Cari fratelli,
“Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia”: questa acclamazione del salmo responsoriale, vero e proprio canto del rimpatrio degli esuli (Sal. 126), ci offre quasi il senso generale della liturgia di oggi.
Essa è un canto di gioia.
Baruc annunzia il glorioso ritorno processionale verso la libertà.
Paolo prega con gioia perché il vangelo si diffonda sempre più “ a lode ed a gloria di Dio”.
Il Battista esclama: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.
Il Cristianesimo è lieto annunzio seminato nel terreno oscuro e spesso insanguinato della storia.
Ed è strano dunque che i cristiani siano pessimisti, nostalgici fautori di giudizi sommari nei confronti dell’umanità, alieni al rischio ed alla fiducia. Gesù al contrario si dichiara pronto a scommettere sulla canna incrinata e sullo stoppino fumigante in procinto di spegnersi.
Le parole del Battista, oltre che segnare questa pagina di apertura di Luca, sigillano anche l’ultima pagina del suo secondo libro, gli Atti.
Da Gerusalemme parte una luce che rompe le tenebre.
La salvezza è per ogni uomo, è universale; si incunea anche tra le potenze politiche menzionate all’inizio del passo evangelico.
Aperti al mondo, senza essere chiusi in sette o fazioni, i cristiani sanno che molti verranno da oriente e da occidente siederanno a mensa con loro, perché la via del Signore percorre il mondo intero.
Isaia con l’espressione dei burroni colmati, dei passi tortuosi raddrizzati allude alle strade processionali della vicina Mesopotamia, totalmente dritte e pianeggianti, che stavano dinnanzi ai templi.
La vita del credente non ignora burroni e colli aspri; eppure ha una meta fissa, il giorno del Signore, che dà senso al nostro cammino spesso faticoso.
A tutti una buona settimana.
Don Emilio