Cari fratelli,
potremmo definire la liturgia della Parola di oggi con un titolo emblematico: lo scandalo del profeta.
Il messaggio profetico è imbarazzante, eccentrico rispetto alla normalità, pietra d’inciampo come il Signore stesso.
L’esperienza del rifiuto della Parola è una delle costanti della missione di Ezechiele, di Paolo e di Cristo stesso.
L’incredulità, l’indifferenza di fronte alla provocazione della Parola, la reazione dura ed ostile appartengono alla dinamica della libertà umana.
Tuttavia non possiamo sottrarci a continuare a seminare la Parola.
Scrive papa Benedetto: “Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio ed il suo Regno, nemmeno il credente a se stesso. Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l’incredulità, ad essa resta sempre appiccicata addosso l’inquietudine del “forse però è vero”. Tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede”.
La crisi, il dubbio, l’essere debole, il disprezzo in patria, non devono scoraggiare perché sono il terreno sul quale Dio può celebrare anche il suo misterioso svelarsi: “La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9).
L’indifferenza alla Parola colpisce tutti, non solo gli increduli, ed è una grande malattia che rende opaca la vita spirituale, grigia l’azione, inerte il cuore.
Il benessere diffuso, come insegna uno splendido passo del Deuteronomio (c. 8), è l’occasione che genera il dimenticare, proprio della sazietà ottusa e questo è un rischio che tutti possono correre.
Il card. Biffi ebbe a dire della sua città: “Bologna, sazia e disperata”.
La Parola del profeta è allora provocazione, è segno di contraddizione, inquietudine, ansia, tutto così mirabilmente descritto dal Manzoni, in quella notte terribile dell’Innominato, messo in crisi dalla parola del card. Federigo Borromeo.
Ed ecco quindi che la Parola perfetta di Gesù è ugualmente urgenza e provocazione, stoltezza per i pagani e scandalo per i Giudei.
Don Emilio