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Avvisi – 1 Marzo 2015

  • Martedì 24 c.m., ore 21.00: Prove di canto
  • Venerdì 27 c.m., ore 20.45: Via Crucis
INCONTRI DI CATECHESI
  • Domenica 1 marzo, ore 10.00:
    Catechismo dei ragazzi di 4° e 5° elementare.
    Alle 15.15, catechismo dei ragazzi di 1°, 2°, 3° elementare e incontro per i loro genitori.
  • Venerdì ore 21.00: Catechismo per i ragazzi di 1 Media.
  • Sabato 7 marzo, ore 18.30, in Oratorio: Incontro degli adolescenti.
  • Domenica 8 marzo, ore 15.15:
    Catechismo per i ragazzi di 4° e 5° Elementare e incontro per i loro genitori.
    Con i genitori dei ragazzi di 4° ci si accorderà riguardo alle celebrazioni della Prima confessione (12 aprile) e della Prima Comunione (10 maggio).
 ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI
  • Giovedì ore 21.00: Esposizione eucaristica.
    Segue la recita dei Vespri.
    Quindi, la preghiera personale.
    Alle ore 21.45: recita di Compieta e reposizione.
  • Venerdì ore 15.30: Esposizione.
    Ore 15,55: Rosario.
    Ore 16.20: Benedizione e reposizione.
  • Sabato ore 10.00-11.30: Confessioni.

01 Marzo 2015

Carissimi Parrocchiani,

Mosè ha ormai compiuto la salita sul monte e ha davanti a sé il roveto che brucia senza consumarsi. Sta per avvicinarsi, quando Dio dal roveto lo chiama: “Mosè, Mosè!”. In quel luogo deserto Mosè si sente chiamare per nome due volte e anche se il suo “Eccomi” di risposta è pronto, deve essere stato grande lo sconcerto che ha provato: un miscuglio di paura e di meraviglia.

Il nome viene ripetuto due volte. Nella Bibbia è una cosa abbastanza rara e, in genere, avviene nel momento in cui una persona deve fare un passo in avanti nel suo cammino di fede. Pensiamo ad esempio ad Abramo chiamato due volte perché desista dal sacrificare il proprio figlio Isacco (Gen 22,1). Pensiamo a Marta che Gesù chiama ripetendo per due volte il suo nome per invitarla a distaccarsi dalle occupazioni e a dare più spazio alla sua iniziativa e all’ascolto della Parola.

Qualcosa del genere Dio sta per chiedere a Mosè: egli, chiamato per due volte da Dio, si rende conto che sta per vivere un momento importante e che la sua vita è giunta a un bivio decisivo.

Dio riprende a parlargli e gli rivolge parole inaspettate: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” (v. 5). Dunque, Mosè non si sente dire: “Bravo, Mosè. Sei stato coraggioso e generoso. Non hai esitato a separarti dal tuo gregge per venire fin qui”, ma: “Non avvicinarti, togliti i sandali”.

Mosè era intenzionato ad avvicinarsi al roveto per contemplare quel prodigio, ma porta ancora in sé la sua visuale riguardo a Dio e al suo modo di agire nella storia. Egli ha bisogno di liberarsi dai piccoli schemi nei quali è tentato di racchiudere Dio. Questo è il significato di quel comando: “Togliti i sandali”. È come se Dio gli dicesse: “Vedi Mosè se vuoi stare alla mia presenza, se vuoi incontrarmi, devi toglierti i sandali, cioè devi mettere da parte le idee anguste che nutri a mio riguardo e aprirti alla novità del mistero. Non sei tu che devi tirare me sulla tua lunghezza d’onda, ma il contrario”.

A questo punto Dio si auto presenta: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio (v. 6).

Con questa dichiarazione Dio aiuta Mosè a scoprire il suo vero volto: Egli non è un Dio lontano e sconosciuto. È un Dio familiare, che si è legato ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe. È il Dio che è entrato personalmente nella storia di queste famiglie e si è legato al popolo nato da loro con un patto di fedeltà.

Con questa rivelazione Dio invita Mosè a ricordarsi della storia del suo popolo e a prendere le distanze dalla tentazione – che doveva essere forte in lui dopo il fallimento subito in Egitto – di rimuoverla. Dunque, Mosè è chiamato a riappropriarsi di quel passato nel quale Dio si è fatto presente testimoniando la sua cura fedele verso il popolo di Israele: la promessa che ha fatto ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe rimane valida e andrà a compimento.

Don Luigi Pedrini

Avvisi – 22 Febbraio 2015

Appuntamenti Quaresimali

  • Lunedì 23 c.m. ore 21.00: Incontro di catechesi per adulti.
    Tema “Le opere di misericordia spirituale: consolare gli afflitti; perdonare le offese ricevute”.
  • Venerdì 27 c.m., ore 20.45: Via Crucis
  • Martedì 24 c.m., ore 21.00: Prove di canto
  • Venerdì ore 21.00: Catechismo per i ragazzi di 1 Media.
    Invito gli altri ragazzi 2 e 3 Media alla Via Crucis.
    Ugualmente i ragazzi delle elementari perché aiutino a utilizzare le rappresentazioni delle stazioni.
  • Domenica 1 marzo, ore 15.15, catechismo dei ragazzi di 1°, 2°, 3° elementare e incontro per i loro genitori.
  • Sabato ore 10.00-11.30: Confessioni.
    Invito i ragazzi a venire per le ore 10.30.

22 Febbraio 2015

Carissimi Parrocchiani,

l’ultima volta abbiamo visto che Mosè, davanti al fenomeno strano di un roveto che brucia senza consumarsi, ha il cuore affastellato di tante domande a cui non sa dare una spiegazione. Potrebbe disinteressarsi e desistere dal cercare una risposta e, invece, decide di rendersi conto di persona di quello che sta accadendo.: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia” (v. 3).

Mosè si domanda: “perché?”, come mai? Egli è un uomo ancora capace di interrogarsi e di lasciarsi inquietare dalle domande che si porta dentro. Sono passati parecchi anni da quando coltivava i suoi sogni giovanili. Ora è un uomo di ottant’anni. Eppure, non è un uomo che ha chiuso con la partita della vita, che ritiene di aver ormai compreso tutto e che la vita non possa più riservagli sostanziali novità. Mosè è un uomo ancora disposto a imparare.

Stefano nel discorso che ha tenuto poco prima di morire e che possiamo leggere nel libro degli Atti degli Apostoli (cfr At 5-7), riferendosi proprio a questo episodio, dice che Mosè davanti allo spettacolo che stava sotto i propri occhi “si meravigliò”, cioè “rimase stupito”. Dunque, Mosè in quel frangente si è lasciato prendere dalla meraviglia che è l’atteggiamento tipico del bambino sempre capace di interessarsi per qualcosa di nuovo.

“Voglio avvicinarmi”: gli esegeti fanno notare che il verbo ebraico ‘avvicinarsi’ (sur) letteralmente significa ‘fare una diversione’, ‘fare un giro lungo’. Dunque, questo verbo esprime la volontà chiara di rendersi conto di quello che sta accadendo anche a costo di esporsi alla fatica e a qualche rischio. Concretamente, per Mosè si trattava di lasciare la pianura dove stava pascolando il gregge, salire il sentiero e attraverso lunghi giri passare dal pianoro inferiore a quello superiore.

Mosè accetta la fatica dell’ascesa e anche il rischio che comporta: infatti, fare quella diversione voleva dire lasciare incustodito il gregge, salire sotto il sole e, forse, anche esporsi a qualche pericolo.

Tutto questo è, in ogni caso, rivelativo della giovinezza interiore di Mosè. Quantunque da quarant’anni viva nel deserto dove ha ormai una famiglia consolidata, è un pastore a tutti gli effetti e può sentirsi un uomo arrivato, ha resistito alla tentazione della rassegnazione e ha custodito un atteggiamento di vigilanza e di apertura ale sorprese della vita: Mosè è davvero un uomo pronto per una nuova infanzia spirituale, maturo per ricevere la novità che Dio sta portando nella sua vita.

Don Luigi Pedrini

Messaggio per la Quaresima 2015

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade.

Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare. Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone.

Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza. L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano. Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo. Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra.

E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6). Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita.

Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento, per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso. Vorrei proporvi tre passi da meditare per questo rinnovamento.

1. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor 12,26) – La Chiesa La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini. Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo. La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26). La Chiesa è communio sanctorum perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore. In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza.

2. “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9) – Le parrocchie e le comunità Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa ? (cfr Lc 16,19-31).

Per ricevere e far fruttificare pienamente quanto Dio ci dà vanno superati i confini della Chiesa visibile in due direzioni. In primo luogo, unendoci alla Chiesa del cielo nella preghiera. Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio. Finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo, i santi camminano con noi ancora pellegrini. Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: “Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime” (Lettera 254 del 14 luglio 1897).

Anche noi partecipiamo dei meriti e della gioia dei santi ed essi partecipano alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione. La loro gioia per la vittoria di Cristo risorto è per noi motivo di forza per superare tante forme d’indifferenza e di durezza di cuore. D’altra parte, ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani. La Chiesa per sua natura è missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini. Questa missione è la paziente testimonianza di Colui che vuole portare al Padre tutta la realtà ed ogni uomo. La missione è ciò che l’amore non può tacere.

La Chiesa segue Gesù Cristo sulla strada che la conduce ad ogni uomo, fino ai confini della terra (cfr At 1,8). Così possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto. Quanto abbiamo ricevuto, lo abbiamo ricevuto anche per loro. E parimenti, quanto questi fratelli possiedono è un dono per la Chiesa e per l’umanità intera. Cari fratelli e sorelle, quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!

3. “Rinfrancate i vostri cuori !” (Gc 5,8) – Il singolo fedele Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità ad intervenire. Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza? In primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste. Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti! L’iniziativa 24 ore per il Signore, che auspico si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo, vuole dare espressione a questa necessità della preghiera.

In secondo luogo, possiamo aiutare con gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità. E in terzo luogo, la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli. Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31).

Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro. Per questo, cari fratelli e sorelle, desidero pregare con voi Cristo in questa Quaresima: “Fac cor nostrum secundum cor tuum”: “Rendi il nostro cuore simile al tuo” (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

Dal Vaticano, 4 ottobre 2014

Festa di San Francesco d’Assisi

24 Ore per il Signore

Nel Messaggio per la Quaresima 2015 (TESTO) il Papa ha espresso l’augurio che in tutta la Chiesa, “anche a livello diocesano” si celebri l’iniziativa “24 ore per il Signore”, per “dare espressione alla necessità della preghiera”.

Ma di cosa si tratta? Le “24 ore” è una iniziativa lanciata nel 2014 dal Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, presieduto da monsignor Rino Fisichella. Allora si svolse venerdì 28 marzo; l’intera giornata fu dedicata al sacramento della riconciliazione, proprio per consentire a quanti lo desideravano di accostarvisi. Aderirono decine di diocesi in tutta Italia.

Quest’anno, come nel 2014, sarà Papa Francesco a presiedere la liturgia penitenziale a San Pietro, mettendo così il sacramento della riconciliazione al centro del cammino della nuova evangelizzazione in tutta la Chiesa. In alcune chiese del centro storico di Roma saranno disponibili confessori per la celebrazione individuale del sacramento, mentre giovani appartenenti a diverse realtà ecclesiali incoraggeranno i loro coetanei ad entrare in chiesa, dove per tutta la notte troveranno sacerdoti e confessori disponibili all’ascolto.

Il tema prescelto per orientare la riflessione è “Dio ricco di misericordia”.

15 Febbraio 2015

APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA

  • Domenica 15 Feb 2015 Ore 10.00
    Catechismo dei ragazzi.
    Nel pomeriggio Festa di carnevale secondo l’orario del manifesto con frittelle presso la Casa parrocchiale.
  • Svolgimento dei Gruppi di Ascolto. Si veda il prospetto sulla porta della Chiesa
  • Inizio della Quaresima. Invito a portare a casa il prospetto completo degli appuntamenti. In particolare ricordo in questa settimana:
    • il Mercoledì delle Ceneri.
      Giornata di digiuno e astinenza. S, Messa alle ore 16.30 e alle ore 20.45.
    • Giovedì ore 21.00: Adorazione eucaristica con i sacerdoti del Vicariato
    • Venerdì ore 20.45: Via Crucis
    • Domenica 22 c.m., ore 9.30, presso il vecchio asilo: mattina di ritiro per gli adolescenti.

Il catechismo dei ragazzi di 1, 2, 3 elementare e l’incontro per i loro genitori che era fissato nel pomeriggio di Domenica 22 febbraio è rimandato alla domenica 1 marzo, essendo presenti domenica 22 in parrocchia gli scout di Pavia per il loro raduno annuale.

15 Febbraio 2015

Carissimi Parrocchiani,

seguiamo i passi di questa ‘storia nuova’ che Dio va costruendo ora con un intero popolo e la seguiamo a partire da un’angolatura particolare, quella della missione di Mosè. Iniziamo dall’avvenimento che ha segnato la svolta della sua vita: la chiamata di Dio.

Mosè, da quarant’anni ormai vive presso il suocero: lì ha imparato a pascolare un gregge non suo. Sono anni di solitudine in cui impara a guardare sempre più a distanza il suo passato e si lascia alle spalle quel progetto di liberazione del suo popolo che, a suo tempo, aveva considerato come possibile missione della sua vita. Un giorno, mentre si trova nel deserto è spettatore di un fatto inspiegabile: vede a distanza un roveto avvolto dalle fiamme e che, tuttavia, non si consuma.

Siamo di fronte a un fatto misterioso che domanda una spiegazione. Le interpretazioni esegetiche di questo testo hanno dato al riguardo una duplice risposta. Abbiamo, anzitutto, una risposta che possiamo chiamare ‘teologica’ perché vede nel roveto ardente un segno anticipatore del mistero dell’Incarnazione: il fatto che il roveto bruci senza consumarsi sta dire che l’uomo (rappresentato dal roveto) si incontrerà con Dio (rappresentato dal fuoco) e tuttavia non sarà distrutto. Ecco come un biblista dei nostri giorni esprime tutto questo:
Noi ci incontriamo continuamente con Dio, eppure facciamo la nostra vita di sempre. Rimarremo per l’eternità in Dio e non saremo consumati da questo fuoco. Permanenza della natura umana in Cristo. Mistero grandissimo: Dio è uscito da sé; tu sei consumato eppure non consumato; muori e rinasci continuamente. Dalle ceneri della tua morte nasce una vita più alta: tu possiedi la vita stessa di Dio. Il roveto arde, ma non consuma. Mistero di Cristo e di tutti i cristiani. Si vive la nostra povera vita, eppure tutto è pieno di Dio. Noi viviamo con lui in semplicità, restiamo semplici uomini, ma possediamo l’immensità del suo dono (D. Barsotti)
La seconda risposta, invece, vi legge un rimando a ciò che Mosè deve scoprire in se stesso: egli pensa che il progetto di liberazione coltivato in gioventù appartenga al passato e non si rende conto che in realtà continua a vivere dentro di lui, nascostamente, ma è come una brace sepolta sotto la cenere che improvvisamente può tornare a divampare. Secondo questa interpretazione il roveto ardente è uno specchio di quello che Dio sta per operare in Mosè: Dio è venuto per rianimare in lui un fuoco che egli credeva consumato per sempre. Così, commenta P. Stancari:
Mosè scopre improvvisamente qualcosa che lo butta in faccia ad un mistero non ancora sondato. C’è qualcosa dentro di lui che – malgrado tutto – non viene meno: al fondo della sua intera esperienza di uomo ormai finito e di condottiero mancato, Mosè avverte una presenza che non si consuma. Egli scopre dentro di sé l’ardore di una fiamma che brucia senza consumarsi, come una passione, quieta e profondissima, che sia in grado di trarre nuova forza dal suo stesso bruciare. […] Mosè non capisce: è come se la passione che lo divora brillasse di nuovo vigore, man mano che egli si sente sprofondare nel buio della delusione… è come se il suo amore per la giustizia e per il suo popolo si ravvivasse, man mano che egli si sente invecchiare e morire. Mosè non capisce ancora…

Don Luigi Pedrini

Avvisi – 01 Febbraio 2015

  • Sabato 31 gennaio e Domenica 1 febbraio: Festa di san Giovanni Bosco,
  • Venerdì 5 febbraio, ore 20.30: catechismo dei ragazzi di 1°, 2° e 3° Media.
  • Sabato 7 febbraio, ore 18.30: Incontro per gli adolescenti.
  • Domenica 8 febbraio nel pomeriggio alle ore 15.15: catechismo per i ragazzi di 4° e 5° elementare e incontro per i loro genitori.

01 Febbraio 2015

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo lasciato Mosè che trova rifugio nella terra di Madian, viene accolto in casa dal pastore Ietro, sposa la figlia Sipporà dalla quale ha un figlio, Ghersom. Il futuro della sua vita sembra ormai deciso. Ma proprio in questa situazione, viene a collocarsi la chiamata di Dio, la sua ‘vocazione’. Tutto avviene sul “monte di Dio” che noi conosciamo come Sinai o anche Oreb. Questo monte si trova nella zona meridionale della penisola del Sinai, una zona montuosa che, probabilmente, aveva un valore di sacralità presso le popolazioni madianite che la abitavano.

Gli esegeti fanno notare che questo testo è nato dall’intreccio di diverse tradizioni bibliche: se da una parte, stenta a raggiungere una piena unificazione; dall’altra, rivela la preoccupazione di non voler perdere nulla del patrimonio tradizionale. In ogni caso risulta chiaro qual è il cuore del racconto che vuole trasmettere: nella vita di Mosè, un giorno, è accaduto qualcosa di importante che ha segnato uno stacco tra il prima e il dopo. Questo qualcosa ha orientato nuovamente Mosè verso il servizio al suo popolo e alla missione. Seguiamo, allora, i passi progressivi del racconto.

Dopo molto tempo il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio (Es 2,23). La sorte degli ebrei in Egitto rimane alquanto drammatica e neanche la morte del faraone che li ha duramente sottoposti ai lavori forzati non apporta alcun sollievo. In questa situazione innalzano il loro grido a Dio. Gemettero, dice il testo. Il gemito è l’espressione di una sofferenza indicibile, resa insopportabile dal fatto di non lasciar vedere alcuna via d’uscita.

Il lamento che innalzano non si accompagna ad una richiesta esplicita di liberazione. Sembra di capire che gli israeliti non sono ancora pronti per un passo del genere. Forse appare loro un traguardo troppo alto: abituati come sono a vivere in schiavitù non sono più capaci di pensare ad una vita diversa. La loro speranza è timida e incerta, forse anche per una certa paura che incute la libertà. L’Egitto per loro significa servitù, ma anche sopravvivenza assicurata. Basterebbe un servizio più leggero per rendere la loro permanenza accettabile; l’uscita dall’Egitto significa invece intraprendere il cammino verso la libertà che, se è affascinante, è anche pericoloso. C’è il deserto da attraversare e non è scontato l’avere sempre il necessario per sopravvivere. Dunque, il cammino della libertà costa e fa paura.

C’è da notare che il testo non dice che gli israeliti innalzarono a Dio grida di preghiera, ma grida di lamento che tuttavia raggiungono il cuore di Dio: Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero (Es 2,24-25). Questo “se ne prese pensiero” rivela il movente di tutta la vicenda dell’Esodo. All’inizio c’è questo darsi pensiero da parte di Dio.

Così, prende avvio una nuova storia: non più la storia di uomini singoli, come Abramo, Isacco, Giacobbe, ma la storia di un popolo, di una umanità redenta.

Ci prepariamo, in compagnia di Mosè, a seguire i primi passi di questa nuova storia.

Don Luigi Pedrini