Archivi categoria: Messaggio Settimanale

04 OTTOBRE 2020

Cari fratelli,

in Maria, nostra Patrona sotto il titolo del Santo Rosario, noi celebriamo l’inizio della nostra redenzione.

Ciò che Eva ci tolse con la sua trasgressione, Maria, nuova Eva ci rende nel Figlio.

Con Maria, che genera il Figlio di Dio, avviene la grande svolta nella storia.

Una bellissima pagina di Bernardo descrive l’attesa dell’umanità per questa fase decisiva della storia della salvezza.

 Essa può trasformarsi anche in una preghiera mariana: “Hai sentito, o Vergine, l’invito alla gioia e all’esultanza; vogliamo ascoltare anche noi dalla tua bocca la risposta della tua gioia che noi desideriamo. L’angelo aspetta la tua risposta. Stiamo aspettando anche noi, Maria. Nelle tue mani sta il prezzo del nostro riscatto. Rispondi presto, o Vergine. Apri il tuo cuore alla fede, le tue labbra alla parola, il tuo seno al Creatore. Ecco, colui che è il desiderio di tutte le genti, sta fuori e bussa alla tua porta. Alzati, corri, apri. Alzati con la tua fede, corri col tuo affetto, apri col tuo consenso”.

Lunedì è la giornata dedicata al ricordo dei nostri morti: ci ritroveremo al mattino ed alla sera per le Messe di suffragio per i nostri cari.

Per tutte le tre giornate dei festeggiamenti rimane aperto in Parrocchia il banco di beneficenza a favore del restauro dell’organo.

Lunedì dopo la messa della sera, nel salone parrocchiale estrazione dei premi della sottoscrizione a premi.

Buona Sagra a tutti.

Don Emilio

27 SETTEMBRE 2020

Cari fratelli,

siamo ormai vicini alla nostra Sagra della Madonna del Rosario.

Il programma religioso lo trovate affisso alla porta della Chiesa e sulle locandine disseminate un po’ dappertutto.

Ma ciò che importa è che ci prepariamo opportunamente a questo nostro incontro annuale con Maria.

Ed ora uno sguardo alle letture di oggi.

L’obbedienza nella donazione di sé è il modello che Paolo presenta ai fedeli, fissando i suoi occhi sul Cristo crocifisso.

Ad essa si oppone la falsa ed ipocrita obbedienza del figlio apparentemente ossequiente, ma in realtà ribelle; essa supera però anche l’obbedienza più faticosa ma reale del figlio apparentemente ribelle ma alla fine generoso.

L’obbedienza significa umiltà, vicinanza agli altri, eliminazione della vanagloria, del proprio interesse, del gusto del potere.

Il ministero cristiano in ogni suo livello e forma è soprattutto servizio.

E su questo punto ritornano più volte i documenti del Concilio Vaticano II.

Cristo venne per servire e si è fatto servo di tutti; Maria è la serva del Signore; i santi servirono Dio in ogni cosa (Lumen Gentium, n. 49).

La Chiesa deve servire tutti nella vocazione personale e sociale di ogni uomo; i pastori hanno ricevuto da Dio la missione della diaconia; i coniugi devono mutuamente servirsi; la comunità politica è (o dovrebbe) essere a servizio dell’uomo; ogni uomo è chiamato al servizio dell’intera comunità umana.

Ma la misura del valore autentico e nascosto di ogni persona, al di là delle apparenze, è solo nelle mani di Dio che vede il cuore.

Don Emilio

20 SETTEMBRE 2020

Cari fratelli,

lo stile del padrone della vigna, che incontriamo nel vangelo di oggi, è quello di Dio.

Egli non si basa prima di tutto sul merito o sulla stretta giustizia, quanto piuttosto sull’amore gratuito, generoso e disinteressato, che dona e fa credito anche a chi non ha diritti da accampare.

Contro una concezione troppo spesso economica ed interessata del nostro impegno nei confronti del prossimo siamo invitati ad una generosità libera, simile a quella di Cristo che si offre ai peccatori, ai malati, agli ignoranti, nella manifestazione di un amore puro e totale.

Non ci si deve aspettare né la riconoscenza né una facile adesione.

La frase finale della parabola sul ribaltamento dei posti nel Regno riflette anche la vera gerarchia secondo la logica del vangelo: i più fragili dovrebbero essere al centro della comunità cristiana.

La pastorale della sofferenza dovrebbe essere una delle preoccupazioni ecclesiali fondamentali.

La lettura di Isaia, nella filigrana del testo evangelico, è un canto del mistero dell’amore di Dio.

Il Signore nella sua trascendenza agisce secondo piani che la nostra piccola logica contesta.

Il fidarsi di Dio comporta anche il rischio dell’attesa, l’oscurità e la domanda senza risposta apparente.

Parlando della crisi interiore che prese il Manzoni alla morte prematura della moglie, M. Pomilio scrive: “In lui non si placava il rovello di capire come mai Dio non è così quale ce lo balbettano di tremore in tremore i nostri poveri cuori e perché non ci lasci raggiungere e ci attiri e ci deluda, e perché i suoi decreti ci rimangano oscuri e ci appaiano talmente diversi da come li speravamo, e perché insomma nonostante Dio il dolore abiti il mondo”.

La meta di questa fede è l’abbandono in Dio, nello spirito della celebre formula, che è quasi una sigla paolina: “Per me il vivere è Cristo ed il morire un guadagno”.

Riscopriamo questo anelito, questa immersione in Dio; questa purezza della fede costituisca la grande via della mistica e della maturità spirituale.

Don Emilio

13 SETTEMBRE 2020

Cari fratelli,

le letture di oggi ci propongono un serio impegno per un perdono gioioso, illimitato e generoso.

Questa è la norma del comportamento di Dio e questa, di conseguenza, deve essere la norma del nostro comportamento.

La parabola e lo stesso dibattito con Pietro, che la precede, hanno lo scopo di segnalare il passaggio da una concezione quantitativa ad una visione qualitativa del perdono.

L’esortazione centrale infatti è di avere pietà, radice di un perdono che supera le leggi di una rigida giustizia, di interessi e di rigore inflessibile.

Non esistono limiti o casi quando si giudica con amore.

Il nostro modello è da ricercarsi in Gesù, che accoglie e riabilita gratuitamente i peccatori.

Tutte le letture sono un appello a spezzare la logica della vendetta, la catena dell’odio, la prigione del rancore e dell’ira.

Sono un appello a ritrovare amore e magnanimità, ricordando la nostra comune appartenenza a Dio come sua immagine, sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore.

In ogni istanza della vita, nella gioia e nel dolore, persino nel bene e nel male, l’uomo non può cancellare del tutto questa impronta di Dio in lui.

La Parola creatrice di Dio è celata in ogni nome.

Il cristianesimo dovrebbe esaltare senza sosta lo splendore dell’uomo; anche quando il peccatore calpesta la sua dignità umana, dobbiamo sperare sempre in lui e nella sua capacità di conversione.

“Dobbiamo sempre rischiare su Dio e sull’uomo, al di là di ogni delusione” (E. Mounier).

Don Emilio

06 SETTEMBRE 2020

Cari fratelli,

il tema della correzione fraterna ricorre spesso nella tradizione cristiana, al punto da diventare uno dei cardini della vita monastica.

Ma sappiamo anche che il suo esercizio diventa un’arte e suppone umiltà reciproca, amore autentico, delicatezza e sensibilità interiore.

A nessuno infatti, a motivo del nostro orgoglio, piace essere ripreso.

Così come è presentato da Ezechiele e Matteo quest’impegno è in pratica il dialogo pastorale all’interno della comunità fedele, perché essa sia aiutata ad essere sempre più coerente col messaggio evangelico.

L’azione di reciproca correzione non è solo personale ma anche ecclesiale ed è sigillata dall’autorità stessa di Dio.

Ma proprio perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva, è ovvio che questa azione pastorale dev’essere condotta senza ipocrisie, pettegolezzi, maldicenze, orgoglio e prevaricazioni di potere.

Il male è un seme sempre presente nell’uomo, anche se è credente.

La Chiesa lo può sciogliere nel perdono sacramentale; ma altre volte deve registrare il dramma del rifiuto, della durezza e dell’insuccesso nell’azione di conversione.

Questo realismo cristiano non è certamente indice di fariseismo, perché il suo stesso Signore ha scelto di essere amico di pubblicani e di peccatori, che in ultima analisi si rivelano più sinceri ed amici di coloro che si ritengono perfetti.

Tuttavia la Chiesa deve essere attenta a non stemperare la sua carica di bene, di giustizia e di amore nel compromesso e nella superficialità.

La stella polare che fa camminare la comunità cristiana sulla via retta è quella dell’amore autentico, come ammonisce Paolo nella sua brevissima riflessione sul decalogo.

Infine alla dimensione orizzontale, il vangelo di oggi associa anche quella verticale.

La presenza di Dio si attua là dove c’è anche una presenza di fraternità.

Don Emilio

30 AGOSTO 2020

Cari fratelli,

le letture di oggi ci dicono che la via del profeta e del discepolo è certamente una via della croce, che conosce oscurità, abbandoni, silenzi.

La logica della sequela si traduce anche in quella del rinunziare e del perdere, della libertà nel giocare tutto per ottenere il tutto che è Cristo.

Il messaggio della donazione e della rinuncia non è mai fine a se stesso: si alimenta nell’amore e si apre sulla Pasqua.

La catechesi liturgica di oggi esalta anche la via della gloria.

Geremia, giunto nell’abisso del suo Getsemani, sente la Parola di Dio come un fuoco, che lo travolge e lo trasforma.

L’offerta del corpo che Paolo propone, diventa gradita a Dio.

Cristo suggerisce un perdere ma per trovare.

E la finale del Vangelo di oggi è uno sguardo luminoso alla Pasqua ed al giudizio liberatore.

La solidarietà con il Cristo sofferente sfocia in solidarietà con il Cristo glorioso.

Il dolore cristiano non è mai disperato.

Il cristianesimo non è alienazione, evasione dalla realtà, droga che ottunda i sentimenti, non è oppio dei popoli, ma fedeltà al giogo del quotidiano, all’impegno del corpo, all’amarezza della contestazione, come è stato per Geremia.

Ma il giogo è leggero e soave, il sacrificio gradito a Dio e la sofferenza si trasforma in fuoco d’amore.

Dopo la confessione di Pietro su Gesù nel Vangelo della scorsa settimana, abbiamo oggi la sconfessione di Gesù su Pietro.

L’errore del discepolo è di pensare non secondo Dio ma secondo gli uomini.

La logica dell’essere e dell’avere si scontra con quella dell’amore e della donazione.

Geremia e Pietro lo hanno capito, ed ecco allora che il profeta è pronto ad accettare derisione e disprezzo, pur di annunciare la Parola di Dio; così Pietro, anche se conoscerà l’abbandono del Golgota, alla fine sarà pronto a percorrere le strade del mondo, per rendere tutti partecipi del messaggio di salvezza del suo Signore.

Don Emilio

23 AGOSTO 2020


Cari fratelli,

il Vangelo di oggi, sostenuto dal modello simbolico di Isaia, è una specie di dichiarazione-istituzione e di catechesi solenne sul ruolo ecclesiale di Pietro.

Come tale, al di là delle discussioni sul suo valore come fondamento del ruolo del vescovo di Roma, diventa un testo prezioso per comprendere il progetto ecclesiale dei vangeli, soprattutto di Matteo.

Si potrebbe ancora una volta rimandare alla lettura e all’approfondimento della Lumen Gentium, la costituzione conciliare sulla natura della Chiesa.

Naturalmente questa riflessione deve trasformarsi in verifica della fedeltà nostra al progetto ecclesiale voluto da Cristo.

La Chiesa è il segno storico del Regno; ne è l’espressione visibile, anche se i confini del regno passano per linee invisibili, quelle dei cuori.

Dobbiamo contemplare ed amare questa architettura voluta dallo Spirito, costruita da Cristo, partendo dalla successione apostolica del papa e dei vescovi, passando attraverso il sacerdozio ministeriale e quello comune, celebrando lo splendore dei doni e l’armonia dell’unità nel fondamento comune, vivendo la gioiosa possibilità del perdono e dell’incontro eucaristico.

Come Cristo che salva e giudica, anche la Chiesa in suo nome lega e scioglie.

Il simbolismo delle chiavi e dell’aprire-chiudere si muove su questa linea.

Ma tutto l’accento deve essere spostato sul tema del perdono.

Gesù aveva ammonito: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini, perché così voi non entrate e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarvi” (Mt 23,13).

La Chiesa deve denunciare il male e l’ingiustizia, ma suo compito primario è quello di annunziare, come il suo Signore: “Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).

Perché la Chiesa ha come punto di riferimento ultimo il Cristo, il Figlio del Dio vivente, professato oggi da Pietro e, con lui, da tutta la Chiesa.

Don Emilio

16 AGOSTO 2020

Cari fratelli,

la solennità dell’Assunta ci orienta verso il destino del credente, un destino di vita e di comunione.

Certo, il senso religioso rende vivo anche il senso della morte contro l’ottundimento della superficialità.

Il senso religioso rende vivo anche il senso della vita oltre la morte, dell’incontro con Dio, dell’assunzione con Lui.

Maria è la presenza di Dio in noi perché porta in sé il Cristo.

La donna dell’Apocalisse, l’arca, il cielo, il grembo benedetto, la serva sono simboli e segni di questo intreccio tra Dio e l’Uomo.

In Maria Dio si fa uomo e in Maria l’uomo è chiamato alla comunione con Dio.

La sigla di questa liturgia della vita e della divinizzazione dell’uomo è espressa nel prefazio: “Hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza”.

Le letture della domenica poi ci introducono alla chiamata universale ed universalistica di tutte le genti alla salvezza.

Ci invitano al dialogo, in un cammino di sincerità e di reciprocità.

Il tema del dialogo è certamente una sfida da raccogliere e in questo impegno i cristiani devono abbandonare ogni grettezza.

Il messaggio cristiano è amore e rispetto per ogni uomo; è destinato ad ogni uomo, non solamente ad alcuni; è infine apertura a tutti i valori dell’umanità.

Deve essere condotto, quale esperienza fondamentale della comunità cristiana, con intelligenza, amore e gradualità, evitando lo scoglio del rigorismo integralista e del sincretismo quasi indifferente.

Il dialogo suppone, quindi, pazienza e attesa, sia da parte del cristiano, che deve condividere i tempi di Dio e le sue vie, che non sono mai sempliciste ed irrispettose della libertà umana, sia da parte dei destinatari, che devono imparare ad ascoltare ed a vagliare con l’ansia della ricerca.

La ricerca amorosa e continua, segno di umiltà e di apertura interiore, permette l’incontro, almeno come compagni di viaggio, se non come coinquilini.

Don Emilio

09 AGOSTO 2020

Cari fratelli,

oggi ci viene proposta una grande pagina del 1° libro dei Re: attraverso una manifestazione di Dio a tappe, Elia riceve una nuova missione chiarificatrice sul senso della sua vita.

Dio non è solo il fuoco che sinora il profeta ha annunciato, ma anche la tenera brezza dell’amore e del silenzio.

Alle sorgenti di Israele (il Sinai), nella solitudine del deserto, sotto il segno del vento, che non sai da dove venga né dove vada, Elia scopre un nuovo aspetto del mistero di Dio.

Anche per noi è necessario ritornare più spesso alle radici della nostra vocazione attraverso il silenzio; è necessario vedere altra luce del mistero di Dio nel nostro io.

Ed è così che otteniamo la pace e la forza per riprendere il cammino della vita.

Elia impara nella riflessione a superare le semplificazioni di Dio e ne scopre l’insondabile mistero.

Perde così la visione unilaterale di Dio e degli uomini.

Oggi anche noi siamo invitati a superare noi stessi, per essere aperti, tolleranti, dolci e discreti come il Dio della brezza.

La tempesta non è di Dio, anzi, come insegna il vangelo di oggi, essa è il male che Cristo piega come se fosse una forza demoniaca.

La manifestazione di Cristo, Signore degli elementi, è la celebrazione della fede come lampada della notte oscura, nella tempesta e nello sprofondare della paura.

L’itinerario nostro può essere come quello di Cristo, un cammino sul mare del male, senza inabissamenti, se i nostri occhi ed il nostro cuore sono fissi su di lui.

Paolo infine ci permette di percepire, nella lettura proposta, tutto il suo dolore ed il suo travaglio interiore per l’incredulità di Israele, la sua stirpe secondo la carne, nonostante gli otto privilegi inestimabili che, grazie alla benevolenza di Dio, Israele ha ricevuto.

Don Emilio

02 AGOSTO 2020

Cari fratelli,

il miracolo della moltiplicazione dei pani, di cui ci parla il vangelo di oggi, è descritto tenendo presente la sequenza degli atti della cena pasquale: alzare gli occhi al cielo, pronunziare la benedizione, spezzare e dare i pani.

Con ciò si richiama, quasi anticipandola, la cena eucaristica.

Dobbiamo impedire che i segni del Cristo diventino gesti di amore sciupato.

Il suo corpo in cibo è il segno altissimo della sua comunione con noi.

Dobbiamo impedire che diventi un atto accolto frettolosamente.

Dobbiamo scoprire l’adesione gioiosa del cuore e della coscienza.

Scriveva il cardinale Martini: “L’Eucarestia è un prodigio che fiorisce da quel prodigio di inesauribile amore che è il Mistero pasquale. Dio, nell’Eucarestia di Gesù, prende sul serio la propria volontà di alleanza, cioè la decisione di stare realmente tra gli uomini, di accoglierli come figli, di attrarli nell’intimità della sua vita”.

Le nostre assemblee eucaristiche devono riscoprire questa dimensione di alleanza e di intimità.

Il dono di Dio è veramente gratuito (I lettura).

Stretti nella morsa delle nostre incombenze, abbiamo perso il gusto della donazione, della bellezza del dare da parte di Dio e della gioia e della felicità del ricevere.

Don Emilio