Cari fratelli,
il profeta Ezechiele nella prima lettura canta una nuova alleanza, propaggine dell’antica, con l’immagine della talea strappata al vecchio tronco e trapiantata sul Sion, il santo monte di Dio, e destinata a diventare un albero imponente e rigoglioso.
È quindi evidente, secondo i Padri della Chiesa, il riferimento alla nuova comunità di credenti, germogliata dall’antico tronco della vecchia Alleanza e destinata a farle ombra.
Nel Vangelo Gesù parla del Regno servendosi di parabole.
Il mistero che si svolge in noi attraverso il seme della Parola deposto nella nostra coscienza e che cresce anche se noi dormiamo nelle nostre indifferenze e distrazioni, deve diventare fonte di speranza, di fiducia e di abbandono.
L’aspetto fiduciale della fede impedisce che germogli in noi una sorta di autosufficienza.
Nessuno si salva solamente per le opere ma per la fede e la grazia, come ripete ininterrottamente S. Paolo.
Le opere infatti devono essere il frutto che spunta in chi ha accolto il Regno di Dio in sé.
Il Regno è già presente in mezzo a noi ma, anche, sta crescendo e sviluppandosi verso un destino mirabile.
Di fronte al futuro sono possibili tre atteggiamenti.
Innanzitutto vi è la disperazione di chi è paralizzato dallo sfacelo totale ed assoluto della morte: per essi l’uomo è creatura mortale e nulla più.
Per altri, invece, c’è la rassegnazione fatalistica o narcotica che li congela solo nel presente come in una prigione dorata in cui godere e sperimentare il maggior numero di sensazioni libere e possibili.
C’è infine la visione di Paolo e dei credenti in Cristo che intuiscono l’importanza del presente da vivere non come un’anticamera o una valle di lacrime, ma come luogo dell’impegno cristiano nell’amore.
E contemporaneamente questa visione sa che Dio nel Figlio Gesù ha vinto la morte e ci associa al suo trionfo di una gloria fatta di amore e di intimità con Dio.
Don Emilio