanto un bambino, un bambino di pochi giorni.

Proponendo questa sorta di parallelismo tra Noè e Mosè il testo biblico vuole dire una cosa molto importante. Come con Noè Dio ha stretto un’alleanza con la quale offriva in difesa dell’umanità e della creazione la sua benedizione, così con Mosè torna ad offrire un’altra alleanza con la quale dà inizio ad una storia nuova: la storia della salvezza che conduce a Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, nel quale siamo benedetti da Dio con ogni benedizione (cfr. Ef. ). Dunque, Noè e Mosè rimandano entrambi a due nuovi inizi. Possiamo, però, notare una differenza: il secondo inizio è molto più umile del primo: un bambino, una cesta. Comincia a manifestarsi quello stile di povertà tipico dell’agire di Dio che caratterizzerà anche la venuta del Messia: il Figlio di Dio, il Salvatore nel mondo, nasce da una famiglia povera e in un contesto di grande povertà.

Il testo non è privo anche di un certo umorismo: la casa del faraone diventa non solo il luogo ospitale in cui il bambino Mosè trova rifugio, ma anche la scuola nella quale viene formato alla cultura egiziana. Così, colui che Dio chiamerà a liberare Israele cresce e matura proprio alla corte del faraone. Il messaggio del testo biblico è evidente: Dio nella sua onnipotenza e provvidenza è capace di capovolgere le situazioni, inserirsi nelle risoluzioni umane, anche quelle più drammatiche, per dare loro un indirizzo nuovo e inatteso.

Scrive in proposito Pino Stancari: Sembra quasi che l’intervento di Dio creatore consista in una spettacolare presa in giro di tutti i faraoni di questo mondo, ridicolizzati proprio in quegli aspetti di intransigente durezza e di radicalismo fanatico che ne fanno i più cupi oppositori del piano di Dio nella storia. È così che diffondendo sulla storia umana i riflessi del suo sorriso, Dio ribalta dall’interno le intenzioni malvagie dei cuori umani e ne fa degli strumenti – spesso inconsapevoli – della propria opera di salvezza. La creazione del mondo è davvero il frutto di un Dio umorista, che sa piegare al bello le opposizioni umane (P. Stancari, Lettura spirituale dell’Esodo, Borla, Città di Castello 1979, pp. 25-26).

Don Luigi Pedrini

09 Novembre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 09 Novembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

 dopo aver riferito circa il contesto, entriamo ora direttamente nella vicenda di Mosè: al capitolo 2 del libro dell’Esodo troviamo il racconto della sua nascita. Inizia dicendo che un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi e che la donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi (Es 2,1-2).

La nascita di Mosè avviene nel momento in cui, a motivo della decisione del faraone, è scoppiata una vera tragedia per i figli di Israele: Ogni maschio che nascerà agli ebrei, lo getterete nel Nilo, così si legge in Es 1,22. Questo spiega il particolare del nascondimento del bambino. Protagonisti di questa nascita ‘trasgressiva’ dell’ordine del faraone sono dei personaggi umili, anonimi, genericamente qualificati come un uomo della famiglia di Levi e una discendente di Levi: sono persone che non si lasciano intimidire dal dettato del faraone e, dalla loro unione, nasce un figlio.

Interessante, la precisazione sulla bellezza del bambino: era bello, così come ‘belle’ sono qualificate nel libro della Genesi tutte le creature uscite dalla mano di Dio nel momento della creazione. Questa nota sulla bellezza che rimanda all’inizio della creazione sembra voler dire che con questo bambino Dio sta avviando qualcosa di nuovo che somiglia all’originaria opera creativa. E, in effetti, sarà proprio così. Attraverso di lui Dio verrà plasmando il suo popolo, Israele. Dunque, Dio ancora una volta – come già ai tempi di Noè – interviene per ridonare ordine e luce ad umanità che rischia sempre di lasciarsi confondere dalle tenebre del male.

Ma ecco che cosa accade. La donna non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese per lui un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo, mentre la sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto (Es 2,3-4).

Sopraggiunge proprio in quel frangente la figlia del faraone che scendeva al Nilo per fare il bagno: vede la cesta, l’apre, trova il bambino, si rende conto che è un bambino degli ebrei (Es 2,6), si commuove e decide di prendersene cura affidandolo ad una nutrice. A questo punto, si fa avanti la sorella del bambino che chiede alla figlia del faraone se deve chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per lei il bambino. La risposta è positiva e il bambino – ironia della sorte – viene affidato proprio alla madre. Così, una volta svezzato, Mosè – questo è il nome che la figlia del faraone aveva voluto dare al bambino per ricordare che ella lo aveva salvato dalle acque – viene portato a corte, dove cresce sotto la protezione della figlia del faraone che lo considera come un proprio figlio.

Questo è il singolare inizio della vicenda di Mosè sul quale è utile fare qualche considerazione. Ma rimandiamo alla prossima volta.

don Luigi Pedrini

02 Novembre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 01 Novembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

 dato che è recente la beatificazione di Paolo VI e che mi ispirerò a lui in questi giorni celebrando la festa di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, riferisco per una prima conoscenza del Beato le tappe fondamentali della sua vita.

 Il 26 settembre 1897 Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, nasce a Concesio (Brescia) da Giorgio Montini, esponente di primo piano del cattolicesimo sociale e politico italiano di fine Ottocento, e da Giuditta Alghisi. Ordinato sacerdote il 29 maggio 1920, il giorno seguente celebra la prima Messa nel Santuario di Santa Maria delle Grazie in Brescia.

  • Trasferitosi a Roma, tra il 1920 e il 1922 il futuro Papa Paolo VI frequenta i corsi di Diritto civile e di Diritto canonico presso l’Università Gregoriana e quelli di Lettere e Filosofia presso l’Università statale. Nel maggio 1923 inizia la carriera diplomatica presso la Segreteria di Stato di Sua Santità. È inviato a Varsavia come addetto alla Nunziatura Apostolica. Rientrato in Italia nell’ottobre dello stesso anno, è nominato dapprima (1924) assistente ecclesiastico del Circolo romano della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), quindi nel 1925 assistente ecclesiastico nazionale della stessa Federazione, carica che lascerà nel 1933. Il 13 dicembre 1937 è nominato Sostituto della Segreteria di Stato e il 29 novembre 1952 Pro-Segretario di Stato per gli Affari Straordinari.

  • Il 1° novembre 1954 Pio XII lo elegge arcivescovo di Milano. Il 15 dicembre 1958 Giovanni Battista Montini è creato cardinale da Giovanni XXIII. Il 21 giugno 1963 viene eletto Pontefice e il 29 settembre apre il secondo periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II, che, alla fine del quarto periodo, concluderà solennemente l’8 dicembre 1965.

  • Il 1° gennaio 1968 celebra la prima Giornata mondiale della Pace. Il 24 dicembre 1974 apre la Porta Santa nella Basilica di San Pietro, inaugurando l’Anno Santo del 1975. Il 16 aprile 1978 scrive alle Brigate Rosse implorando la liberazione di Aldo Moro e il 13 maggio nella basilica di San Giovanni in Laterano assiste alla messa in suffragio dello statista assassinato e pronuncia una solenne preghiera. Il 6 agosto 1978, alle ore 21.40, muore nella residenza estiva dei papi a Castel Gandolfo. Domenica 19 ottobre è stato proclamato ‘Beato’.

Trascrivo una frase che egli alla vigilia dell’Ordinazione sacerdotale aveva scritto su un taccuino. È sotto forma di domanda, come a stimolare se stesso a prendere sul serio quanto annotava: “Sono persuaso che l’uomo ha con sé nella vita qualche cosa che più di lui può e vale, che vivrebbe anche senza di Lui e che sola vive per sé, che sola fa vivere, cioè la verità?”.

Come si vede è una grande speranza: la stessa che noi celebriamo in questi giorni pregando i Santi e per i nostri Defunti e che anche noi vogliamo fare nostra.

Don Luigi Pedrini

26 Otobre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 26 Ottobre 2014

Carissimi Parrocchiani,

in questa domenica, 26 ottobre, 9 ragazzi e 6 ragazze della nostra parrocchia saranno ‘confermati’ attraverso il sacramento della Cresima conferita dal nostro Vescovo Mons. Giovanni Giudici; inoltre, riceveranno per la prima volta il dono dell’Eucaristia.

È una tappa molto importante della loro vita. È l’inizio di un cammino che ha come meta la maturità della fede cristiana, cioè quella piena disponibilità alla volontà di Dio che è condizione necessaria perché Egli possa realizzare in ciascuno di loro il suo disegno. Ora, il disegno è abbozzato: si tratta di portarlo a compimento.

Un po’ come nella realizzazione di un’icona: ci sono diversi stadi. Prima bisogna incidere il disegno nel legno che è – come dicono gli iconografi – il lavoro primario; poi, bisogna mettere l’oro quale sfondo e stendere le prime pennellate di colore; da ultimo, si stendono i colori definitivi.

Con i sacramenti che domenica ricevono, possiamo dire che il disegno di Dio nei nostri ragazzi è ben delineato e che adesso hanno a diposizione anche i diversi colori e l’oro (sono i doni i doni di grazia di Dio: lo Spirito Santo, l’Eucaristia, il sacramento del Perdono, la preghiera, la Parola di Dio…). Inoltre, attraverso l’educazione alla fede ricevuta in questi anni, conoscono anche l’Iconografo – che in questo caso è il Signore stesso – Lui che con mano esperta può forgiare la loro vita. Occorre soltanto che con costanza si lascino condurre da Lui, buon Pastore, l’unico che è capace di introdurci nei pascoli fertili, cioè in una vita buona, bella, vera.

È l’augurio che noi facciamo ai nostri ragazzi, con l’impegno da parte nostra ad aiutarli e a incoraggiarli nel cammino intrapreso.

Riporto qui i loro nomi perché abbiamo ad essere loro vicini con la condivisione e la preghiera.

  1. Alberizzi Emanuele
  2. Bernuzzi Nicolò
  3. D’Introno Yara Marie
  4. Ercole Lavinia
  5. Irno Sara
  6. Muggiati Filippo
  7. Napolitano Maria
  8. Polli Riccardo
  9. Pozzoli Riccardo
  10. Ravelli Simone
  11. Scrivani Nicolò
  12. Schirinzi Alessandro
  13. Silini Stefano
  14. Zambelli Rossana
  15. Zurli Sara

Don Luigi Pedrini

19 Ottobre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 19 Ottobre 2014

Carissimi Parrocchiani,

accennavo la settimana scorsa che l’Egitto non è una terra che aiuta a fare affidamento alla Provvidenza di Dio. Essa dispone di quel grande fiume che è il Nilo capace di assicurare acqua in abbondanza anche nei tempi di siccità e anche se l’acqua non viene dal cielo, l’egiziano può attingere col lavoro a questo grande serbatoio e così irrigare la campagna perché fruttifichi. Non servono, dunque, mani rivolte al cielo in preghiera, ma mani operose che con la fatica e l’intraprendenza del lavoro sanno porre rimedio alla penuria della pioggia.

La terra di Canaan le cose stanno diversamente. Essa, a differenza dell’Egitto non è attraversata da un grande fiume simile al Nilo. È un “paese di monti e valli” che per essere irrigato ha bisogno, invece, della pioggia del cielo. In quella terra il popolo di Israele, quasi di necessità, sarà portato a vivere maggiormente appoggiato al suo Dio. La geografia della terra favorirà un atteggiamento di affidamento alla Provvidenza divina.

Da questo punto di vista si può dire che Egitto e Terra promessa rappresentano due modi diversi di guardare la vita: l’Egitto rappresenta l’uomo che ritiene di potersi costruire da solo con le proprie forze e la propria intraprendenza; la Terra promessa rappresenta, invece, l’uomo che si lascia costruire da Dio.

A questo si deve aggiungere che l’Egitto era anche la terra della confusione, perché vi si veneravano come divinità gli animali, il fiume, il sole, cioè quelle creature che nel libro della Genesi sono chiaramente distinte da Dio e vengono semplicemente qualificate come ornamenti della creazione. Anche il sole e la luna, tanto considerati dalla religiosità egiziana, per la Scrittura sono soltanto due lampade che illuminano la terra: la lampada grande per il giorno e quella piccola per la notte. Lo stesso faraone in Egitto era considerato una divinità, contrariamente alla Scrittura che sa distinguere bene tra Dio in quanto Creatore e l’uomo in quanto creatura.

Dunque, in Egitto si confondono le creature con Dio e anche questo diventa insieme all’oppressione della schiavitù, un altro motivo per uscire dall’Egitto: non si può vivere nel paese della confusione.

Mosè è l’uomo che riceve da Dio la missione di liberare il suo popolo dalla schiavitù e di ricondurlo nella terra di Abramo: la terra di Canaan, la terra promessa.

Questa missione lo impegnerà a lottare contemporaneamente su due fronti: con il faraone primariamente, ma anche con il suo stesso popolo. E si comprende: è sempre difficile lasciare la terra in cui da tempo si vive, anche se è una terra di schiavitù. Partire per il popolo di Israele voleva dire inoltrarsi nel deserto e incamminarsi verso una terra di libertà che, però, appariva lontana e quasi un sogno impossibile. In questo contesto è del tutto comprensibile che sia molto forte la tentazione di prendere tempo.

 Don Luigi Pedrini

12 Ottobre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 12 Ottobre 2014

Carissimi Parrocchiani,

 cominciamo a familiarizzarci con la figura di Mosè. Lo si incontra per la prima volta all’inizio del capitolo 2 del libro dell’Esodo e da lì diventa il protagonista dei racconti riferiti nei libri restanti del Pentateuco.

Gli esegeti sono unanimi nell’affermare che Mosè è un personaggio storico, realmente esistito. Vari elementi lo provano. Tuttavia, la prima preoccupazione della Parola di Dio non è di riferire la storia di Mosè, ma di comprendere la storia di Israele alla luce della fede. È, allora, in questo orizzonte teologico-spirituale che vanno letti i racconti biblici, compresi quelli che si riferiscono a Mosè.

La sua vicenda ci porta in Egitto, la terra in cui i figli di Giacobbe sono andati ad abitare. La ragione della loro presenza in questa terra la conosciamo attraverso la storia di Giuseppe, riferita nel libro della Genesi. A motivo della carestia che imperversava nella terra di Canaan l’Egitto era apparso una terra ospitale e appetibile. Per questo i figli di Giacobbe, accogliendo l’invito di Giuseppe vi si erano stabiliti con le loro famiglie.

Da allora, però, molti anni sono passati – circa 400 precisano gli storici – e molte cose sono cambiate: il paese dell’accoglienza provvidenziale si è trasformato, lentamente, nel paese della schiavitù e dell’oppressione. La situazione va peggiorando fino a diventare insopportabile. L’Egitto diventa un paese da cui occorre uscire.

Ma c’è di più. L’Egitto non è soltanto il paese dove i figli di Israele sono trattati da schiavi e, quindi, non possono essere liberi; è anche il paese nel quale è impedita una vera conoscenza di Dio e, di conseguenza, anche un vero culto a Dio. Il bisogno di meglio “conoscere il Signore” e santificare il suo nome diventa un ulteriore incentivo a uscire dall’Egitto per incamminarsi verso la terra di Abramo. Il libro del Deuteronomio offre un testo che mette bene in luce questa dialettica tra la terra d’Egitto e la terra di Canaan.

Il paese di cui stai per entrare in possesso non è come il paese d’Egitto da cui siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con il piede, come fosse un orto di erbaggi; ma il paese che andate a prendere in possesso è un paese di monti e di valli, beve l’acqua della pioggia che viene dal cielo: paese del quale il Signore tuo Dio ha cura e sul quale si posano sempre gli occhi del Signore tuo Dio dal principio dell’anno sino alla fine (Dt 11,10-12).

Stando al testo l’Egitto – questa terra che è tutta una pianura desertica attraversata da una striscia di terra verde resa fertile dalle acque del Nilo – è un paese in cui è forte il pericolo di confondere la grazia di Dio con l’efficienza delle forze umane. L’espressione “lo irrigavi con il piede” allude precisamente al lavoro del piede e della gamba degli uomini con il quale si faceva salire l’acqua dal letto del fiume e si irrigava la terra assetata. Non così, invece, nella terra di Canaan… Ma per questo rimandiamo alla prossima volta.

Don Luigi Pedrini

21 Settembre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 21 Settembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

dopo la pausa estiva che ci ha dato occasione di osservare più da vicino, nei suoi particolari, la bella Icona della Vergine della Tenerezza, riprendiamo il tracciato del nostro cammino accostando la figura di Mosè.

È un altro sentiero di fede che insieme percorriamo, dopo quello di Abramo, di Giacobbe e di Giuseppe. Ognuno con la sua originalità e la sua ricchezza. La particolarità del sentiero di Mosè e che la sua vicenda è tutt’uno con una vicenda più grande: quella del nascente popolo di Israele, che non è altro che il germe di quella discendenza numerosa come le stelle che Dio aveva promesso ad Abramo e che, poi, puntualmente, aveva riconfermato agli altri patriarchi.

A partire da Mosè il popolo di Israele diventa il vero protagonista di tutta la storia successiva narrata dalla Bibbia. In questa storia non mancheranno significative figure di fede che, per la loro autorevolezza, si affiancheranno ai Patriarchi: pensiamo, ad esempio, al profeta Geremia, al sapiente Ben Sirach, allo stesso re Davide.

Eppure, d’ora in avanti, l’interlocutore fondamentale con Dio è il popolo di Israele. Dio dialoga con questo popolo che non può vantare meriti né di grandezza e di potenza; né di bravura e di fedeltà. La sua carta vincente è semplicemente quella di essere termine dell’amore preveniente, gratuito e fedele di Dio che lo ha scelto e lo ha privilegiato sugli altri popoli.

Riprendendo l’immagine iniziale del sentiero possiamo dire che i cammini di fede di Abramo, di Giacobbe, di Giuseppe e, ora, di Mosè sono indubbiamente sentieri importanti per elevarci verso la vetta della contemplazione di Dio. Tuttavia, la strada maestra è il filo rosso costituito da questo dialogo che Dio intesse con il popolo di Israele. Un filo che attraversa il solco della storia umana, la segna ed è emblematico per ogni cammino di fede.

La decisività di questo dialogo tra Dio e il popolo di Israele sta nel fatto che ha il suo punto di arrivo in Gesù che è il Verbo di Dio rivestito di umanità, la Parola eterna di Dio fatta carne. In quanto si realizza pienamente in lui l’incontro tra Dio e l’umanità, possiamo dire che in Gesù dialogo iniziato tra Dio e l’umanità rappresentata dal popolo di Israele raggiunge il suo scopo e il suo compimento.

Noi contempleremo questo dialogo seguendo i passi di Mosè, che è stato un vero padre per il popolo di Israele: grazie a lui Israele è nato come popolo di Dio, ha intrapreso una via di libertà, ha imparato a conoscere Dio.

Pertanto, in Mosè ci è offerta una finestra privilegiata per poter contemplare nella fede la storia che andiamo ad iniziare.

Don Luigi Pedrini

 

14 Settembre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 14 Settembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

anticipo in prima pagina il calendario liturgico per riportare per intero la lettera che il Vescovo ci ha inviato in questa settimana quale conclusione della Visita Pastorale che ha svolto fra noi nello scorso aprile. Egli ringrazia per l’accoglienza ricevuta e ci incoraggia a camminare sulle strade intraprese in spirito di collaborazione e di fede. Rinnovo il mio grazie a tutti con la certezza che sapremo far tesoro delle preziose indicazioni contenute nella lettera e così rendere sempre più luminoso il volto della nostra parrocchia.

Don Luigi Pedrini

07 Settembre 2014

San Leonardo Confessore (Linarolo), 07 Settembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

al termine del commento dell’Icona, mi sembra giusto portare alla conoscenza di tutti quanto suor Maggie, l’autrice, ha scritto a mano sul retro del dipinto. Questa è l’iscrizione:

 

MARIA MADRE DELLA TENEREZZA

(Chiesa dei Frati Minori di Cermenate – CO)

Domenico Ghiotti ‘92

 

Prototipo: Come in tutte le Icone delle Eleoùsa il Bambino guarda la Madre. In Lei riconosce

la pienezza del dono di sé. Grazie alla sua apertura totale a Dio, Ella appartiene eminentemente al vulnerabile: e proprio questa vulnerabilità suscita nel Dio-Bambino il sentimento della tenerezza.

L’icona appartiene al tipo Vergine della Tenerezza, che nell’arte tardo-bizantina si chiama anche ‘Glykophilousa’, cioè “ del dolce bacio” (titolo specifico dato a questa Icona) e rappresenta la Vergine che vezzeggia il Bambino, il quale a sua volta preme la propria gota contro quella della Madre e, con fare giocoso, le accarezza il mento.

Il Bambino Gesù, in atteggiamento giocoso tra le braccia della Vergine, viene raffigurato nell’arte bizantina con particolare frequenza a partire dal XII secolo.

In questa tipologia si sottolinea sia la fragilità infantile di Cristo, sia il presentimento della futura sofferenze della Passione, come si percepisce dall’espressione d’afflitta pensosità sui volti della Madre e del Salvatore.

Tecnica di realizzazione: La base dell’Icona è una tavola di legno su cui si stende una tela che poi viene

ricoperta con diversi strati di gesso. Dopo essere stata accuratamente levigata, viene inciso il disegno. In seguito, con una delicata procedura viene applicato l’oro e dopo si inizia la stesura di diversi strati di colore, dal più scuro al più chiaro. Questa tecnica viene chiamata illuminazione perché indica il cammino dell’uomo verso la nuova creatura – nella luce di Dio –.

Autentica: Questa icona è fatta “scritta” a mano da Maggie.

Dipinta a “tempera a uovo” (pigmenti).

Donata a: don Luigi Pedrini in occasione della celebrazione dell’Inno AKATHISTOS

e benedetta da lui stesso nella Chiesa di San Leonardo, Confessore

il 31 maggio 2014

L’iconografo segue alcune regole spirituali durante la lavorazione, come la preghiera che si

recita prima di iniziare a scrivere:

O DIO PADRE, IN NOME DEL TUO FIGLIO GESÙ CRISTO ,

MANDA LA GRAZIA DEL TUO SANTO SPIRITO SU QUESTA ICONA

(CHE IL TUO SERVITORE DIPINGE A TUA GLORIA, O SANTISSIMA TRINITÀ,

CON LA TUA MANO INVISIBILE BENEDICI QUESTA ICONA,)

DALLE LA FORZA DI AZIONE SANTIFICANTE PERCHÈ TUTTI COLORO

CHE VI SI AVVICINERANNO CON VENERAZIONE

OTTENGANO SALUTE, SANTIFICAZIONE E BENEDIZIONE