Archivi categoria: Messaggio Settimanale

28 LUGLIO 2019

Cari fratelli,

il lezionario di oggi ci propone una splendida catechesi sulla preghiera, dalla quale possiamo estrarre i punti essenziali:

  • la preghiera è l’anima dell’esistenza di Gesù, come ce lo presenta Luca;
  • la preghiera deve essere coraggiosa, spontanea, sincera, personale, come quella di Abramo o come quella dell’amico importuno;
  • la preghiera si preoccupa di un tu a cui si indirizza, ma non cancella il noi, il presente e la prassi;
  • la preghiera è perciò contemplazione pura di Dio, abbandono mistico, esperienza di infinito;
  • la preghiera è anche carica per l’azione, per l’impegno umano e per l’intera esistenza; liberata da scorie sentimentalistiche o dalle incrostazioni dell’abitudine e della monotonia;
  • la preghiera cristiana ha il suo vertice nell’Abbà-Padre Nostro, centro della preghiera liturgica, verso cui deve convergere ogni devozione personale;
  • la preghiera cristiana è un intreccio di Dio che parla in noi, dell’uomo che lo interpella e lo ascolta e della comunità che in noi si esprime e che a noi chiede aiuto;
  • la preghiera cristiana suppone dunque l’ascolto della Parola e l’adesione gioiosa e personale. Come diceva S. Gerolamo: “Leggi? È lo sposo che ti parla. Preghi? Sei tu che parli allo sposo”.

Don Emilio

21 LUGLIO 2019

Cari fratelli,

la cornice alla prima ed alla terza lettura di questa domenica ci può proporre il tema dell’ospitalità, in una angolatura molto ampia, quale ad esempio quella proposta dal monachesimo benedettino.

A tutti i pellegrini indistintamente il monastero medievale offriva acqua, sale e fuoco, oltre ad un tetto sotto cui ripararsi. In tutte le vocazioni poi ed in tutti gli stati di vita è indispensabile l’atteggiamento dell’ascolto della Parola, sia che noi siamo come Marta, avvolti nel groviglio delle occupazioni quotidiane, sia che noi siamo come Maria, soli, all’interno di una casa familiare e quotidiana: dobbiamo sempre tenere aperto un canale di comunicazione con l’infinito.

Questo ci suggerisce il passo del Vangelo.

Scriveva K. Ranhner: “abbiamo mai fatto l’esperienza della grazia? Non vogliamo alludere, si badi, ad un generico sentimento di devozione o ad un’esaltazione religiosa, di tipo festivo, e nemmeno ad una qualunque consolazione intrisa di dolcezza, ma all’esperienza della grazia vera e propria, cioè a quella visitazione dello Spirito Santo, del Dio Trino, che in Cristo, grazie alla sua incarnazione ed alla sua immolazione in croce, è diventata realtà”.

Questa comunicazione in noi di Dio, come ci ricorda Paolo, ci trasforma nel Cristo vivente nel tempo e nello spazio, in parte del Corpo di Cristo che nella storia annunzia il Vangelo e salva.

La nascita e la crescita del vero cristiano fioriscono non da una radice sociologica ma da una forte esperienza di fede e di amore.

In questo modo, nell’agire quotidiano, noi, secondo la parola dell’Apostolo, portiamo a compimento ciò che manca ai patimenti di Cristo nella nostra carne.

Don Emilio

14 LUGLIO 2019

Cari fratelli,

le letture proposte oggi alla nostra meditazione sono un canto all’amore cristiano.

Si aprono con un monito, contenuto nel libro del Deuteronomio, che ci dice che l’amore è possibile.

Non è un sogno od un’evasione, né un assurdo umano.

La coscienza della facilità e della vicinanza dell’amore deve cancellare alibi troppo comodi.

Bisogna che qualcuno inizi a spezzare la catena dell’odio

L’amore proposto dalla celebre parabola di Luca è soggettivo, dinamico e teologico.

Soggettivo perché coinvolge il soggetto cristiano in un impegno totale e radicale.

Dinamico, perché si esprime in azioni ed opere, si attua con intelligenza e passione e valica ostacoli ed obiezioni.

Teologico, perché con l’amore si adempie all’impegno fondamentale per il Regno comportandosi come Dio ed ottenendo la piena comunione con lui (la vita eterna).

La radice di ogni amore è l’amore divino svelato nella creazione e nella redenzione, ci dice Paolo.

La ragione profonda dell’Incarnazione non si trova nell’uomo, ma in Dio, nel suo desiderio di divenire uomo e di fare dell’umanità una manifestazione di Dio, cioè luogo prediletto della sua presenza.

L’amore di Dio è teso verso il massimo della comunione.

Dio ha creato il mondo per esservi Uomo e perché l’uomo diventi simile a Lui per grazia, partecipe delle condizioni della vita divina: immortalità e casta integrità dell’essere.

Don Emilio

07 LUGLIO 2019

Cari fratelli,

le letture di oggi ci presentano il fedele come annunciatore del Regno di Dio.

Tutta la comunità intera deve sentirsi coinvolta, e non solo alcuni dei suoi membri sono chiamati all’annuncio del Cristo.

La Chiesa è sempre in stato di missione.

Il missionario è I ‘uomo della Parola, non della propaganda.

Egli annunzia una salvezza integrale: per questo cerca il bene globale, fisico ed interiore dell’uomo.

“Curate i malati e dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio!” (Lc 10,19).

L’annuncio è soprattutto di gioia: è l’annuncio dell’amore di Dio; è l’essere nuova creatura; è una proclamazione di pace anche in un mondo di odio.

Certo la Parola opera una divisione e quindi conosce il rifiuto ed il giudizio.

Richiede perciò costanza, fedeltà e coraggio; richiede persino di condividere in certi momenti le stigmate della passione di Cristo.

La missione è un dono, non un’operazione di promozione socio-politica.

Richiede fede, preghiera ed il mandato di Cristo.

La fecondità autentica del ministero apostolico scaturisce soprattutto dalla crocefissione di Cristo e con Cristo.

E la vera gioia non sarà tanto nel successo più o meno clamoroso ma nel fatto che i rostri nomi sono scritti nei cieli.

Ai Galati che si erano lasciati irretire da una religiosità tradizionalista ed abitudinaria, com’era quella del giudaismo allora professato, Paolo propone il nudo messaggio della croce, fonte unica di vera libertà e pace.

Solo la croce ci strappa dall’attrazione del mondo e quindi dalla schiavitù della morte interiore e ci allontana dal rischio di ritornare sotto il dominio egoistico dell’io carnale.

Don Emilio

30 GIUGNO 2019

Cari fratelli

riprendiamo con questa domenica il ritmo tradizionale delle domeniche del tempo ordinario, dopo le molteplici festività incontrate a chiusura del tempo pasquale.

Il Vangelo che ci viene proposto è quello di Luca.

Nelle letture di oggi incontreremo un tema  fondamentale per la nostra fede: la vocazione cristiana.

Due vocazioni ci vengono proposte: quella di Eliseo e quella indicata da Gesù.

Si tratta di due chiamate parallele, ma   anche differenti.

La vocazione cristiana è un taglio spesso lacerante con abitudini, compromessi e con un passato comodo.

Il giusto mezzo, apparentemente fonte di equilibrio, è  spesso un alibi per non muoversi.

Una fede che non costa o che intacca solo la superficie è  certamente poco genuina.

La vocazione cristiana è perciò rinuncia e distacco.

L’area in cui questa frattura si realizza passa all’interno del cuore e comporta distacco dai beni materiali, da affetti troppo incombenti e da indecisioni e superficialità.

Il discepolo, pur vivendo nella trama concreta sociale, è senza guanciale, senza padre e senza nostalgia del passato.

La vocazione cristiana è movimento e libertà.

Non si può essere grettamente chiusi in se stessi e cristiani; non si può essere stanchi e pigri e contemporaneamente cristiani; non si può essere appagati, autosufficienti e cristiani.

Il vero discepolo è un uomo libero, che aderisce a Dio attraverso lo Spirito con tutto il suo cuore e tutta la sua anima.

Ha demolito l’impero della carne e della legge per lasciare trionfare in sé lo Spirito.

La fede è il principio fondamentale della giustificazione, ma è anche una realtà viva che opera mediante l’amore.

Don Emilio

23 GIUGNO 2019

Cari fratelli,

il sacerdozio cristiano è esaltato dalla riflessione tradizionale su Melkisedek e presenta oggi le sue origini ed il suo compito principale.

Il sacerdozio cristiano oggi riunisce nel nome di Cristo la Chiesa, perché sia sempre cosciente che la sua unità è nel Corpo e nel Sangue del Signore.

L’Eucarestia è spirito e carne, fede e carità, impegno verticale di comunione con l’Eterno ed impegno orizzontale di amore fraterno.

L’Eucarestia è attesa della sua venuta ed è da celebrare come la Pasqua, in piedi, in tensione, con ardore.

Il memoriale non è stanca commemorazione.

La nostra liturgia domenicale non può essere ricondotta ad un obbligo o ad un semplice precetto.

Dev’essere una necessità gioiosa ed un’anticipazione festosa.

L’Eucarestia è connessa al sangue della croce ed al corpo di Cristo donato per noi.

Essa è, quindi, un’espressione della nostra liberazione e della nostra salvezza.

Come tutti i sacramenti convergono sull’Eucarestia, così ogni atto catechetico ed ogni preghiera personale o comunitaria deve orientarsi e confluire nella grande liturgia eucaristica, l’unica che dà efficacia piena alla nostra completa maturità cristiana.

Come esclama l’antifona dovuta al genio di Tommaso d’Aquino, entrata nella liturgia del Vespro, “Cristo diventa il nutrimento, si fa memoriale della sua passione, l’anima è riempita di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura”.

Riscopriamo dunque, fratelli, l’estrema importanza della Messa, massimo atto di culto che noi possiamo rendere a Dio, rendimento di grazie, lode e memoriale del sacrificio del Signore Gesù.

Don Emilio

16 GIUGNO 2019

Cari fratelli,

le letture che oggi ci vengono proposte cercano di illustrare attraverso il senso immediato o le interpretazioni tradizionali il mistero di un Dio che è comunione di vita e di amore.

La pagina della Sapienza raccoglie un celebre inno in cui la Sapienza di Dio si auto-proclama.

Nella letteratura sapienziale si ricorre spesso alla personificazione della Sapienza Divina: essa è divina, perché è il progetto della mente di Dio, la sua Volontà, la sua Parola, il suo Spirito; ma è anche incarnata, perché il progetto si attua nella creazione, la Volontà si manifesta nella legge, la Parola si rivela nella Bibbia e lo Spirito si effonde nell’uomo.

Nel nostro inno la Sapienza si presenta come divina e trascendente, preesistente alle realtà cosmiche.

La Sapienza è anche una realtà creata: è presente nell’uomo, nella sua intelligenza e nella sua felicità.

Questo inno diventa in ultima analisi una celebrazione dello Spirito di Sapienza che da Dio viene effuso negli uomini attraverso la creazione e la redenzione.

Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono così adombrati in questa lode della sapienza divina creatrice.

Don Emilio

09 GIUGNO 2019

Cari fratelli,

oggi celebriamo il mistero principale, una volta si diceva così, della nostra fede: l’Unità e la Trinità di Dio, un Dio unico ma in tre persone, Padre Creatore, Figlio Salvatore e Spirito Santificatore.

Il Dio della Bibbia è un Dio persona, che si rivela, agisce, si incarna. La Trinità è l’espressione di questa profonda vitalità divina, è la radice dell’amore che è in noi e che si effonde tra di noi.

Un teologo ebbe a dire: ” Dio è l’unità della comunità e quell’unità richiede un’uguaglianza delle singole persone ed il loro rapporto reciproco. L’uomo è stato creato ad immagine di Dio ed allora la nostra umanità non è la somma o la totalità delle nostre singolarità. L’unità unisce gli uomini nel pieno rapporto del dare e del ricevere, rapporto che scaturisce dall’amore che ci fa persone”.

Durante la Messa pregheremo in questo modo: ” Ti glorifichi, o Dio, la tua Chiesa, contemplando il mistero della tua Sapienza con la quale hai creato ed ordinato il mondo; tu che nel tuo Figlio ci hai riconciliati e nello Spirito ci hai santificati, fa’ che nella pazienza e nella speranza possiamo giungere alla piena conoscenza di te che sei amore, verità e vita”

Dio per noi rimane pur sempre un mistero, qualcosa di infinitamente altro, e, per quanto ci affanniamo, non ci è possibile nella nostra pochezza violare la sua essenza

Ci basti il suo amore infinito che Egli espande su tutte le creature.

Il Signore null’altro chiede che noi corrispondiamo al suo amore in un abbraccio vicendevole che nulla e nessuno potrà mai spezzare.

Don Emilio.

02 GIUGNO 2019

Cari fratelli,

la solennità dell’Ascensione di Nostro Signore, celebrazione squisitamente pasquale, è un intreccio di speranza e di realismo, proprio come deve essere l’esistenza cristiana.

Ancorata al presente ed al suo impegno nel mondo, essa non deve perdersi in spiritualismi senza corpo, in devozionismi o separatismi di gruppi autoreferenziali.

“Perché guardate il cielo? Andate a Gerusalemme e fino agli estremi confini della terra”.

Ma, d’altra parte, l’esistenza cristiana fiorisce sull’eterno; ha un esodo finale verso un nuovo ordine di rapporti e verso un nuovo mondo.

Perciò deve essere un segnale dell’uomo nuovo, deve annunciare la giustizia e la pace perfetta; deve essere carica di speranza e di gioia.

I segni di questa visione di speranza e di realismo si devono manifestare attraverso la testimonianza cristiana (“mi sarete testimoni”), attraverso la forza del battesimo nello Spirito e della liturgia (“sarete battezzati in Spirito Santo” e “stavano nel tempio lodando Dio”), attraverso l’annunzio (“saranno predicati a tutte le genti la conversione ed il perdono”), attraverso il dono della grazia, che ha implicazione anche fisica (le guarigioni), attraverso la gioia (“tornarono a Gerusalemme con grande gioia”).

L’Ascensione introduce dunque il cristiano sulla scena del mondo e della storia e lo invita ad essere la continuazione nel tempo e nello spazio dell’azione salvifica di Cristo stesso.

Infine è un richiamo all’esperienza della fede e dell’amore, un’esperienza non elitaria ma aperta e possibile a tutti coloro che credono ed amano.

Don Emilio

26 MAGGIO 2019

Le letture di questa domenica ci presentano una Chiesa in cammino.

L’itinerario storico della Chiesa ha un suo progresso, non sempre lineare, come lo stesso concilio di Gerusalemme attesta.

Importanti sono alcune virtù come la dinamicità, che impedisce alla Chiesa di essere nostalgica; la fedeltà, che impedisce alla Chiesa di essere sbandata; la pazienza, che impedisce alla Chiesa di essere frenetica; la profezia, che fa comprendere alla Chiesa i segni dei tempi; la tolleranza ed il dialogo, che impediscono alla Chiesa l’integralismo; la speranza, che fa superare alla Chiesa esitazioni ed incertezze.

Ma su tutte deve dominare la fede nello Spirito, guida ultima e viva della Chiesa.

L’itinerario storico della Chiesa, ancorato alla sorgente, che è Cristo, ha una sua meta ed una sua traiettoria: la Gerusalemme celeste, la piena cittadinanza con Dio cantata nella seconda lettura di oggi.

Là crolleranno tutte le mediazioni, persino quelle sacre del tempio e della fede, perché Dio inabiterà  pienamente nell’uomo, che lo contemplerà faccia a faccia così come egli è.

Bisogna quindi non fossilizzarsi nei gesti e negli atti sacri ma educarsi a considerarli segni di una realtà o di un destino superiore.

E camminare nella storia tenendo fisso lo sguardo nella gioia.

Bonhoeffer, appena prima di salire sul patibolo, scrive: “fratelli, finché non giunge, dopo la lunga notte, il nostro giorno, resistiamo”.

Don Emilio