San Leonardo Confessore (Linarolo), 18 Marzo 2012
Carissimi Parrocchiani,
ci siamo soffermati la volta scorsa sull’incontro tra Giacobbe ed Esaù. Come si sono evolute, poi, le cose? Dopo l’incontro, Esaù vuole ripartire. Egli, continuando a condurre una vita nomade, non è vincolato ad alcun luogo, può spostarsi con scioltezza e senza alcun timore, perché con i suoi uomini armati può far fronte ad ogni pericolo.
[12] Poi Esaù disse: “Leviamo l’accampamento e mettiamoci in viaggio: io camminerò davanti a te”.
[13] Gli rispose: “Il mio signore sa che i fanciulli sono delicati e che ho a mio carico i greggi e gli armenti che allattano: se si affaticano anche un giorno solo, tutte le bestie moriranno.
[14] Il mio signore passi prima del suo servo, mentre io mi sposterò a tutto mio agio, al passo di questo bestiame che mi precede e al passo dei fanciulli, finché arriverò presso il mio signore a Seir”.
[15] Disse allora Esaù: “Almeno possa lasciare con te una parte della gente che ho con me!”. Rispose: “Ma perché? Possa io solo trovare grazia agli occhi del mio signore!”.
[16] Così in quel giorno stesso Esaù ritornò sul suo cammino verso Seir.
Giacobbe declina l’invito di Esaù a riprendere con lui il cammino, presentando buone ragioni: ci sono i bambini piccoli, ci sono le greggi con le pecore madri. Pensare di stare al passo del fratello è, dunque, impensabile. Tuttavia, dietro a queste ragioni del tutto plausibili, possiamo intravedere anche un’altra motivazione: Giacobbe non si sente di consolidare in modo più profondo il rapporto con il fratello.
Può sembrare una stranezza e, a prima vista, si potrebbe giudicare come un’ambiguità, uno strascico di quella astuzia che tante volte, in precedenza, abbiamo riscontrato nel patriarca. Così, anche in questa occasione, egli all’esterno si mostra tutto ossequioso verso il fratello, poi, però, al suo invito risponde, in sostanza, che è meglio che ciascuno vada per la propria strada.
In realtà, in tutto questo dobbiamo, invece, riconoscere la sapienza di vita che ormai Giacobbe ha acquistato. Egli è ormai un uomo che vuol vedere chiaro e fare verità nella sua vita. Ha incontrato il fratello e questo è una cosa positiva, ma è anche abbastanza realista da rendersi conto che il loro cammino non può procedere insieme. Esaù ha la sua storia, la sua famiglia, il suo stile di vita. E così anche Giacobbe.
Giacobbe è un uomo che ha ormai il polso della realtà; sa bene che il vincolo fraterno ricomposto non è tale da permettere, almeno sull’immediato, una convivenza. E, allora, ecco che Esaù, conformemente al suo stile di vita nomade, riparte. In un giorno è venuto e nello stesso giorno se ne è andato, consumando in fretta un avvenimento atteso forse da anni. Giacobbe, invece, vuole prendere tempo: col passare degli anni è diventato sempre più riflessivo e ha bisogno di tempi lunghi, di tempi di silenzio e di solitudine. “Il nostro ladro e truffatore – commenta P. Stancari – è adesso diventato un uomo onesto. Deve acquisire dal di dentro la densità delle cose vissute, e finché non le ha assunte, assimilate interiormente, si rende conto che sarebbe spropositato compiere salti in avanti” (P. Stancari S.J., I Patriarchi, CENS, Milano 1994, p. 102).
Così, Esaù riparte e si dirige verso Seir; Giacobbe, invece, prende un’altra direzione.
Don Luigi Pedrini