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02 DICEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

ci siamo soffermati a commentare nel dettaglio la promessa con la quale Dio assicura a Davide che benedirà la sua famiglia e che dalla sua discendenza nascerà un re che sarà per lui un figlio e che avrà un trono stabile per sempre.

Ora voglio documentare che questa promessa è sempre rimasta viva nella coscienza di Israele. Anche nel tempo in cui ormai non regna più in Israele la dinastia davidica, la speranza di un suo compimento non si è mai spenta. La conferma viene dai molteplici testi del Nuovo Testamento che espressamente ad essa si richiamano.

Tra questi possiamo ricordare anzitutto alcune parole significative che l’angelo Gabriele rivolge a Maria in occasione dell’Annunciazione. Sono espressioni che riprendono alla lettera la promessa davidica: Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32-33). L’elemento nuovo è che queste parole vengono lette ora in riferimento a Gesù.

Anche Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, nella sua preghiera che noi conosciamo sotto il nome di Benedictus, fa espressamente riferimento al messia regale che secondo la promessa fatta a Davide deve nascere nella sua casa: Benedetto il Signore, Dio d’Israele, / perché ha visitato e redento il suo popolo, / e ha suscitato per noi un Salvatore potente / nella casa di Davide, suo servo (Lc 1,68-69).

Pure significative sono le parole con il quale il cieco di Gerico supplica Gesù di prendersi cura di lui: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. L’importanza di questa testimonianza appare evidente se si considera che affiorano sulla bocca di una persona semplice che non beneficiava di un bagaglio teologico. Questo vuol dire che la promessa davidica apparteneva al sostrato culturale del popolo di Israele.

Una conferma di questo viene anche dalle parole che con cui la folla acclama Gesù che entra in Gerusalemme: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!”.

Anche nell’omelia con cui Paolo presenta la novità di Dio che si è compiuta in Gesù, egli può richiamarsi alla promessa davidica come un dato pacificamente conosciuto e consolidato nella coscienza di fede di Israele: Suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù”. […] E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: “Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato”. Sì, Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla corruzione, come ha dichiarato: “Darò a voi le cose sante di Davide, quelle degne di fede” (At 13,22-23.32-34).

Forse le parole finali di questa citazione non sono immediatamente comprensibili. Il senso però è questo: “Le cose sante di Davide”, vale a dire le promesse che Dio gli ha fatto, proprio in quanto vengono da Lui, non possono venire meno e andranno a compimento. Esse pertanto meritano di essere credute e accolte nella fede. Tuttavia, ora, quelle parole non sono più misteriose come in passato, per il fatto che noi sappiamo il modo con cui Dio le ha realizzate: la promessa fatta allora ha trovato compimento nella risurrezione di Cristo.

Don Luigi Pedrini

25 NOVEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

concludiamo la presentazione della promessa messianica fatta da Dio a Davide per bocca del profeta Natan, riportando ora il testo della preghiera con la quale Davide esprime a Dio il proprio ringraziamento. È una preghiera molto bella, intrisa di stupore e di gratitudine per grandi benefici ricevuti da Dio.

Il testo riferisce che dopo il congedo di Natan, Davide si raccoglie alla presenza del Signore e si rivolge a lui con queste parole:

“Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è la mia casa, perché tu mi abbia condotto fin qui? E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, Signore Dio: tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è la legge per l’uomo, Signore Dio! Che cosa potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo servo, Signore Dio! Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo (2 Sam 7, 18-21).

Con queste parole Davide riconosce di aver ricevuto molto dal Signore: la sua benevolenza nei suoi confronti è andata al di là di ogni merito e aspettativa. Esprime pure una viva consapevolezza della propria piccolezza: è significativo infatti che per tre volte in pochi versetti parli di sé come servo. Il Signore conosce bene la sua pochezza (“Tu conosci il tuo servo, Signore “) e questo, tuttavia, non gli ha impedito di usargli misericordia: questo perché ha agito in fedeltà alla promessa fatta ai padri (per amore della tua Parola) e in forza di un amore gratuito (secondo il tuo cuore).

La memoria grata dei doni ricevuti apre spontaneamente la sua preghiera alla lode a Dio per la sua grandezza di cuore.

Tu sei davvero grande, Signore Dio! Nessuno è come te e non vi è altro Dio fuori di te, proprio come abbiamo udito con i nostri orecchi. E chi è come il tuo popolo, come Israele, unica nazione sulla terra che Dio è venuto a riscattare come popolo per sé e a dargli un nome operando cose grandi e stupende, per la tua terra, davanti al tuo popolo che ti sei riscattato dalla nazione d’Egitto e dai suoi dèi? Hai stabilito il tuo popolo Israele come popolo tuo per sempre, e tu, Signore, sei diventato Dio per loro (2 Sam 7,22-24).

La lode a Dio per i suoi doni diventa anche presa di coscienza della vocazione singolare che Dio ha liberamente ha tributato al popolo di Israele. Lo ha riscattato; lo ha reso sua proprietà, cioè lo ha consacrato a sé; gli ha dato un nome, cioè gli ha dato un’identità che è determinata non da fattori sociali o politici, ma dalla sua appartenenza a Lui. Israele, infatti, è popolo tuo per sempre, e tu, Signore, sei diventato Dio per loro.

La preghiera si conclude con la richiesta che Dio abbia a confermare per sempre la sua promessa:

Ora, Signore Dio, la parola che hai pronunciato sul tuo servo e sulla sua casa confermala per sempre e fa’ come hai detto. Il tuo nome sia magnificato per sempre così: “Il Signore degli eserciti è il Dio d’Israele! ‘ La casa del tuo servo Davide sia dunque stabile davanti a te! Poiché tu, Signore degli eserciti, Dio d’Israele, hai rivelato questo al tuo servo e gli hai detto: «Io ti edificherò una casa!». Perciò il tuo servo ha trovato l’ardire di rivolgerti questa preghiera. Ora, Signore Dio, tu sei Dio, le tue parole sono verità Hai fatto al tuo servo queste belle promesse. Dègnati dunque di benedire ora la casa del tuo servo, perché sia sempre dinanzi a te! Poiché tu, Signore Dio, hai parlato e per la tua benedizione la casa del tuo servo è benedetta per sempre!

Don Luigi Pedrini

18 NOVEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

nel riferire il contenuto della promessa di Dio fatta a Davide, la ‘promessa davidica’, siamo arrivati all’affermazione centrale: “Dio farà a te una casa”.

È un’affermazione molto importante che viene a ribaltare completamente l’intenzione originaria di Davide: tutto è iniziato dal suo progetto di voler costruire una casa dignitosa a Dio; ora, invece, Davide si sente dire Dio stesso costruirà a lui una casa.

Già accennavo che il termine ‘casa’ qui non va inteso nel suo significato materiale di abitazione, ma nel significato simbolico di discendenza, casato, regno. Lo illustra bene il seguito della promessa: Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno (2 Sam 7,12)

Siamo di fronte a una svolta storica nel cammino di Israele. Egli anche in passato ha beneficiato di persone che esercitavano un compito di guida: pensiamo a Mosè, a Giosuè, ai diversi giudici. Si trattava di figure carismatiche che Dio eleggeva di volta in volta e che venivano presentate al popolo. Il passaggio da una guida all’altra era sempre delicato: quando una guida stava per lasciare si insinuava facilmente nel popolo un senso di insicurezza e di smarrimento.

Ora Dio fa una promessa che costituirà l’inizio della dinastia davidica in Israele. Infatti promette a Davide che uno della sua discendenza eserciterà la regalità sugli Israeliti: colui che regnerà – gli dice – sarà uno “uscito dalle tue viscere”. Sarà lui a coronare il suo sogno, quello di edificare un tempio in Gerusalemme: “Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio” (2 Sam 7, 13-14a).

Storicamente queste parole si riferiscono a Salomone, il figlio nato a Davide dalla moglie Betsabea: a lui si deve la costruzione maestosa del tempio.

Sono degne di nota le parole finali di questo versetto: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”. Si tratta di una formula di adozione quale si ritrova anche nei salmi ‘regali’, cioè in quelle preghiere che si recitavano in occasione dell’incoronazione del re (cfr. Sal 2.7; 110,3). In queste parole riconosciamo anche il primo annuncio della venuta di un re ideale, di un Messia, che sarà in tutto un pastore secondo il cuore di Dio.

Questa promessa, in realtà, non ha trovato attuazione in Salomone nonostante la saggezza esemplare di governo che egli possedeva. La stessa cosa vale per tutti i re che si sono succeduti e che appartenevano alla famiglia di Davide. in nessuno dei re storici di Israele: chiamati ad essere pastori secondo il cuore di Dio, hanno adempiuto la loro missione in modo imperfetto e talvolta in modo del tutto indegno.

Questo conferisce alla promessa di Dio un carattere aperto che legittima l’attesa di un discendente della famiglia di Davide che dia finalmente compimento alle parole di Dio. Si comprende allora che la ‘promessa davidica’ sia diventata la ‘spina dorsale’ della speranza messianica di Israele.

Peraltro, dai versetti che seguono nel testo pare di capire che in fondo una possibile smentita della promessa stessa Dio l’aveva già prevista e messa in conto senza, tuttavia, che questo avesse a mettere in crisi la sua fedeltà. Si legge infatti: “Se (il re) farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2 Sam 7,14b-16).

C’è da notare che proprio queste ultime parole risuonano all’inizio del Nuovo Testamento quando l’angelo Gabriele annuncia a Maria l’imminente venuta del Messia.

                                                                                                                 Don Luigi Pedrini

11 NOVEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

considerando ora il testo della cosiddetta ‘promessa davidica’ noi andiamo al cuore della vicenda di Davide: Dio gli promette che gli farà una casa. Naturalmente l’affermazione va preso in tutta l’ampiezza del suo significato: qui ‘casa’ significa ‘discendenza’, ‘regno’. Dunque, Dio si fa garante per Davide di un futuro imperituro. Questo spiega come mai Davide diventerà d’ora in avanti un riferimento costante nella Scrittura.

Il contesto nel quale si colloca la promessa è costituito da una situazione di pace che Davide ha conseguito dopo aver riportato vittoria sui nemici e aver messo al sicuro i confini del regno. In questa situazione di stabilità matura il progetto di costruire in Gerusalemme un tempio, cioè un edificio consono ad accogliere l’arca dell’alleanza e a diventare in Israele il simbolo della presenza di Jahwé in mezzo al suo popolo.

Di questo proposito Davide informa il profeta Natan: “Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda” e ne dà anche la motivazione: non è giusto che Lui viva in una reggia, mentre l’arca di Dio abbia come dimora una semplice tenda.

L’intenzione di Davide è lodevole e mossa da una sincera riconoscenza. È vero però che, non di rado, in queste iniziative può insinuarsi anche un elemento di ambiguità capace di inquinare la bontà dell’intenzione. Rossi de Gasperis ricorda che “è un comportamento tipico di uomini religiosi, una volta che abbiano acquistato potere e denaro, immaginare di ‘fare gradi opere per il Signore’. Ma non è mai così sicuro che, nei donatori, l’intento di erigere monumenti al Signore, non nasconda quello di erigere monumenti a sé stessi” (Prendi il libro, p. 139).

In ogni caso, dopo l’approvazione forse un po’ affrettata da parte del profeta Natan, Dio parla al profeta e lo invita a farsi intermediario presso il re per correggere il suo progetto: Quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: 5“Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? 6Io infatti non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. 7Durante tutto il tempo in cui ho camminato insieme con tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei giudici d’Israele, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi avete edificato una casa di cedro?”.

Dunque, Dio prende le distanze da questo progetto. Fa presente che anche dopo la conquista della terra da parte di Israele, egli è sempre rimasto un Dio nomade. Da queste parole si ricava quasi l’impressione che non gli sia dispiaciuto di aver abitato fino ad ora sotto una tenda. Ma poi Dio ricorda a Davide la storia di grazia che lo ha generato, quella storia che costituisce il ‘principio e fondamento’ del suo cammino di fede.

Sono parole molto belle, nelle quali Davide da una parte si vede rileggere da Dio stesso tutta la sua storia, dall’altra vede aprirsi davanti a sé un futuro di speranza che supera ogni sua aspettativa: Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. 9Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. 10Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato 11e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa”.

Le ultime parole “Il Signore ti annuncia che farà a te una casa” (v. 11) contengono una rivelazione espressa nella forma di un oracolo solenne. L’importanza di questa rivelazione non è passata inosservata. Infatti, questa promessa sarà ripresa e rilanciata in molti testi successivi della Scrittura: la ritroviamo nel libro di Isaia, di Geremia, di Amos, di Zaccaria e nei Salmi.

                                                                                                                  Don Luigi Pedrini

04 NOVEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

prendiamo ora in considerazione la promessa che Dio ha fatto a Davide di costruirgli una casa stabile per sempre. Come già ricordavo, questa promessa diventerà il fondamento dell’attesa da parte di Israele della venuta del Messia.

È una promessa che travalica i secoli, continuamente rilanciata dai profeti e che ritroviamo anche nei Vangeli. Pensiamo soltanto al testo dell’Annunciazione nel quale I ‘angelo Gabriele annuncia a Maria la nascita di Gesù e dichiara che “sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32-33).

Per meglio comprendere i contenuti della promessa fatta a Davide è utile richiamare il contesto storico in cui si colloca.

Gli anni del Regno di Davide sono segnati da tante imprese che hanno avuto esiti positivi. Tra queste l’impresa forse più felice stata la conquista di Gerusalemme. Questa città si trovava al di fuori dei territori occupati dalle dodici tribù di Israele e apparteneva alla popolazione dei Gebusei. Fin dal tempo di Giosuè era risultata una cittadella imprendibile. Davide con le sue truppe comandate da Ioab riesce a espugnarla assicurandosi in questo modo una sua personale città: da questo momento comincia ad essere chiamata la “Città di Davide”. Gerusalemme è una città di montagna e aveva la prerogativa di trovarsi in un territorio neutro rispetto alle altre città che si trovavano nei territori abitati dalle dodici tribù di Israele: questa sua neutralità le ha permesso di essere riconosciuta come la capitale di tutto Israele. In Gerusalemme Davide fa costruire il suo palazzo reale.

Un’altra impresa importante da parte di Davide è stata la riuscita sottomissione di tutti i nemici storici di Israele: i Filistei, che erano quelli più pericolosi (2 Sam 8, l; 21, 15-22); i Moabiti (2 Sam 8,2.12); gli Aramei (2 Sam 8,3-12); gli Ammoniti, gli Amaleciti e gli Idumei (2Sam 8,12-14; IO, 1-11,1; 12,26-31). In questo modo ha consolidato il Regno e ha cominciato a dargli una prima organizzazione civile, militare e anche religiosa.

Bisogna tenere presente che il regno di Davide, come già quello di Saul, si inserisce nel delicato passaggio dall’era carismatica dei Giudici a quella istituzionale della monarchia. Il popolo di Israele riconoscendo la monarchia si sta dando un assetto assolutamente nuovo dal punto di vista politico, sociale e religioso.

E in questo contesto che Davide matura il proposito di costruire il tempio, una casa per il Signore destinata ad ospitare l’arca dell’alleanza, cioè le tavole della legge che Dio aveva dato a Mosè sul monte Sinai.

I passi con cui l’arca viene portata a Gerusalemme – prima facendo sosta casa di Aminadab, poi nella casa di Obed-Edom di Gat e, infine, dopo tre mesi, nello stesso palazzo reale in Gerusalemme – si inseriscono in questo progetto lungimirante di Davide. La sua intenzione è quella di creare un legame di continuità tra la lunga storia di liberazione che gli Israeliti hanno vissuto uscendo dall’Egitto e soggiornando per quarant’anni nel deserto e la nuova storia che li vede abitare stabilmente nella terra del Giordano sotto la guida di un re che accolgono come consacrato da Dio.

Ora resta da vedere da vicino il testo relativo alla “promessa davidica”. Lo faremo la prossima settimana.

Don Luigi Pedrini

28 OTTOBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo concluso questo primo resoconto sulla vicenda di Davide esponendo i fatti che lo hanno condotto da giovane pastore di Betlemme alla sua elevazione a re di Israele.

Ora poniamo attenzione agli avvenimenti più significativi che hanno segnato la sua vita dal momento in cui ha cominciato a regnare.

La storia dei quarant’anni del suo regno si suddivide in due periodi: i sette anni in cui regna su Giuda, in Ebron (cfr 2 Sam 2,1-4,12; 1 Cr 11,1-2); i trentatré anni in cui regna su tutto Israele e Giuda (cfr 2 Sam 5,1-1 Re 2,11; Cr 11,3-29,30).

Di questi quarant’anni di regno noi possediamo un resoconto interessante scritto in un tempo molto vicino agli avvenimenti che vengono raccontati: la composizione di questi testi si può collocare forse nella prima metà del Regno di Salomone. È “una storia tra le più interessanti della letteratura antica, scritta in una lingua bella, ricca di testimonianze oculari, che la redazione deuteronomista ha conservato fresca, quasi senza ritocchi” (F. Rossi de Gasperis – A. Carfagna, Prendi il libro e mangia, p. 131).

È la storia di un re che vive avendo messo Dio al centro della sua vita, un re secondo il cuore di Dio. Nello stesso tempo, quella di Davide non è tuttavia la vita di un santo. La sua personalità è certamente ricca, ma non senza difetti e la Scrittura non li nasconde.

Secondo il Card. Martini i cicli di Giuseppe e di Davide sono i più belli della Scrittura. Tra i due cicli ci sono però alcune differenze. Quella di Giuseppe appartiene al genere sapienziale e, pertanto, il racconto della vicenda del patriarca ha il carattere della composizione agiografica: Giuseppe è presentato come figura esemplare, modello di perfezione morale; Invece, il racconto della vicenda di Davide appartiene al genere storico: qui la fedeltà all’accaduto è molto alta. Il racconto presenta la storia così com’è, senza nascondere gli sbagli di Davide: la sua figura non appare come un modello di santità e di perfezione morale.

E, tuttavia, “i peccati di Davide, quantunque gravi, sono i peccati di un uomo che rimane, soprattutto e nonostante tutto, un «amico di Dio»” (Prendi il libro, p. 132) Siamo di fronte davvero alla vicenda di un uomo “credente e peccatore”, secondo la bella definizione con cui il Card. Martini intitola il suo libro di meditazioni su Davide.

Ci soffermiamo su questo periodo della vita di Davide con tre riflessioni: nella prima consideriamo la promessa che Dio fa a Davide di costruirgli una casa che sia stabile per sempre. È la famosa promessa ‘davidica’ che costituisce il fondamento più solido della speranza messianica di Israele, cioè della fiducia nella venuta di un nuovo re, il Messia, discendente della famiglia di Davide, che avrebbe dato compimento alla promessa fatta a suo tempo ad Abramo (cfr. La vicenda di Davide, profezia del Messia regale); nella seconda consideriamo la dimensione del peccato che segna la sua storia e ne fa una storia fragile (cfr. La vicenda di Davide, profezia nella fragilità); nella terza ci soffermeremo sulla rivolta del figlio Assalonne che mettendosi contro il padre trascina Israele nel dramma di una guerra civile procurando a Davide l’immensa sofferenza di vedersi rifiutato e combattuto da un figlio. Questa dolorosa vicenda raggiunge vertici tali di umiliazione e di passione da anticipare in modo profetico la stessa passione di Gesù (cfr. La passione di Davide profezia  della  Pasqua di   Gesù).

                                                                                                                 Don Luigi Pedrini

21 OTTOBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

continuiamo il commento al Salmo 63. Dopo avere considerato la prima parte (vv. 2-4) nella quale Davide in un contesto di solitudine e di abbandono, confessa il suo desiderio, la sua ‘sete’ di Dio, ora consideriamo la seconda parte (vv. 5-9) nella quale egli pregusta nella speranza l’esaudimento del suo desiderio. Si parla, infatti, di una fame pienamente saziata: Come saziato dai cibi migliori (v. 6).

Questa sazietà nasce dalla speranza che Dio riempirà la sua solitudine con il dono della sua presenza fedele e apre il cuore di Davide a una lode che sgorga spontanea proprio al pensiero di ciò che Dio farà in suo favore: Ti benedirò per tutta la vita, nel tuo nome alzerò le mie mani, […] con labbra gioiose ti loderà la mia bocca (vv. 5-6).

Non solo la speranza per il futuro che è nelle mani di Dio dà voce alla lode del cuore, ma anche il ricordo per il bene che in passato ha ricevuto da Lui diventa motivo per rendere grazie. Un ricordo che affiora spontaneo specialmente nelle veglie della notte: Quando nel mio letto di te mi ricordo / e penso a te nelle veglie notturne / a te che sei stato il mio aiuto / esulto di gioia all’ombra delle tue ali (vv. 7-8)

Questo particolare del ricordo nella notte è significativo. Sta a dire che quando un credente è interamente affidato a Dio e Dio è diventato tutto il suo bene, allora il ricordo di Dio sovviene anche nelle veglie della notte. In effetti, la notte, con le sue veglie, come attesta bene anche la tradizione cristiana, è il tempo più favorevole per pensare a Colui che da sempre ci ama. I Vangeli riferiscono che anche Gesù amava raccogliersi in preghiera durante la notte.

Il fare memoria di quelle esperienze nelle quali si è toccata con mano la presenza consolante di Dio diventa motivo di esultanza e di pacificazione interiore: Esulto di gioia all’ombra delle tue ali (v. 8). È molto espressiva questa immagine delle ali che proteggono ed esprime bene la consolazione di chi si sente pienamente avvolto della presenza amorevole di Dio.

Davanti a questa presenza Davide dichiara il suo atto di consegna (A te si stringe l’anima mia, v. 9a) e la sua fiducia nella piena affidabilità di Dio (La tua destra mi sostiene, v. 9b).

Nella terza parte del salmo (vv. 10-12), Davide confessa la speranza che Dio abbia a riportare vittoria su tutto ciò che vorrebbe rubargli la speranza e intristire la sua vita – così si può interpretare l’espressione: Quelli che cercano di rovinarmi sprofondino sotto terra (v. 10) – e che questa vittoria Dio la realizzi mediante la forza efficace della sua parola, che come spada a doppio taglio è capace di penetrare anche nella profondità del cuore umano. Così possiamo intendere le parole: Siano consegnati in mano alla spada (v. 11).

Le parole conclusive del salmo: Il re (cioè l’Unto, colui che è consacrato) troverà in Dio la sua gioia, si glorierà chi giura per lui, perché ai mentitori verrà chiusa la bocca (v. 12) possiamo riferirle a ciascuno di noi. Avendo noi ricevuto il battesimo, essendo persone consacrate a Dio, possiamo gioire in Lui e anche gloriarci, cioè rivestirci di gloria, risplendere di luce dal momento che i mentitori sono vinti e più nulla quindi di menzognero e di falsificante può avere il sopravvento su di noi.

Don Luigi Pedrini

14 OTTOBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

concludevo la scorsa settimana constatando che l’esperienza di Dio sta davvero al cuore dell’esistenza di Davide, è il segreto della sua vita. Le preghiere che Davide ha composto sono come finestre attraverso le quali questa esperienza segreta viene in certa misura alla luce e ci consentono di entrare in quella cella segreta interiore nella quale la persona che prega vive l’incontro con Dio.

In questo orizzonte vogliamo allora considerare da vicino tra i salmi scritti da Davide uno dei più conosciuti: il salmo 63. Secondo la tradizione biblica questa preghiera è stata composta da lui in quel periodo di tribolazione e di vita alla macchia quando era perseguitato da Saul (cfr. 1 Sam 22-24).

In questa situazione di esilio forzato e di solitudine Davide confessa la sua sete di Dio contemplato come l’unico che può ricondurlo alla libertà e restituirgli la pace e la sicurezza di un tempo. Il salmo è dunque animato dal desiderio di un pieno affidamento nelle mani di Dio.

Dal punto di vista della struttura, questa preghiera si divide in tre parti. Nella prima parte (vv. 2-4) Davide confessa la sua sete di Dio: una sete ardente paragonabile a quella della terra arida del deserto; nella seconda parte (vv 5-9) esprime la speranza di rivivere l’incontro con il Signore: un incontro di cui già pregusta la gioia e che descrive con i caratteri della convivialità, dell’intimità, della consolazione; nella terza parte (vv. 10-12) dichiara la sua certezza che Dio gli farà riportare vittoria sui nemici ossia su tutto ciò che vuole opprimere e intristire la sua vita. Ci soffermiamo per ora sulla prima parte, rimandando il commento alla seconda e alla terza alla prossima settimana.

Il salmo si apre con un’esclamazione, o meglio con un grido: “O Dio, tu sei il mio Dio” (v 2a). È il grido che sgorga spontaneo e fiducioso dal cuore di un uomo che si trova nella più grande solitudine e che si rivolge a Dio dicendogli: “Tu sei il mio Dio”. Sono parole che riconoscono un’appartenenza intima che nulla può incrinare. Si potrebbero tradurre così: “Signore, Tu sei tutto per me e io non ho altro al di fuori di Te, Tu sei l’unica ragione della mia vita, la mia unica e vera gioia”. Siamo di fronte a una vera professione di fede: si afferma il valore assoluto di Dio e insieme il bisogno assoluto che l’uomo ha di Lui.

I versetti che seguono sono conseguenti questa affermazione iniziale: “All’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (v 2b). Qui Davide sta dando voce al desiderio che porta nel cuore, un desiderio che lo spinge ogni giorno a cercare Dio dalla prima ora dell’alba. È un desiderio che coinvolge in tutto il suo essere di anima e corpo: tutta la sua persona desidera abbeverarsi del Signore riconosciuto come pura sorgente di vita. Sta in attesa davanti a Dio così come la terra riarsa, assetata, aspetta la pioggia e la rugiada.

Così nel santuario ti ho cercato” (v 3a). A quale santuario Davide si riferisce? Il nostro primo pensiero va al tempio di Gerusalemme e certamente a questo luogo di preghiera avranno pensato tutti i credenti di Israele venuti dopo Davide pregando con queste parole. Davide, tuttavia, non poteva riferirsi al tempio di Gerusalemme che ancora non era stato costruito. Qui l’allusione va invece a quel sacrario interiore che il cuore dell’uomo vero santuario nel quale è dato a ciascuno di vivere l’incontro con il Signore.

Ti ho cercato”: è tipica del povero l’umiltà di non cercare in se stesso, ma al di là di se stesso. L’incontro con Dio può essere vissuto solo in termini di dono: è la scoperta gioiosa e stupita di essere da Lui visitati nel santuario del cuore. Quando l’uomo si mette in ricerca di Dio con questo spirito di umiltà, allora è nella giusta disposizione di poter contemplare – come dice il salmo – “la tua potenza e la tua gloria” (v 3b).

Questa prima parte si conclude con un riconoscente atto di fede: “La tua grazia vale più della vita”, che potremmo esprimere cosi: “L’essere con Te, Signore, che sei tutto il mio bene è la cosa più preziosa che per nulla al mondo vorrei perdere”; e poi con una promessa di lode: “Le mie labbra diranno la tua lode”.

Don Luigi Pedrini

07 OTTOBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

 per completare la descrizione di Davide come uomo virtuoso, dopo aver sottolineato in lui la virtù del coraggio, della lealtà, della pazienza, della libertà interiore, occorre ricordare ora la virtù della preghiera. Davide è un uomo che prega.

Molti dei centocinquanta salmi contenuti nel libro del Salterio sono stati composti da Davide. Si tratta di preghiere che egli ha rivolto a Dio dando voce ai sentimenti, ai desideri, alle domande che affioravano in lui nelle diverse circostanze della vita. Pertanto, queste preghiere assumono fisionomie diverse che vanno dall’affidamento alla lode, dalla supplica al ringraziamento.

Così dopo il duello vittorioso con Golia Davide innalza a Dio il suo ringraziamento e la sua lode e prega: Benedetto il Signore mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia”.

Nella situazione di solitudine e di abbandono che si determina in seguito alla persecuzione di Saul e alla necessità di cercare rifugio nel deserto Davide ritrova fiducia pensando a Dio come l’Altissimo, il Signore che ha creato i cieli e la terra e che, tuttavia, si china sull’uomo e si prende cura di lui dandogli una dignità che lo eleva al di sopra di ogni creatura. Mentre nella notte contempla la volta stellata del cielo esclama: O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! […] Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissato, / che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? / Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, / di gloria e di onore lo hai coronato (Sal 8)

Nei momenti più drammatici, quando si sente come braccato da ogni parte e ha l’impressione che sia preclusa ogni via di scampo e di liberazione, la preghiera che innalza assume i contorni della supplica e dell’implorazione: Pietà di me, o Dio, perché un uomo mi perseguita, / un aggressore tutto il giorno mi opprime. / Tutto il giorno mi perseguitano i miei nemici, / numerosi sono quelli che dall’alto mi combattono. / Nell’ora della paura / io in te confido. / In Dio, di cui lodo la parola, / in Dio confido, non avrò timore: / che cosa potrà farmi un essere di carne? (Sal 56).

Anche solo questi accenni bastano per rivelarci che Davide è un uomo che dialoga con Dio. La preghiera sgorga spontanea dal suo cuore e non ha nessun timore, nessuna reticenza nel portare alla luce attraverso le parole che rivolge a Dio i sentimenti più profondi e le domande più vere che porta dentro di sé.

Davide è, dunque, un uomo che ha familiarità con la preghiera. Nella Scrittura, già prima di lui, si incontrano persone che dialogano con Dio. Pensiamo ad Abramo, a Giacobbe, a Mosè. In nessuno però troviamo una preghiera che abbraccia un orizzonte di sentimenti e di domande così ampio così come si riscontra in Davide. Per questo – a giudizio di don Divo Barsotti – Davide è una delle figure più grandi dell’Antico Testamento e lo è per questo senso religioso. […] La grandezza dei personaggi dell’Antico Testamento è sempre e soprattutto nel loro rapporto con Dio. Sembra che questo rapporto con l’Unico sollevi questi uomini al di sopra della condizione umana. Così Abramo, così Elia, così Mosè, così anche Davide. (pp. 184-185).

Leggendo la Scrittura si ricava l’impressione che Davide non possa riferire di sé e delle situazioni che vive senza chiamare in causa il suo rapporto personale con Dio. E questo è significativo: vuol dire che la sua esperienza di Dio sta davvero al cuore della sua esistenza. A ragione possiamo ritenere che proprio questo sentirsi invincibilmente legato a Dio costituisca il segreto della sua vita, il punto di unificazione che fa di lui un uomo virtuoso, un pastore secondo il cuore di Dio.

 Don Luigi Pedrini

30 SETTEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

stiamo considerando la libertà interiore di Davide e per meglio illuminarla stiamo seguendo una vicenda esemplare al riguardo: la vicenda di Nabal. Già abbiamo riferito del rifiuto opposto a Davide che gli chiedeva cibo per sé e per i suoi uomini e la conseguente decisione di Davide di vendicarsi ad ogni costo del comportamento ingrato e arrogante di Nabal.

Entra però in scena a questo punto Abigail, a moglie di Nabal. Il testo biblico la presenta come donna “assennata e di bell’aspetto”, a differenza del marito che lo descrive come uomo “rude e di brutte maniere”. Abigail si è resa conto della situazione drammatica che si è creata e che viene a mettere in serio pericolo la sussistenza della sua famiglia. Per questo decide di andare incontro a Davide per suscitare in lui da subito un atteggiamento di disponibilità e di benevolenza. A questo scopo fa pervenire a Davide, prima di incontrarlo, donativi in abbondanza: duecento pani, due otri di vino, cinque pecore già pronte, cinque sea di grano tostato, cento grappoli di uva passa e duecento schiacciate di fichi secchi (v. 19). Non solo. Il testo riferisce che giunta alla presenza di Davide, si dispone a parlargli in un atteggiamento molto umile e rispettoso: smontò in fretta dall’asino, cadde con la faccia davanti a Davide e si prostrò a terra (v. 25).

C’è da notare che noi siamo di fronte a una donna pagana, una donna che non conosce la Scrittura che, pertanto, non può essere per lei sorgente di ispirazione. Nonostante questo, il suo modo di comportarsi sta ricalcando sorprendentemente l’esempio del grande patriarca Giacobbe. Infatti, quando per lui si è trattato di incontrare dopo tanti anni il fratello Esaù dal quale si era separato con un contenzioso aperto, lo ha fatto mandando al fratello, prima della sua venuta, ingenti donativi e poi andandogli incontro con gesti e parole di profonda umiltà.

Le parole che Abigail rivolge a Davide sono piene di saggezza: diversamente dal marito esprime la sua gratitudine a Davide per i benefici ricevuti dalla sua famiglia e gli riconosce espressamente un futuro di gloria: il Signore ti concederà tutto il bene che ha detto a tuo riguardo e ti avrà costituito capo d’Israele (v.30). In questo modo riesce perfettamente nel suo intento. Davide è profondamente toccato dalle sue parole, esprime apprezzamento sulla sua iniziativa ed esclama: “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ti ha mandato oggi incontro a me. Benedetto il tuo senno e benedetta tu che sei riuscita a impedirmi oggi di giungere al sangue e di farmi giustizia da me (vv. 32-33).

Dunque, Davide accoglie prontamente la richiesta di Abigail di usare comprensione verso la sua famiglia e abbandona il proposito di farsi giustizia con le sue mani: all’intenzione di vendicare l’offesa subentra un atteggiamento di misericordia.

Il racconto si conclude dicendo anzitutto che Nabal, informato dalla moglie di quanto accaduto e quindi del rischio mortale che ha corso Lui e tutta la famiglia, è rimasto talmente impressionato che non si è più riavuto ed è morto dieci giorni dopo; in secondo luogo riferisce che Abigail, in seguito alla morte del marito, va a cercare protezione da Davide che la accoglie e la prende con sé come sposa.

La vicenda mette in luce chiaramente la libertà interiore di Davide che si dimostra capace di prendere le distanze dalle decisioni prese e di riequilibrarle in rapporto alla nuova situazione che si è creata. Davide non fa delle sue decisioni una questione di puntiglio. Ha il coraggio di rivederle e l’umiltà di ritornare sui suoi passi offrendo a coloro da cui è stato offeso una possibilità di riscatto.

Teniamo presente che questa duttilità, intesa come capacità di non irrigidirsi sulle proprie decisioni, è una virtù tipica di Dio. Nessuno come Lui è puntuale nell’affermare i principi e nel denunciare il male a cui l’uomo va incontro quando non vuole attenersi ad essi; tuttavia, nessuno come Lui è duttile nell’ammorbidire le sue parole fino a “rimangiarsele” pur di far prevalere la misericordia.

Don Luigi Pedrini