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23 SETTEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

stiamo considerando le virtù del giovane Davide. Già abbiamo riferito riguardo al suo coraggio, alla sua lealtà e alla sua pazienza. Ora ci soffermiamo sulla sua testimonianza di libertà interiore.

Davide anche nella situazione di prova estrema in cui viene a trovarsi in seguito alla persecuzione di Saul si dimostra un uomo profondamente libero: fermo nelle sue convinzioni, ma anche scevro da rigidità e chiusure. Davide è un uomo capace di assecondare il corso positivo degli eventi rinunciando all’occorrenza alle decisioni precedentemente prese e cambiando anche parere pur di far prevalere un atteggiamento di dialogo costruttivo e di avvicinamento delle parti.

Una testimonianza significativa di questa duttilità interiore è offerta dalla vicenda di Nabal che è narrata nel cap. 25 del Primo Libro di Samuele.

Nabal viveva stabilmente con la sua famiglia nel deserto ed era un pastore facoltoso: possedeva infatti tremila pecore e mille capre. Nei suoi confronti Davide ha sempre avuto un atteggiamento di benevolenza: ha sempre avuto rispetto per lui, la sua famiglia, la sua proprietà e in alcune occasioni è pure intervenuto con i suoi uomini per difenderlo dai predoni del deserto.

Accade che Davide, passando nei pressi dei suoi terreni nel periodo in cui Nabal, secondo l’usanza, stava facendo festa con i suoi garzoni durante la tosatura del gregge, avendo esaurito le scorte di cibo, invia da lui alcuni dei suoi uomini per chiedergli, quale sorta di ricompensa per la benevolenza che gli ha sempre usato, un approvigionamento di cibo per lui e quanti aveva al suo servizio.

Questa richiesta aveva nella prassi di allora una sua plausibilità. Davide aveva assunto nel deserto la fisionomia del ‘predone’ e viveva di espedienti alla stregua di tuffi i predoni del deserto. Nonostante questo non aveva mai usato la sua forza contro Nabal e, anzi, si era preso a cuore la sua sorte. Ora, pressato dalla necessità, rivendica il diritto ad avere un aiuto in contraccambio.

A questa richiesta però Nabal oppone una risposta sprezzante: “Chi è Davide e chi è il figlio di Iesse? Oggi sono troppi i servi che vanno via dai loro padroni.11Devo prendere il pane, l’acqua e la carne che ho preparato per i tosatori e darli a gente che non so da dove venga?” (vv. 10-11).

Con queste parole egli si dimostra un uomo ingrato, incapace di riconoscere i favori ricevuti. L’affronto era dunque molto grave e Davide sia perché pressato dalla necessità contingente, sia per una questione di puntiglio, ritiene che non vada lasciato impunito. A suo giudizio Nabal merita una punizione proporzionata all’arroganza dell’affronto che gli ha fatto.

Davide andava dicendo: “Dunque ho custodito invano tutto ciò che appartiene a costui nel deserto; niente fu sottratto di ciò che gli appartiene ed egli mi rende male per bene. 22Tanto faccia Dio a Davide e ancora peggio, se di tutti i suoi lascerò sopravvivere fino al mattino un solo maschio!” (vv. 21-25).

Così Davide con i suoi 400 uomini si mette in cammino per raggiungere Nabal e vendicare l’offesa. Entra in scena, però, a questo punto la moglie di Nabal. Ella si rende conto del pericolo che incombe sulla sua famiglia e mentre il marito, stoltamente, va avanti a banchettare e a far festa nel completo disinteresse della richiesta che gli era stata fatta, prende l’iniziativa di andare incontro a Davide.

Di questo incontro riferiremo la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

16 SETTEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

come saprete nel prossimo ottobre il Papa Paolo VI verrà proclamato santo. Riporto qui tre testi che ho trovato molto illuminanti in riferimento al Vangelo di questa domenica 23° del tempo ordinario.

Nel primo testo Paolo VI rispondendo alla domanda: “Chi è Gesù?” scrive:

Gesù è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e ci ama; è il compagno e l’amico della nostra vita; è l’uomo del dolore e della speranza […] Come noi, e più di noi, Egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore, … Per noi, ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo è Gesù Cristo è il principio e la fine; è il segreto della storia; è la chiave dei nostri destini, è il mediatore, il ponte, fra la terra e il cielo. Egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché Egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne…

Sullo sfondo del secondo testo c’è invece la domanda: “Chi è Gesù per noi?”. La risposta che dà ruota attorno a un’affermazione ricorrente: “Tu ci sei necessario”.

O Cristo nostro unico Mediatore.

Tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare con Te suoi figli adottivi, per essere rigenerati dallo Spirito Santo.

Tu ci sei necessario o solo vero Maestro delle verità recondite e indispensabili della vita.

Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria morale e per guarirla

Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le vere ragioni della fraternità fra gli uomini.

Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare ad essa un valore d’espiazione e di redenzione.

Tu ci sei necessario, o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione e per avere la certezza che non tradisce in eterno.

Tu ci sei necessario, o Cristo, per imparare l’amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della tua carità la nostra via faticosa, fino all’incontro finale con Te amato, atteso, benedetto nei secoli.

Il terzo testo è una preghiera che si trova nei Diari giovanili scritta da Paolo VI nel 1931 quando era ancora un giovane prete di 33 anni. Esprime il desiderio di percorrere, senza riserve, la via di Cristo.

Io confido in Te / perché in nessuno posso confidare / e di me debbo diffidare.

Signore / come frenerò questo superbo desiderio di scienza / di gonfio sapere, di studio appassionato, / sì che Tu solo sia mia luce e mia intima pace?

Come imparerò l’impossibile preghiera/ preghiera immobile, fervida, / umile, generatrice d’azione?

Come imparerò l’impossibile umiltà, / umiltà vera che è il recipiente della carità, / umiltà necessaria che è la regola della via giusta, / umiltà soave senza di che l’azione è disordine / umiltà lontana da me più che le stelle del cielo?

Come imparerò a non lamentarmi mai, / ad essere caritatevole, / a stimare i miei fratelli, / ad amare gli antipatici, / a non giudicare alcuno?

Potrò io, non dico compiere l’eroismo / senza il quale non vi è santità, / ma compiere i più elementari sacrifici / con animo povero, con cuore puro, con perseveranza forte e serena?

Io vorrei tutto questo, / perché vorrei amarti.

Mio Dio, Padre, Infinitamente Padre, / lo voglio / perché confido ciecamente in Te.

Confido in Te, confido che Tu trionfi in me, Padre. Amen.

Don Luigi Pedrini

09 SETTEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

stiamo riferendo circa il comportamento virtuoso del giovane Davide. Già abbiamo ricordato le virtù del coraggio e della lealtà: ora, ci soffermiamo sulla pazienza.

Questa virtù risplende nella capacità di Davide di rispettare i tempi ‘lunghi’ di Dio. Quanto tempo passa dal momento in cui Samuele lo consacra quale successore di Saul e il momento in cui comincia a regnare. Quanti anni e quante vicissitudini!

Davide, in questa attesa, avrebbe potuto spazientirsi e cedere alle due tentazioni che affiorano puntualmente in questa circostanza: poteva mettere da parte tutto e dire che è stato un bel sogno, ma niente di più, perché gli ostacoli che si frappongono sono troppo grandi; oppure, al contrario poteva decidere a un certo punto di prendere in mano lui la situazione e di forzare in certa misura i tempi di Dio.

Sappiamo che queste sono state proprio le tentazioni di Abramo, Da una parte, ci sono episodi in cui egli lascia vedere un atteggiamento rinunciatario in ordine alla promessa di quella discendenza che deve nascere da lui: lo si vede chiaramente quando trovandosi in pericolo di vita in Egitto si dimostra disposto a cedere Sara in moglie al faraone, rinunciando a colei che solo poteva permettere alla promessa di andare a compimento. Dall’altra, ci sono episodi che vedono un cedimento di Abramo nell’altra direzione. Lo si constata quando ad esempio pensa di trovare lui la soluzione per avere una discendenza: da questo suo prendere in mano la situazione nasce Ismaele il figlio della promessa così come egli pensa. Altri però erano i disegni di Dio.

Nella vicenda di Davide sorprendentemente non troviamo mai cedimenti né alla prima tentazione, quella di tirare i remi in barca e di ritirarsi dalla scena; né alla seconda, quella della fretta, quella cioè di chi vuole anticipare e mandare a compimento i tempi di Dio. Eppure, Davide ha conosciuto occasioni in cui si è visto esposto a queste tentazioni: quando ad esempio fuggiasco si vede costretto per avere salva la vita a riparare presso i suoi stessi nemici, i Filistei: lì deve essere stata forte la tentazione di cedere allo smarrimento e di mettere sopra una pietra su quello che aveva accolto come il disegno di Dio su di lui. Nonostante questo va avanti, continua a perseverare, si fida di Dio e mette a frutto tutte le sue forze e anche la sua astuzia. Ugualmente, quando gli si presenta l’occasione di disfarsi una volta per tutte del suo persecutore, di Saul, alzando la mano contro di lui prontamente prende le distanze da una simile risoluzione: “Per la vita del Signore, solo il Signore lo colpirà o perché arriverà il suo giorno e morirà o perché scenderà in battaglia e sarà tolto di mezzo. Il Signore mi guardi dallo stendere la mano sul consacrato del Signore” (1 Sam 26,10-11).

Don Divo Barsotti considerando proprio questa capacità di paziente attesa di Davide che in nessuno modo ha forzato i tempi di Dio, anche alla luce dei trent’anni di silenzio vissuti da Gesù a Nazaret, trent’anni di attesa prima di dare inizio al suo ministero, ne ricava questo insegnamento: Non dobbiamo aver fretta con Dio. Una delle virtù che dobbiamo esercitare di più è la pazienza, sopportare il silenzio di Dio, fidarsi di Dio anche se tace, anche se è lontano. Nella vita spirituale quante volte ci sembrerà che Dio neppure esista, ci sentiremo soli, inutili, sentiremo che la nostra vita precipita nel vuoto. Pazienza, umiltà e assoluta dimenticanza di sé: questo è il primo insegnamento che il Signore ci dà (op. cit. pp. 123-124).

Don Luigi Pedrini

02 SETTEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver focalizzato l’amicizia esemplare che si è instaurata tra Davide e Gionata, passiamo ora a una seconda focalizzazione: poniamo attenzione alle virtù che risaltano nell’umanità di Davide e che la rendono luminosa, schietta, lasciando trasparire la fede quale loro anima e centro unificatore.

Sono molteplici le virtù che rendono bella la testimonianza del giovane Davide e lo rivelano come pastore secondo il cuore di Dio.

Anzitutto, la virtù del coraggio. Ne è prova la vicenda del duello da lui sostenuto con Golia nel quale si espone prontamente al pericolo, non li lascia bloccare dalla paura che teneva in scacco tutti gli israeliti. La sua testimonianza di coraggio non nasce da spavalderia o da esuberanza giovanile come insinua il fratello maggiore. Nasce, invece, dall’atteggiamento tipico del credente che ha la certezza di poter sempre contare su Dio. Sono emblematiche le parole che Davide pronuncia prima di affrontare il duello: “Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo filisteo (1 Sam 17,37); “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore” 1 Sam 17,45). Rivelano su quale fondamento poggia il coraggio del credente: egli non è un eroe o un superuomo; è solo un uomo di fede che ripone in Dio tutta la sua speranza.

Insieme al coraggio risplende anche la virtù della lealtà. Possiamo intendere questa virtù come un muoversi in trasparenza, senza secondi fini, né infingimenti e ugualmente come fedeltà alla parola data. Tutto questo si vede bene nel suo rapporto di amicizia con Gionata. Davide manifesta all’amico i suoi timori, le sue intenzioni: non gli nasconde nulla. L’impegno che si era preso con lui di usare sempre benevolenza verso la sua famiglia mantiene fino alla fine della sua vita. Anche quando patirà sofferenze e umiliazioni proprio da persone che appartengono alla famiglia di Saul, egli userà sempre nei loro confronti un atteggiamento di misericordia proprio per rimanere fedele alla promessa fatta all’amico.

Oltre al coraggio e alla lealtà dobbiamo ricordare la virtù della pazienza. Questa virtù risplende nella capacità di Davide di rispettare i tempi ‘lunghi’ di Dio. Quanto tempo passa dal momento in cui Samuele lo consacra quale successore di Saul e il momento in cui comincia a regnare. Quanti anni e quante vicissitudini!

Ma di questo parleremo la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

05 AGOSTO 2018

Carissimi Parrocchiani,

alla luce di quanto abbiamo detto, sia riferendo i momenti salienti del legame di amicizia tra Davide e Gionata, sia riferendo le esperienze di amicizia vissute da Gesù, possiamo mettere in risalto alcune caratteristiche fondamentali di questa straordinaria esperienza umana.

Una prima caratteristica è il suo carattere di spontaneità e di sorpresa. L’amicizia non è frutto di calcolo, di programmazione: nasce semplicemente in modo non preventivato e improvviso. È pertanto un dono da accogliere con gratitudine. Certamente, si può parlare di una preparazione ‘remota’ al dono di amicizia che si realizza mediante la coltivazione e la custodia di atteggiamenti quali la benevolenza, il rispetto, la bontà verso gli altri. Questi atteggiamenti creano un terreno ben disposto perché possa fiorire l’amicizia che, in ogni caso, conserva il suo carattere di dono gratuito.

Un’altra caratteristica è costituita dal legame di fedeltà che la connota. Si tratta di un legame solido, che non si lascia intimorire da nessuna difficoltà e che si espone anche al rischio della morte. La vera amicizia è animata da una fedeltà disposta a dare tutto, anche la vita se necessario. Sia nell’amicizia tra Davide e Gionata, sia in quella vissuta da Gesù abbiamo riscontrato questa fedeltà senza riserve disposta a tutto per l’amico.

Una terza caratteristica è il tratto di consolazione che è insito in ogni esperienza di amicizia. Da questo punto di vista l’amicizia è un vero balsamo che ristora e dà speranza. Nel buio delle prove vissute da Davide in seguito alla persecuzione di Saul nei suoi confronti, l’amicizia con Gionata è stata per lui un costante faro di luce. Ugualmente, possiamo immaginare che per Gesù essere ospite nella casa di Betania, in compagnia dell’amico Lazzaro e delle sue sorelle Marta e Maria, nel mezzo di giornate faticose vissute non di rado in un bagno di folla che gli faceva ressa attorno presentando le necessità più diverse, era fonte di grande consolazione e pace. Poche cose danno sapore e bellezza alla vita come la freschezza dei rapporti umani vissuti nella loro immediatezza e semplicità.

In conclusione, dai testi che abbiamo richiamato, emerge con chiarezza che le relazioni di amicizia sono realtà buone in sé stesse, così come lo sono tutte le realtà che vengono da Dio. Emerge inoltre che l’amicizia può essere addirittura suggellata con un patto di fedeltà reciproco stipulato davanti al Signore. Così è avvenuto nel legame di amicizia che si è instaurato tra Davide e Gionata. Anche Gesù ha voluto suggellare la sua amicizia con noi lasciandoci un segno perenne: questo segno è l’Eucaristia. In questo sacramento noi possiamo scorgere i tratti di un amore fedele, perseverante, che è arrivato per noi fino al dono supremo di sé.

In questo modo, la nostra riflessione sull’amicizia non ci conduce soltanto all’apprezzamento del dono dell’amicizia – traguardo non da poco -, ma ci innalza fino alla contemplazione e all’adorazione dell’Eucaristia quale modello insuperabile e compiuto di ogni legame di amicizia.

Possiamo terminare con le parole del Salmo 133: Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste. È come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre.

Don Luigi Pedrini

29 LUGLIO 2018

Carissimi Parrocchiani,

stiamo considerando i testi del quarto vangelo in cui si fa riferimento all’amicizia di Gesù con l’apostolo Giovanni. Ci siamo soffermati sui primi quattro testi. Ne resta ancora uno che si trova nell’ultimo capitolo del Vangelo, il capitolo 21, ai versetti 4-7 e 20-23.

Il rimando a Giovanni si trova all’interno dell’episodio della pesca miracolosa avvenuta dopo la risurrezione di Gesù. Alcuni apostoli, accogliendo l’invito di Pietro, vanno a pescare, ma questo primo tentativo non ottiene alcun frutto. Fa seguito una seconda pescagione intrapresa in obbedienza all’invito rivolto loro da un uomo sconosciuto a gettare nuovamente la rete e questa volta la pesca è straordinariamente abbondante: la gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. La reazione di Giovanni di fronte a questo esito sorprendente è stata immediata: Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore! “ (v. 7). Dunque, Giovanni per primo riconosce che quell’uomo è Gesù risorto.

L’episodio, come già quelli precedenti, conferma che quando si realizza pienamente il connubio fra fede e amore allora si è nelle condizioni di vedere anche ciò che immediatamente sfugge allo sguardo. La fede rischiarata dall’amore vede più in profondità e per questo Giovanni, il discepolo amato, è il primo a riconoscere Gesù.

Il testo continua offrendo una seconda menzione di Giovanni. Pietro infatti, dopo che Gesù gli ha predetto il cammino che lo attende e che lo porterà a testimoniare la sua vita fino al dono di sé, gli chiede qualche notizia sul destino futuro di Giovanni: “Signore, che cosa sarà di lui? “ (v. 22). La risposta di Gesù è una contro-domanda (“Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”, v. 22) nella quale non precisa cosa sarà di lui, ma sembra alludere a una vita longeva. In effetti, Giovanni non andrà incontro al martirio come è avvenuto per la maggior parte dei dodici apostoli. Morirà anziano non senza aver prima assolto quel compito di custodia e di filiazione spirituale nei confronti di Maria che Gesù gli aveva affidato.

Al termine di questa rassegna di testi è giusto domandarci per quale ragione Gesù abbia instaurato questo rapporto preferenziale di amicizia con Giovanni. Così risponde il card. Martini: (I testi citati) richiedono una prolungata contemplazione e potremmo chiedere al Signore di farci comprendere il mistero del suo amore per questo discepolo. È difficile infatti dire perché Gesù lo amasse di un amore preferenziale. È il discepolo della prima ora, è colui che ha immerso lo sguardo nella profondità del cuore di Cristo e ha capito come Gesù uomo amasse gli uomini con il cuore del Figlio di Dio. È Giovanni che ha vissuto questa amicizia dalla quale è nato il Vangelo dell’amore (p. 134).

Questa risposta se da una parte invita a rispettare il mistero proprio di ogni elezione da parte del Signore, dall’altra sembra dire che diversi fattori hanno contribuito al sorgere di questa amicizia: il fatto che Giovanni si sia affiancato a Gesù fin dai primi passi del suo ministero; una naturale sintonia interiore per cui Giovanni comprendeva più in profondità ciò che Gesù stava vivendo per amore nostro.

Ma forse la ragione per cui Giovanni ha beneficiato di questa particolare amicizia è sottesa all’ultima affermazione del Card. Martini: È Giovanni che ha vissuto questa amicizia dalla quale è nato il Vangelo dell’amore. Giovanni era chiamato ad essere il testimone del Vangelo dell’amore e per questo ha ricevuto quel “di più” di amore che lo ha abilitato a questo compito. Come Giuseppe d’Egitto ha ricevuto da Dio quell’amore preferenziale che gli ha consentito di essere strumento di riconciliazione e rivelazione nella sua persona dell’amore di Dio che affratella tutti, così Giovanni ha fatto un’esperienza di amore più profonda per essere in grado di farla comunicarla a tuffi al fine di rendere anche noi partecipi di questo dono.

 Don Luigi Pedrini

15 LUGLIO 2018

Carissimi Parrocchiani,

a completamento di quanto già detto sulle esperienze di amicizie di Gesù resta ora da considerare la sua amicizia con l’apostolo Giovanni, l’autore del quarto Vangelo, il Vangelo che più di ogni altro parla dell’amore di Dio verso di noi.

Giovanni parlando della sua amicizia con il Signore lo fa con molta discrezione: parla di sé in terza persona autodesignandosi con il titolo di “discepolo che Gesù amava”.

Cinque sono i testi in cui nel quarto Vangelo c’è un rimando diretto a questa amicizia. Il primo testo – Gv 13,27-29 – riferisce il gesto confidenziale con cui Giovanni, durante l’Ultima Cena dopo che Gesù ha svelato ai Dodici che fra loro c’era uno che stava tramando contro di lui per consegnarlo ai suoi nemici, sollecitato da Pietro, si china sul petto di Gesù per domandargli chi è colui che sta per tradirlo. C’è dunque questo gesto confidenziale che rivela un rapporto di particolare familiarità che Giovanni ha con il Maestro.

Nel secondo testo – Gv 19,25-27 – si riferiscono le parole che Gesù ha rivolto stando in croce, poco prima di morire, a Maria e a Giovanni che gli erano vicini. Disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. 27Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. La consegna di Maria a Giovanni – consegna che lo riveste di un’importante responsabilità in quanto Giovanni rappresenta in quel momento tutta la Chiesa chiamata ad accogliere Maria come Madre – mette in luce un altro aspetto che contrassegna la vera amicizia. Ricorda che essa non si chiude nella sfera del privato, ma viene assunta e messa a servizio del disegno di Dio così da diventare responsabilità e dono per tutti.

I testi di Gv 20,2-4 e 21,7 rivelano un’altra peculiarità propria dell’amicizia autentica: l’affinità spirituale che essa genera favorisce la reciproca conoscenza ed è in grado di illuminare anche i tratti di buio che si possono incontrare.

Nel primo testo si riferisce, infatti, che Giovanni e Pietro vanno insieme alla tomba di Gesù per verificare di persona se sia veramente aperta e se è scomparso il corpo del Signore. Entrambi entrano nella grotta del sepolcro e vedono che il cadavere di Gesù non c’è più, le bende sono posate sulla roccia, mentre il sudario sta piegato in un luogo a parte. Quantunque la scena che sta davanti ai loro occhi sia la stessa, diversa è tuttavia la reazione: solo del discepolo che Gesù amava si dice che “vide e credette” per dire che a lui sono bastati quei segni per rendersi conto di ciò che era accaduto.

In questa stessa linea si pone anche l’altro testo. Riferisce che Gesù dopo la sua apparizione appare agli apostoli sulla riva del lago di Galilea. Tutti vedono quell’uomo che li esorta a gettare nuovamente le reti per la pesca, ma solo Giovanni, dopo l’esito favorevole della pesca fatta, riconosce che è Gesù e dice a tutti: “È il Signore”.

I due testi concordano nel dire che l’amicizia autentica favorisce una conoscenza della persona a cui si vuole bene che va al di là dei ragionamenti umani. Sant’Agostino proprio in considerazione di questo scriverà: Ubi amor, ibi oculus volendo dire che l’amore illumina gli occhi e permette loro di vedere ciò che la mente da sola non è in grado di vedere.

Occorre a questo punto ricordare un ultimo testo e precisamente Gv 21,20-2, ma completeremo la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

08 LUGLIO 2018

Carissimi Parrocchiani,

considerando l’esperienza di amicizia vissuta da Gesù e riferita nei Vangeli non possiamo non ricordare la sua amicizia con Lazzaro. Ne parla con precisione san Giovanni là dove riferisce prima la morte di Lazzaro e poi la sua risurrezione dai morti operata da Gesù.

In questi testi Lazzaro viene più volte qualificato come l’ “amico” di Gesù. Proprio su questo legame fanno leva le sue sorelle, Marta e Maria, per sollecitare Gesù a far visita al fratello ammalato. Infatti, mandarono a dirgli: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato ” (Gv 11,3).

Gesù stesso per giustificare di fronte agli apostoli la sua decisione di ritornare in Giudea, regione dalla quale si era allontanato per l’ostilità che si era creata attorno a Lui, dichiara: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato, ma io vado a svegliarlo “ (Gv 11,11).

L’evangelista annota che Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro (v. 5). E poco dopo, riferendo la profonda commozione fino al pianto provata da Gesù nel trovarsi di fronte al sepolcro dell’amico, riporta anche le parole di commento dei Giudei: “Guarda come lo amava” (Gv 11,35).

Dunque, stando alla testimonianza di Giovanni, fra Gesù e Lazzaro si è instaurata una profonda amicizia. La cosa strana è che Lazzaro, insieme alle due sorelle, compaia improvvisamente a metà Vangelo senza alcuna presentazione precedente e venga subito presentato come l’ “amico” di Gesù.

Per sapere qualcosa di più riguardo a come sia nata questa amicizia, dobbiamo riferirci alla testimonianza dell’evangelista Luca (cfr. Lc 10,38-42). Nel suo vangelo racconta una visita di Gesù in casa di Lazzaro: di questa visita si sottolinea la piena disponibilità di Maria ad ascoltare l’insegnamento di Gesù, a differenza di Marta che è tutta presa dai molti servizi di casa.

Questa testimonianza orienta a pensare che era abitudine di Gesù fare sosta nella casa di Lazzaro ogni qualvolta nel suo pellegrinare passava da Betania. Un’altra conferma in proposito ci è data da san Giovanni: riferisce che dopo la risurrezione dell’amico, Gesù va a cena a Betania dove Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti […] era uno dei commensali (Gv 12,1-2).

A proposito di questa amicizia sono significative due considerazioni del cardinal Martini. Costatando i legami di amicizia che Gesù coltivava si dichiara d’accordo con chi ha affermato che Gesù aveva tre tempi nella sua vita: il tempo per Dio – la preghiera nelle lunghe notti -, il tempo per l’azione pastorale – per gli altri, per la gente –, il tempo per l’amicizia (p. 132). La seconda considerazione si fonda sul finale del racconto della risurrezione di Lazzaro e ha qualcosa di molto importante da dire sul tema dell’amicizia. Scrive san Giovanni che i capi dei sacerdoti, dopo il miracolo della risurrezione di Lazzaro, prendono la decisione definitiva di far morire Gesù: Da quel giorno, dunque, decisero di ucciderlo (Gv 11,53). Questo significa che l’essere intervenuto a favore dell’amico ha comportato per Gesù l’esporre la sua vita alla morte. Davvero, Gesù testimonia – come sottolinea il Card. Martini – un ‘amicizia fedele fino alla fine (p. 132).

Don Luigi Pedrini

01 LUGLIO 2018

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver seguito l’evolversi dell’amicizia nata tra Gionata e Davide vorrei ulteriormente evidenziare il valore di questa straordinaria esperienza umana alla luce della testimonianza di Gesù: anch’egli, condividendo in tutto la nostra vita, ha conosciuto il dono dell’amicizia, ne ha percepito la bellezza e l’ha coltivata.

Tra i testi evangelici che documentano questo aspetto della sua umanità possiamo ricordare anzitutto Mc 10,17-22.

Questo testo, nel riferire l’incontro che egli ha avuto con un uomo ricco che gli domandava che cosa dovesse fare per avere la vita eterna, annota anche un particolare singolare. Dice che Gesù fissatolo, lo amò (v. 21).

Dunque, verso questo uomo che cerca una risposta non a una necessità contingente, ma a qualcosa di grande e di vero, Gesù prova da subito una naturale simpatia. Questo particolare avvicina questo incontro a quel primo incontro avvenuto tra Gionata e Davide nel quale da subito le anime dei due giovani si sono legate in una profonda e sincera amicizia.

Ugualmente Gesù: Egli leggendo nel cuore di quell’uomo e scorgendo la bellezza del suo animo ha provato per lui un sentimento di commozione interiore.

C’è però un’ombra in questo episodio che rimane per noi difficile da spiegare ed è il fatto che quell’uomo non abbia corrisposto all’offerta gratuita di amicizia da parte di Gesù, come abbia potuto non lasciarsi conquistare da quello sguardo penetrante che pur aveva smosso in precedenza uomini come Simon Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Matteo… Infatti, l’esito di quell’incontro è stato un congedarsi di quell’uomo con il cuore triste non avendo avuto il coraggio di accogliere le parole con cui Gesù ha risposto alla sua domanda di vita eterna.

Giovanni Paolo II nel commento che ha fatto a questo episodio evangelico nella Lettera ai giovani e alle giovani di tutto il mondo (31 marzo 1985) invita a vedere nello sguardo amorevole che Gesù elargisce a questo uomo il riflesso dello sguardo d’amore che Dio ha verso ciascuno di noi. E lo sguardo amorevole celebrato poeticamente nel salmo 139 in cui si dice che Dio segue con attenzione e con cura tutti i passi dell’uomo.

Signore, tu mi scruti e mi conosci,

2 tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,

intendi da lontano i miei pensieri,

3 osservi il mio cammino e il mio riposo,

ti sono note tutte le mie vie. 

Accogliere su di sé lo sguardo di amicizia di Dio è sorgente di consolazione e di vita; viceversa, “l’uomo che non accoglie questo sguardo, che non sa di essere amato, è un infelice perché non conosce il suo destino” (C. M. Martini, Davide peccatore e credente, p. 131).

Don Luigi Pedrini