Archivi categoria: Messaggio Settimanale

03 GENNAIO 2021

Cari fratelli,

le letture di oggi ci vogliono dire che il silenzio di Dio è infranto dalla sua Parola creatrice.

Presentando il cosmo come frutto di un intervento diretto di Dio e non come principio a lui antitetico, la Bibbia ci invita ad un rapporto positivo con il creato, il nostro orizzonte terreno.

È indispensabile per il cristiano ricuperare la sua vicinanza alla terra, segno di Dio, come del resto papa Francesco spesso sostiene.

L’eredità francescana è profondamente cristiana e la difesa della natura e del giardino della terra dev’essere un impegno per tutti noi.

L’inizio del Vangelo di Giovanni, che abbiamo incontrato anche a Natale nella messa del giorno, ci presenta un silenzio che permane: è il silenzio del rifiuto, della tenebra e del peccato.

C’è però anche un silenzio colmo di speranza, in cui la Parola può germogliare.

È il silenzio nel quale Dio ci parla.

Per cogliere questa voce è necessario ascoltare la propria coscienza nel silenzio di una notte che si apre all’alba della fede.

In settimana celebreremo pure la festa dell’Epifania, canto dell’universalismo e dell’azione missionaria, alla quale la Chiesa è chiamata.

È la festa della luce e della gioia: la narrazione evangelica ne è tutta costellata.

La gioia della ricerca e la gioia che emana dalla fede dovrebbero essere i continui connotati del credente, che pure attraversa come i magi l’oscurità delle notti senza stelle.

È la rivelazione di Dio: la scoperta dei segni dei tempi, cioè dello svelarsi divino nel presente è indispensabile per alimentare la fede.

Il rito del bacio del Bambino quest’anno purtroppo non può essere celebrato per gli evidenti motivi legati alla pandemia.

Nulla impedisce che il rito sia celebrato in ambito domestico.

Buon anno a tutti.

Don Emilio

27 DICEMBRE 2020

Cari fratelli,

siamo ormai prossimi alla fine dell’anno, un anno denso di nubi e di difficoltà.

Tutti ci auguriamo che il 2021 sia più sereno e ci permetta il ritorno ad un ritmo di vita normale.

Oggi il calendario liturgico ci invita a soffermarci sulla Famiglia di Nazareth.

Ogni creatura che appare sulla faccia della terra ha un suo destino misterioso: anche se inferiore a quello di Cristo, è pur sempre il destino di un suo fratello e di un figlio adottivo di Dio.

Ogni genitore come autentico educatore dovrebbe adottare come motto quello del Battista: “bisogna che lui cresca ed io diminuisca”.

Autorità (dal latino augère, cioè aumentare) è prima di tutto far crescere.

Il ragazzo Gesù cresce in sapienza e grazia.

Egli diventa così il modello della crescita di ogni ragazzo nella dimensione umana e spirituale.

Genitori e figli sono i poli della struttura famigliare e sono il tessuto connettivo della storia di una famiglia.

Un’analisi dei loro rapporti reciproci sulla base delle annotazioni del Siracide e di Paolo può ricondurre nell’etica cristiana anche questo impegno umano fondamentale.

L’anziano è contemporaneamente dramma e speranza.

E infatti realisticamente indebolimento fisico, ma è anche segno vivo d’amore, profondità di intuizione, sapienza, e persino, come Simeone ed Anna, profezia.

L’inizio dell’anno è posto infine sotto il segno della benedizione efficace di Dio.

Le ore, i giorni, i mesi saranno così sotto il segno luminoso del volto di Dio, che irradia luce e pace.

Don Emilio

20 DICEMBRE 2020

Cari fratelli,

le circostanze presenti ci impongono severe limitazioni nel nostro modo di vivere il Natale, non ultima l’anticipazione alle 20.30 della Messa della notte.

Per le confessioni è sempre possibile contattarmi, onde fissare eventuali appuntamenti.

Io sarò presente in chiesa lunedì e martedì prima o dopo la messa.

Mercoledì e giovedì sarò in sacrestia (o in casa) dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 16.00 alle 18.00: siamo tutti invitati a non creare affollamenti, per tutelare noi ed i nostri cari.

Tutte le letture che vengono proposte alla nostra meditazione per il S. Natale rivelano un sottile collegamento con la Pasqua.

Bisogna superare il troppo facile sentimentalismo natalizio, sostenuto dal folklore, dai consumi e dal candore della neve, dal notturno poetico alimentato spesso da quella che giustamente un autore chiama “melassa religiosa”.

Bisogna invece recuperare il Natale come inizio dell’incontro pasquale tra umanità e divinità, tra creatura e creatore.

La parola fondamentale è l’incarnazione, la nascita cioè di Cristo nella carne, nascita di ogni uomo come evento santo ed ancor più nascita di ogni credente “non da carne né da volere di uomo ma da Dio”.

Vita, persona e storia dell’uomo sono ora innervate di eternità, senza essere annientate in un panteismo disumano.

Giorno di consolazione dunque e radice di pace, di serenità, di apertura e di libertà.

A tutti il mio augurio.

Don Emilio

13 DICEMBRE 2020

Cari fratelli,

il Natale è ormai imminente e le letture di oggi sono centrate sulla presenza di Dio nella storia.

Con l’incarnazione il divino e l’umano, prima antitetici, si sono incontrati.

Ma non per uno scontro od una collisione, ma per un abbraccio.

Siamo dunque invitati a cercare Dio non in orizzonti nebulosi, non in speculazioni filosofiche, ma nella quotidianità della storia e nel volto dei fratelli nei quali Dio è presente.

Paolo esalta l’offerta della nostra carne, del nostro corpo.

Proprio come Maria, che offre la sua esistenza ed il suo corpo per l’ingresso di Dio nel mondo.

Il nostro essere può accogliere e trasfigurarsi in Dio.

Diceva un apologo rabbinico del ‘700: “Il fedele sta davanti a Dio come un povero che non ha mangiato da tre giorni; i suoi abiti sono logori e stracciati; e così egli appare davanti al re. Ha forse bisogno di dire cosa desidera? Così sta il fedele davanti a Dio: egli stesso è preghiera”. (I racconti dei Chassidim – M. Buber)

Dio non rifiuta la presenza nello spazio (il Tempio), ma predilige quella nel tempo: la comunità umana, la Chiesa fatta di pietre vive, la coscienza di ogni persona.

Paolo nell’agorà di Atene dirà: “Dio non abita in luoghi costruiti dalla mano dell’uomo” (At 17,24).

Abita invece nel tempio vivo che lui si è innalzato, e cioè l’uomo vivente.

Il Natale è anche un invito a riscoprire la nostra umanità, la nostra personalità e la nostra storia.

 È tempo di bilanci e di riflessioni: questo anno così travagliato, ricco di luci (poche) e di ombre (tante), sta per essere archiviato.

Quel bambino che nasce, fragile ed indifeso, ci aiuti a scoprire il senso vero della vita nel suo profondo significato.

Solamente facendo tesoro di questi tragici momenti, trascorsi in balia di una crudele pandemia, che sembra colpire alla radice il nostro stile di vita, usciremo da questo tunnel più forti e saggi di prima.

Don Emilio

06 DICEMBRE 2020

Cari fratelli,

il deserto in cui sono posti Israele ed il Battista è un simbolo suggestivo dell’essenzialità: in quell’ambiente ostile si pensa solo all’acqua, al cibo ed alla pista da seguire, cioè agli elementi fondamentali dell’esistere; si eliminano le sovrastrutture e le banalità.

L’ Avvento è un invito al recupero della sostanza della fede.

La via per ritrovare questo deserto la dà il Battista: ascolto della Parola, conversione e rigore morale.

Senza l’impegno esistenziali si è solamente canne piegate al primo soffio di vento; non siamo case edificate sulla roccia.

La meta da raggiungere non è un uomo, pur grande, come il Battista ma Gesù, il Figlio di Dio.

L’ Avvento deve quindi essere una scoperta della purezza della fede.

Non in un Dio un po’ deforme, adattato alle nostre esigenze, ma nel Dio del Vangelo.

Accogliamo perciò questo invito ad approfondire la conoscenza della fede, per rendere ragione della speranza che è in noi.

Il filosofo tedesco E. Lessing scriveva: “Dammi Signore l’ansia e la ricerca della verità, finché la potrò contemplare in pienezza con Te”.

In questa settimana ci è offerta anche la contemplazione del mistero della Immacolata Concezione di Maria.

La figura di Maria totalmente consacrata a Dio ed all’amore in ogni istante del suo tempo, in ogni particella del suo essere, in ogni dinamismo della sua volontà è un appello ad un esame di coscienza della nostra storia.

Alla luce di questo modello di serva del Signore ogni fedele dovrebbe riandare a tutti gli attimi della propria vita per identificare le zone oscure, i peccati e gli ostacoli frapposti al progetto ideale di Dio.

Maria nella totalità e nella disponibilità della sua offerta ci offre un itinerario di fede, di speranza, di amore e di dedizione.

Don Emilio

29 NOVEMBRE 2020

Cari fratelli,

iniziamo con oggi l’Avvento, periodo di quattro settimane che apre ogni anno il ciclo delle celebrazioni del mistero di Cristo.

Come gli altri tempi, ha una festa come punto di riferimento e dalla quale trae il suo preciso significato: il Natale di Gesù Cristo.

La festa del Natale risale alla prima metà del IV°secolo, ma solo nel VI°si è formato un tempo di preparazione ascetico-penitenziale che assumerà poi un carattere liturgico.

Al centro di questo periodo si trova l’adventus o venuta del Signore, quella storica nella carne e quella finale nella gloria.

Così la parola latina italianizzata passò a designare il periodo che precede il Natale.

Anche nella struttura attuale l’avvento conserva intatte le due caratteristiche: orientato nelle prime due settimane alla venuta gloriosa; nelle ultime concentrato sulla nascita storica, l’incarnazione del Verbo, del Figlio di Dio.

Il Vangelo ci fornisce questa chiara prospettiva.

Quindi l’Avvento non è la commemorazione della lunga attesa del popolo ebraico, proteso verso il Messia, né semplice preparazione del Natale, ma un tempo vissuto sotto il segno della venuta del Signore: della prima venuta storica, che inaugura il tempo della salvezza, e della seconda venuta, alla fine dei tempi, che ne sarà il compimento.

La prima è fondamento della seconda e la seconda il suo coronamento.

Due venute reali, due eventi strettamente connessi.

Tra la prima e la seconda venuta si colloca il tempo della Chiesa, che celebra l’unico mistero di Cristo, il Cristo che è venuto e che verrà, ma che viene anche nell’oggi nella sua costante manifestazione di Salvatore, raccordando così la venuta storica e quella finale.

La presenza o venuta sacramentale non si aggiunge alle due venute, ma le unisce: il Cristo che è nato, che è morto sulla croce ed è risorto, che è apparso e che apparirà, si fa presente nella celebrazione del mistero.

Don Emilio

22 NOVEMBRE 2020

Cari fratelli,

la centralità di Cristo nella liturgia e nella spiritualità, nella lettura della storia e della propria esistenza è la grande premessa di questa celebrazione.

Contro gli squilibri devozionalistici, contro la tentazione della superstizione o dei surrogati religiosi, il fedele deve richiamare se stesso all’autenticità della sua fede fondata sul primato del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Il riconoscimento di questa fede non avviene solo attraverso la professione delle labbra ma soprattutto attraverso l’attuazione dell’amore.

E solo così che si è ammessi al Regno.

Nell’amore gratuito ed universale verso il prossimo si vive quella relazione vitale col Cristo che è lo specifico del cristianesimo.

Il vangelo osserva che l’unione con Cristo attraverso gli atti d’amore durante l’esistenza terrena è in pratica l’inizio della comunione eterna con lui.

Il lezionario odierno ci proietta anche verso il senso ultimo della storia.

Già Ezechiele fa balenare un regno in cui il pastore non sarà un re ma Dio stesso.

Nel vangelo abbiamo la celebrazione del giudizio ultimo in cui si svelerà il senso del nostro itinerario terreno, in cui apparirà la reale qualità dell’esistenza di ogni uomo.

Paolo poi ci presenta un mirabile affresco escatologico in cui disegna l’armonia del Regno verso il quale noi siamo indirizzati, un’armonia che sarà piena comunione.

Nessun frammento di bene cade nel vuoto.

Dio ha tracciato un disegno anche nella nostra trama confusa e spesso lacerata.

La chiusura dell’anno liturgico è segnata da questa solennità che è simile ad un’abside in cui domina la figura di Cristo Re e Signore.

Di fronte al suo sguardo siamo invitati ad un bilancio della nostra esistenza, delle nostre miserie e dei nostri splendori, ricordando che l’ultima parola che Gesù pronuncia nel vangelo di Matteo, letto quest’anno, è: “Io sarò con voi sino alla fine dei tempi”.

Don Emilio

15 NOVEMBRE 2020

Cari fratelli,

a prima vista la parabola dei talenti, che oggi leggiamo nel vangelo, può risultare imbarazzante, legata come sembra alla logica di mercato.

L’accento nell’interpretazione è stato posto spesso sulle opere, sul fruttificare: ma questo è certamente parziale.

Infatti il senso generale della parabola è ben specificato dal premio e dal castigo finale che trascendono i limiti del racconto.

Il tema generale è, allora, quello dell’accoglienza operosa del Regno.

Più che sul semplice impegno per sviluppare bene le proprie doti, il discorso cade sull’accettazione efficace ed attiva del dono della salvezza.

In pratica dunque è l’equivalente dell’esortazione paolina alla vigilanza.

Il primo appello che oggi riceviamo ci orienta perciò verso una decisione seria e radicale che si esprime nella concretezza della vita e nella specificità delle nostre scelte.

Il motivo del fruttificare non è certo escluso.

Come la donna ideale della prima lettura, anche noi siamo chiamati all’operosità ed alla misericordia verso il misero.

Come l’uomo che teme il Signore del salmo 127, siamo chiamati a vivere del lavoro delle nostre mani.

Come i cristiani di Tessalonica siamo chiamati a vivere come figli della luce e del giorno, che compiono le opere giuste.

Come i due servi dei cinque e dei due talenti, siamo chiamati ad un serio impegno perché i nostri doni crescano in bene per tutti.

Nella figura del servo c’è anche un’altra connotazione: la paura che trasforma la religione in un dovere e quindi nel minimo richiesto: “So che sei un uomo duro che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura ho nascosto il tuo talento”.

“La fede in Cristo è il rischio di tutti i rischi; è per tutti lo stesso salto nel vuoto. Ma è anche gioia e promessa, amore e vita. È conversione; è il radicale nuovo orientamento dell’uomo che sta nudo davanti a Dio e che per amore è pronto a perdere la propria anima” (K. Barth).

Don Emilio

08 NOVEMBRE 2020

Cari fratelli,

con oggi torniamo ad una certa normalità della vita di fede, dopo le feste dei santi e della Dedicazione della Chiesa, normalità che a fine mese si interromperà di nuovo per l’inizio dell’avvento.

Troviamo oggi nel vangelo la celeberrima parabola delle dieci vergini che vanno incontro allo sposo.

La storia di queste dieci ragazze fa capire quali devono essere le condizioni dei credenti, perché il loro incontro definitivo con Gesù Signore, che porta a compimento il regno dei cieli, sia un evento di salvezza e non di condanna.

In questo quadro interpretativo lo sposo è Gesù che viene alla fine come Signore.

Egli allora si rivelerà come giudice che esclude dalla comunione salvifica quelli che non sono pronti.

Le dieci ragazze che vanno incontro allo sposo con le loro lucerne sono i discepoli la cui luce deve risplendere davanti agli uomini perché vedano le opere buone e diano gloria al Padre.

Sulla base del lezionario di oggi, potremmo identificare le condizioni del fedele per poter entrare alle nozze:

a) l’ansia continua per la sapienza del cuore;

b) l’attesa vigile della speranza;

c) la scelta per la luce della fede;

d) l’olio della giustizia;

e) la fiducia nella risurrezione, come ammonisce Paolo.

Il motivo del ritardo dello sposo è un tema molto sentito nelle Chiesa delle origini, come ci attesta Paolo nella lettera ai Tessalonicesi.

Per questo l’Apostolo invita ad una pazienza-speranza, pronti a scrutare i segni misteriosi dell’agire di Dio, ad attenderlo anche nell’oscurità e nel silenzio, nel dolore e nella lontananza.

La parabola non conosce solamente l’oscurità della notte, ma anche quella della porta chiusa.

C’è un rifiuto di Dio ed un rifiuto dell’uomo che si intrecciano reciprocamente.

La responsabilità di ogni uomo è messa in causa da Gesù il cui messaggio fondamentale è quello dell’offerta della salvezza, cui spesso si associa il rifiuto dell’uomo.

Don Emilio

01 NOVEMBRE 2020

Cari fratelli,

la festa di Tutti i Santi ci invita a meditare sulla grande realtà della santità cristiana, che è la totalità nello spirito delle beatitudini.

E quell’atteggiamento di apertura e di donazione che ha per simbolo la fiducia del bambino (Sal 131).

La totalità è povertà in spirito, mitezza, giustizia, purezza, pace e misericordia.

La santità è coscienza effettiva di essere figli di Dio.

Nei manoscritti di Qumram c’è una bella invocazione: “Tu sei un padre per i tuoi figli fedeli; tu esulti su di essi come una mamma sul suo piccino”.

Questa filiazione va però fatta crescere sempre più attraverso una purificazione interiore, perché raggiunga la meta della piena conformazione a Dio allorché lo vedremo così come Egli è.

La santità è pluralità: le vie sono 144.000, come gli eletti dell’Apocalisse.

Ognuno attraverso il suo dono, il suo cuore, il suo riso e le sue lacrime, deve giungere all’Agnello.

Importante è non perdere di vista la meta e non lasciarci schiacciare dalla tribolazione.

La santità è lode, beatitudine, pace.

Lo si vede dal genere stesso delle beatitudini, dal canto corale degli eletti dell’Apocalisse, dalla speranza della seconda lettura.

Già l’antica religione egiziana aveva intuito questa qualità della santità quando faceva scrivere sui frontoni dei templi questa beatitudine, destinata ai fedeli del dio Amon: “Due volte felice chi riposa sul braccio di Amon, lui che si prende cura del silenzioso, che aiuta il povero e che dà il soffio vitale a chi lo ama”.

Don Emilio