QUESTO. È IL GIORNO
CHE HA FATTO IL SIGNORE!
BUONA PASQUA A TUTTI!
TRIDUO PASQUALE
CONFESSIONI
Carissimi Parrocchiani,
con la celebrazione della Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa che ha il suo vertice nella celebrazione del Triduo pasquale in cui rivivremo il mistero della passione e risurrezione del Signore Gesù. In questa Domenica contempliamo Gesù che entra deliberatamente nella città che sta tramando contro di Lui per farlo morire.
Nel Giovedì santo contempleremo Gesù che ci dona durante l’ultima cena l’Eucaristia il sacramento con il quale Egli ha scelto di rimanere per sempre con noi e si lascia incontrare come Colui che dona la sua vita per noi. Nel Venerdì santo insieme a Maria e all’apostolo Giovanni contempleremo e adoreremo la croce manifestazione suprema del suo amore per noi. Nel Sabato santo sosteremo in preghiera accanto al sepolcro per pregustare nel grande silenzio che caratterizza quella giornata la vita nuova del risorto che sta germogliando. Nella notte di Pasqua proclameremo con l’alleluia la risurrezione di Gesù, vittoria sulla morte e fondamento della nostra speranza.
La confessione alla quale siamo invitati ad accostarci in questi giorni in preparazione alla Pasqua ci permetterà di liberare il nostro cuore da ogni resistenza e opacità per lasciarci pienamente illuminare dalla luce di Cristo.
A tutti il mio augurio di vivere con disponibilità e con fede questi giorni di grazia!
Don Luigi Pedrini
Carissimi Parrocchiani,
dopo il valore del silenzio, voglio ricordare alla luce dell’episodio del roveto ardente ancora tre condizioni fondamentali che favoriscono l’autentica esperienza di Dio.
La prima è bene evidenziata dal v. 3 che riferisce la decisione coraggiosa di Mosè di verificare di persona quel roveto che brucia senza consumarsi: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Queste parole rivelano che Mosè, nonostante l’età avanzata (ha ottant’anni) e nonostante abbia tutte le ragioni per sentirsi un uomo arrivato, è ancora capace di meraviglia e di farsi domande: “perché il roveto non brucia?”. È un uomo aperto al nuovo, aperto alla speranza. Se fosse stato un uomo amareggiato e rassegnato, si sarebbe limitato a dire: “Sì è una cosa strana, ma in fondo non mi riguarda”. E, invece, vuol capire, avvicinarsi a vedere ( = “katanoesai”). Per sé questo verbo “katanoesai” che contiene in radice il termine nous che significa intelletto dice di più che il semplice ‘vedere’: allude a un’azione che coinvolge gli occhi e, insieme, l’intelletto. Pertanto, rimanda a un guardare interessato, non superficiale che si potrebbe intendere nel senso di considerare, riflettere, cercare di comprendere. Mosè è, dunque, animato da questo atteggiamento: è un uomo vecchio, ma interiormente profondamente vivo.
La seconda condizione la cogliamo nel v. 5 e, precisamente, nel comando di togliersi i sandali. Questo togliersi i sandali è un’altra condizione fondamentale per l’autentica esperienza di Dio. Dio, infatti, lo si può incontrare se si è disposti a mettere da parte le proprie precomprensioni per aprirsi in tutta semplicità e rispetto al suo mistero. Sappiamo bene che quando si tolgono i sandali e si deve camminare a piedi nudi su un terreno che è una pietraia non si cammina bene, il passo non è più sicuro, si fa incerto. Questo significa che non si può entrare nel mistero di Dio marciando trionfalmente. Si entra con rispetto, con umiltà. Ci si presenta in punta di piedi, non volendo imporre a Dio il proprio passo, ma lasciandoci attrarre nel suo.
La terza condizione la possiamo riconoscere nel v. 7 che sottolinea l’iniziativa libera e misericordiosa di Dio a favore del popolo schiavo in Egitto: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto…”. Questa sottolineatura chiede a Mosè e a tutti quanti sono alla ricerca di Dio la disponibilità a convertirsi al volto ‘nuovo’ di Dio. Mosè fino ad allora aveva pensato Dio come Colui per il quale occorre fare molto: aveva pensato che Dio gli chiedesse di rinunciare alla sua posizione di privilegio, di coinvolgersi nelle fatiche dei suoi fratelli, di spendersi anche a costo di vedersi non compreso e rifiutato. Adesso, comincia a capire che Dio è diverso: non è uno che chiede per sé e ti usa, ma è il Dio di misericordia che prima di chiedere qualcosa si prende cura di te, ti risolleva, ti rimette in gioco per, poi, coinvolgerti in un’opera di salvezza che è anzitutto sua.
Questa terza condizione ci spinge a domandarci se la nostra fede è nella linea di primo Mosè o del secondo Mosè. Siamo nella linea del secondo Mosè se custodiamo viva la coscienza che l’opera con la quale diamo testimonianza della nostra fede non è nostra, ma è di Dio e che siamo, senza nostro merito, semplici collaboratori di qualcosa che ci precede e che è più grande di noi.
Don Luigi Pedrini
AVVISI IN GENERALE
INCONTRI DI CATECHESI
ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI
Carissimi Parrocchiani,
prima di congedarci da questo secondo episodio del cammino spirituale di Mosè voglio raccogliere qualche insegnamento per la nostra vita.
La straordinaria esperienza che Mosè vive sul monte Oreb mette in luce alcune condizioni fondamentali che favoriscono l’autentica esperienza di Dio. Anzitutto, la solitudine nella quale Mosè vive l’incontro con Dio, ricorda l’importanza del silenzio.
“Oggi noi abbiamo perso l’abitudine al silenzio”: l’osservazione anche se è stata fatta alcuni fa dallo scrittore Mario Pomilio, rimane alquanto attuale. L’invadenza dei mass media rischia di privarci totalmente di questa dimensione. Forse questa fuga dal silenzio nasce da un bisogno eccessivo di essere sempre connessi per il desiderio di avere informazioni su tutto o forse è motivata dal fatto – come annotava ancora lo scrittore – “che abbiamo paura di confrontarci con la verità”. Per questa strada, però – metteva in guardia lo scrittore – “non possiamo crescere: siamo condannati alla mediocrità”.
Un altro scrittore che ha richiamato il valore del silenzio è Carlo Carretto. Egli nel 1954 si è trasferito per un certo tempo nel deserto per trovare spazi di raccoglimento e di preghiera. Così, ha giustificato la sua scelta: “Vado nel deserto per disintossicarmi da una vita nella quale non trovo più Dio”. Da quell’esperienza ha tratto, poi, un libro intitolato Lettere dal deserto nel quale confessa di aver ritrovato in quella solitudine la capacità di guardare le stelle, il cielo, il sole, un tramonto, il movimento della sabbia, un fiore; di aver recuperato la sintonia con il messaggio delle cose, che è voce di Dio; ma soprattutto di aver trovato nuovamente il senso vivo della presenza di Dio e, insieme, la pace con se stesso. Quella di Carretto è, indubbiamente, una scelta estrema che richiede, peraltro, una preparazione e anche una certa predisposizione. Certo è che tutti abbiamo bisogno di trovare nella nostra vita momenti di silenzio: passa di lì la strada per scoprire la presenza di Dio in noi e intorno a noi.
Ma come potremmo definire propriamente il silenzio? Così risponde il Card. Martini: “Il silenzio è qualcosa che oggi non c’è praticamente quasi più in nessun luogo (forse sulla cima di un ghiacciaio, ma quando non passano vicino impianti di risalita per sciatori!). […] Per tentare qualche chiarimento, possiamo dire che il silenzio non è mutismo, cioè assenza di parola, di comunicazione. […] Il silenzio è quella condizione mediante la quale io riesco ad ascoltare veramente una persona. Dunque, quando ascolto davvero me stesso – ciò che capita forse molto di rado – allora comincio a capire cos’è davvero il silenzio; o quando ascolto davvero un altro, senza sovrapporre le mie parole e i miei pensieri. E ancora di più comincio a capire cos’è il silenzio, quando mi metto davvero ad ascoltare Dio. […] È una perla preziosa, e bisogna scavare molto a fondo nella propria vita e nel proprio ambiente per trovarla. Ma, grazie, a Dio, esiste e se qualcuno la cerca la troverà” (C. M. Martini, Il silenzio, Piemme, Casale Monferrato, 19943).
Don Luigi Pedrini
AVVISI IN GENERALE
INCONTRI DI CATECHESI
ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI
Carissimi Parrocchiani,
abbiamo lasciato Mosè che, davanti al roveto, vive l’esperienza inattesa dell’incontro con Dio: un Dio che lo cerca, un Dio che lo chiama per nome e che, da come si presenta, lascia trasparire quanto sia vicino a lui e al popolo di Israele oppresso in Egitto.
Ora, dopo le parole di presentazione, Dio dichiara espressamente ciò che sta per realizzare a favore del suo popolo e per il quale chiede la disponibilità a Mosè.
7Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono (Es 3,7-9).
In questi versetti possiamo notare come è forte l’accento di Dio sul fatto che l’iniziativa è sua: “Ho osservato… ho udito … conosco… sono sceso… ho visto”. Di riflesso possiamo cogliere in questa sottolineatura anche un velato rimprovero nei confronti di Mosé. Un rimprovero che, con le parole del Card. Martini, potremmo esplicitare così: “Vedi Mosè credevi di essere tu a farti carico del mio popolo e di dover fare tu da intermediario verso di me perché io mi rendessi sensibile. Tu non hai mai pensato che questo potesse essere opera mia e, ingenuamente, ti sei buttato a piene mani come se tutto dipendesse da te e non da me. Adesso devi ripensare tutto in questa ottica”.
Dunque, Mosè è invitato a rileggere gli avvenimenti del suo popolo mettendosi dal punto di vista di Dio. Dio, da parte sua, ritiene che Mosè sia ormai pronto per fare questo passaggio di conversione. Ed ecco, allora, il mandato che gli affida: “Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!” (v. 10).
Possiamo cogliere in questa richiesta tutta l’arte pedagogica di Dio: Egli ha saputo attendere molti anni e ha portato Mosè a distaccarsi gradualmente dal suo protagonismo. Ora che lo ha aiutato anche a rendersi conto che il vero protagonista è Lui, lo rimanda in Egitto: “Io ti mando dal faraone”. In tutto questo, non dice una parola su quello che quarant’anni prima è accaduto e con la sua parola autorevole invia Mosè proprio là dove a suo tempo ha fallito ed è stato costretto a fuggire. In questo modo, Dio riprende in mano le fila sparse della vita di Mosè e lo rimette in cammino.
Contemplando Mosè che ritorna sui suoi passi e si prepara a presentarsi al faraone per chiedere la liberazione del suo popolo, viene da dire sta che sta chiudendo una parentesi della sua vita e ritorna al punto di partenza; in realtà, non è proprio così. Infatti, le stesse cose ora sono vissute da Mosè con uno spirito diverso: egli sa bene che ciò che lo attende non è opera sua, ma è opera di Dio.
Don Luigi Pedrini
I comuni di Valle Salimbene e Linarolo,
unitamente a tutta la Comunità di San Leonardo,
annunciano la scomparsa di
La Cara Salma riposa presso l’Istituto Suore Missionarie Immacolata Regina Della Pace in Via Mazza – Mortara e
Sabato 7 Marzo ore 10 giungerà nella Chiesa Parrocchiale
di S. Leonardo ove si svolgeranno i funerali,
indi la tumulazione nel Cimitero Locale.