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27 Settembre 2015

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo davanti una settimana intensa che ci prepara alla Sagra Parrocchiale, la festa della Madonna del Rosario. Voglio, pertanto ricordare alcuni appuntamenti significativi perché ciascuno di noi possa valorizzarli nel modo migliore secondo le proprie possibilità.

Anzitutto, abbiamo programmato alcuni momenti di carattere spirituale che dispongano il nostro animo alla festa: sono le tre sere del Triduo che faremo martedì, mercoledì e giovedì. Pregheremo con la preghiera con cui la Chiesa conclude l’attività della giornata: il canto dei Vespri. Durante queste tre sere ho pensato di fare qualche considerazione con voi sulla preghiera tradizionale dell’Angelus.  È una preghiera antica, molto conosciuta e valorizzata (pensiamo alle campane che suonano per tre volte nella giornata; pensiamo all’appuntamento dell’Angelus con cui il Papa ogni domenica a mezzogiorno si intrattiene coi fedeli), alla quale però rischiamo di non prestare la dovuta attenzione.

Il Triduo culminerà in un’ultima sera di preparazione alla festa: quella di venerdì nella quale pregheremo con la preghiera solenne dell‘Akatistos. È una preghiera di lode a Maria, fatta davanti all’icona della Madonna della Tenerezza che abbiamo in Chiesa: una preghiera molto bella sia per il contenuto delle parole di lode, sia per la musica che coinvolge tutti i fedeli.

Sabato in mattinata, dalle ore 10.00 alle 11.30 sarò disponibile per le confessioni.

Domenica avremo le sante Messe nell’orario consueto. Particolarmente solenne sarà la santa Messa delle ore 11.00 nella quale festeggeremo i giovani che quest’anno entrano nell’età adulta con il compimento del 18° anno. Al termine della santa Messa faremo anche l’inaugurazione ufficiale del nuovo sagrato con la preghiera di benedizione. Per l’occasione verrà anche collocata una ‘locandina’ sul muro perimetrale del sagrato sulla quale è raffigurata la Via Francigena, sono riportate alcune notizie storiche della chiesa parrocchiale e pure la preghiera del pellegrino. È un piccolo contributo che vogliamo dare ai pellegrini della Via Francigena che passando non di rado si fermano per una visita alla nostra chiesa. Al termine della cerimonia verrà distribuito a tutti i presenti anche un estratto dal libro che stiamo preparando sulla chiesa di san Leonardo e sui dintorni e che probabilmente sarà pronto per la Sagra del prossimo anno.

Lunedì avremo modo di pregare per i nostri defunti con la solenne concelebrazione del mattino e poi con la S. Messa della sera.

Per quanto riguarda il programma ricreativo ricordo oltre alla Pesca di beneficenza (quest’anno la troviamo non più in oratorio, ma  nel salone) e alla sottoscrizione a premi, tre altre iniziative: un mercatino di giocattoli che potrà fare contenti i ragazzi dato i prezzi scontatissimi con cui saranno messi in vendita; lo spettacolo originalissimo di ‘Pompieropoli’ che si terrà in oratorio nel pomeriggio della Sagra a partire dalle ore 15.00: i pompieri di Pavia saranno disponibili per far provare ai ragazzi l’emozione che si prova nello svolgere questo prezioso, ma non facile compito; infine, la cena di sabato sera, vigilia della sagra: l’appuntamento è per le ore 20.00. Si tratta di un momento semplice, ma significativo che può dare alla nostra festa quella nota di familiarità che ci fa sentire più uniti tra noi. Sappiamo che questa è una delle finalità proprie della Sagra.

Don Luigi Pedrini

20 Settembre 2015

Carissimi Parrocchiani,

             abbiamo contemplato in Mosè il credente che accetta di seguire fino in fondo le vie misteriose di Dio. La sua fede ha trascinato anche gli Israeliti ad accettare il rischio di fidarsi di Dio e a saper guardare oltre gli angusti confini umani che sembravano impedire qualsiasi speranza.

San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti ricorda espressamente questa testimonianza di fede offerta dal popolo di Israele e scrive: Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè …(1 Cor 10,1-4).

C’è una singolarità in queste parole: nominando “i nostri padri” Paolo non intende semplicemente gli Israeliti che storicamente sono usciti dall’Egitto e hanno attraversato il Mar Rosso, ma anche tutti gli israeliti che sono venuti dopo di loro: anche loro, nella misura in cui hanno accettato di fidarsi di Dio, sono stati battezzati in rapporto a Mosè. Hanno ricevuto il suo battesimo, cioè hanno fatto il suo stesso passaggio di fede: si sono esposti all’insicurezza che umanamente comporta il fidarsi di Dio per stabilirsi nella ‘sicurezza’ propria della fede.

Paolo però va oltre ancora: non si limita a parlare del battesimo degli Israeliti in rapporto a Mosè e allarga il discorso fino a noi. Infatti nella Lettera ai Romani afferma che noi siamo stati battezzati in Cristo Gesù (Rm 6,3)

Questa espressione battezzati in Cristo Gesù diventa meglio comprensibile alla luce dell’espressione “battezzati in rapporto a Mosè” così come l’abbiamo descritta. Essa significa che, come gli Israeliti in rapporto a Mosè, così noi accettiamo di condividere il cammino di fede di Gesù con il rischio che esso comporta essendo il cammino di colui che “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Battezzati in Cristo significa che siamo disponibili a lasciare che Dio abbia ad operare in noi secondo la sua sapienza, confidando nella sua fedeltà e nella sua potenza infinita. Pertanto, volentieri, accettiamo ogni giorno una dimensione di rischio, di precarietà, di incognita. Non pretendiamo di essere noi a fare ancorati alle nostre forze – questa è la pretesa del faraone che ripone la sua fiducia nel suo esercito e nei suoi cavalli –, ma ci rimettiamo nelle mani del Signore certi che Egli “combatterà per noi e noi staremo tranquilli” (v 14).

            In questo atteggiamento di fede noi veniamo continuamente battezzati in Cristo Gesù, cioè diventiamo partecipi della sua fede, quella fede con la quale ha creduto nella bontà e onnipotenza del Padre capace di aprire sempre davanti a Lui la strada della vita.

            È significativa al riguardo la testimonianza che Gesù ha dato nell’orto degli ulivi nell’ora più drammatica della sua vita. In quella circostanza, come Mosè, avrebbe potuto considerare la possibilità di tirarsi indietro, di uscire dalla scena, di trovare una qualche forma di compromesso. Avrebbe potuto seguire il consiglio di Pietro: reagire con la forza e morire da eroe con i discepoli. Invece, ha scelto di affidarsi totalmente alla volontà del Padre, lasciando che si manifestasse la sua opera nei tempi e nei modi da lui voluti. Questa è stata la fede di Gesù e anche la nostra nella misura in cui riconosciamo il nostro essere battezzati in Lui.

Don Luigi Pedrini

13 Settembre 2015

Carissimi Parrocchiani,

la settimana scorsa abbiamo avuto modo di apprezzare la scelta coraggiosa di Mosè che nella situazione drammatica in cui è venuto a trovarsi ha optato per la fede e si è rimesso totalmente nelle mani del Signore.

Ora vorrei invitare ciascuno di noi a riflettere su questa decisione che rivela una fede che si espone al rischio di giocarsi interamente senza lasciarsi intimorire di fronte all’incertezza che comporta il seguire il Signore.

In effetti c’è n’incertezza che sfida la fede e che proviene sia dal di dentro, sia dal di fuori.

C’è, anzitutto, un’incertezza che proviene dall’interno della stessa esperienza di fede: il credente la sperimenta nel momento in cui si dispone a seguire il Signore. Al riguardo, Gesù ci ha espressamente avvertiti: illustrando le condizioni che la sequela richiede dichiara che seguire lui vuol dire affidarsi a uno che “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) e che chiede al discepolo di dargli la precedenza su tutti gli altri legami affettivi: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8,22). L’incertezza che mette alla prova la fede è costituita da questo non sapere ciò che ci riserva un domani l’andare dietro al Signore.

Oltre a questa, c’è anche un’incertezza che il credente incontra dal di fuori: nasce dal constatare che attorno a sé c’è un mondo che è sempre meno cristiano e che ha una comprensione della vita dissonante con l’insegnamento del Vangelo. Qui la messa alla prova della fede deriva da un senso di estraneità che il credente avverte nei confronti del mondo. Ha l’impressione di essere un po’ strano, come fuori dal mondo, dal momento che vive e testimonia un messaggio che è agli antipodi rispetto alla mentalità dominante.

Da questo punto di vista Mosè rappresenta il credente che ha il coraggio di confrontarsi con queste sfide e che, affidandosi interamente alla Parola di Dio, accetta di seguire fino in fondo le vie misteriose che il Signore gli indica.

Credo che tutto questo abbia qualcosa da dire alla nostra vita. Vi possiamo cogliere un invito verificare la nostra fede. In particolare, a chiederci se siamo disposti a confrontarci con queste sfide e ad affrontarle con la stessa disponibilità all’abbandono nelle mani del Signore di cui dà testimonianza Mosè.

 

Don Luigi Pedrini

Avvisi – 06 Settembre 2015

  • Martedì ricorre la Festa della natività della Beata Vergine Maria.
  • Martedì sera, prove di canto alle ore 21.00.
  • Venerdì la S. Messa sarà alla sera alle ore 20.45.
    Dopo la celebrazione farò l’incontro con i catechisti.
  • Sono disponibili sul tavolino i moduli di iscrizione al catechismo per i ragazzi di 1° elementare e di 2° elementare.
  • Ho dovuto cambiare il numero del mio cellulare: ora mi potete contattare al numero che è presente sull’avviso disponibile in chiesa, oltre al fisso che rimane quello che conoscete 0382 587113.
  • In questa settimana ho potuto dare un altro acconto di 1.000/00€ per le spese del sagrato. Abbiamo dato finora: 23.900/00€.
  • Sabato 26 settembre faremo il pellegrinaggio consueto al santuario di Caravaggio.
    La partenza è fissata per le ore 14.00. La spesa è di 15/00€. Occorre dare l’iscrizione entro domenica 20 settembre.
  • Il gruppo di persone che si prendono cura della pulizia della chiesa a partire da questa settimana si ritrova per questo servizio ogni giovedì alle 9.15. Se qualche altra persona vuole dare la sua disponibilità per questo è bene accetta.

06 Settembre 2015

Carissimi Parrocchiani,

la settimana scorsa ci siamo lasciati con una domanda aperta: come ha reagito Mosè nella drammatica situazione in cui è venuto a trovarsi? Sono illuminanti in proposito i vv. 13-14: Mosè rispose: “Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli” (Es 14,13-14). Sono parole che rivelano il coraggio di chi pone nel Signore la propria fiducia. Mosè è veramente un uomo di fede che sa incoraggiare gli altri ad avere fede.

Tuttavia, saremmo in errore se pensassimo a Mosè come l’uomo che vede davanti a sé tutto chiaro, senza nutrire al alcun dubbio o paura. È eloquente in proposito il versetto che segue dal quale apprendiamo che Mosè chiede aiuto a Dio gridando: “Perché gridi verso di me?”, gli dice il Signore. Dunque, Mosè agli altri chiede di stare tranquilli, ma egli non può fare a meno di gridare.

In questo modo scopriamo in lui questa compresenza apparentemente contraddittoria di luce e di ombra: da una parte, come di slancio, si rimette completamente a Dio nella fede; dall’altra è preso dall’angoscia, che gli incute paura e lo fa disperare.

Nel Nuovo Testamento ritroveremo un’esperienza del tutto simile nell’apostolo Pietro, quando di slancio fa il suo atto di fede nel Signore per cui esce dalla barca e gli va incontro camminando sulle acque; poi, però, si lascia prendere dalla paura e comincia ad affogare.

Fede e paura lottano nel cuore di Pietro così come nel cuore di Mosè. Entrambi devono constatare che la prontezza dello spirito deve poi fare i conti con la debolezza della carne.

Al grido di Mosè fa seguito immediatamente la risposta di Dio: “Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto”. L’ordine di Dio è perentorio e prospetta per gli Israeliti un’impossibile strada di salvezza. E qui assistiamo alla scena fondamentale che diventerà il cuore della fede di Israele: il passaggio del Mar Rosso.

Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare.

Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: “Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!”.

Il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri”. Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno.  Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra.

Possiamo notare che la messa in atto di questa uscita non avviene in modo concitato e rocambolesco, ma in modo solenne, dignitoso, ordinato. Questa uscita assomiglia ad una processione trionfale. Israele avanza senza difficoltà nella notte, quando per sé si è impediti a camminare. Eppure per Israele tutto si spiana, come a dire che quando si agisce con il Signore, abbandonati a lui, tutto si semplifica e si appiana. Quella che doveva essere una notte di paura si trasforma inaspettatamente in una notte di vittoria e di pace.

Don Luigi Pedrini

30 Agosto 2015

Carissimi Parrocchiani,

alla luce del racconto sapienziale offertoci dal card. Martini nel suo commento a questo episodio biblico abbiamo meglio il polso della situazione che è venuta a crearsi. È una situazione drammatica che vede il faraone alle spalle degli israeliti e ormai sta per raggiungerli; il popolo di Israele che è in preda ad una grande paura; i capi di Israele che protestano nei confronti di Mosè e che si ricredono sulla fiducia che gli hanno accordata.

In questa situazione come ha reagito Mosè? Nel racconto sapienziale che abbiamo ascoltato Mosè è un uomo silenzioso: ascolta quanto si va dicendo e per il momento non prende posizione.

Il card. Martini dando però un seguito al suo racconto sapienziale prova a immaginare le scelte concrete che Mosè avrebbe potuto fare. Ne ipotizza quattro.

Una prima scelta poteva essere quella di farsi in qualche modo da parte. Avrebbe potuto rivolgersi così agli israeliti: “Fratelli, ciò che avete detto è molto importante e degno di attenta considerazione. Tornate nelle vostre tende, datemi un’ora di tempo e, poi, ci ritroveremo”. Queste le parole che il card. Martini mete in bocca a Mosè. Ma poi aggiunge subito che la richiesta di un’ora di tempo era solo un pretesto per partire di nascosto e sparire dalla circolazione. Dunque, una prima strada percorribile era quella di uscire dalla scena. Un uscire che poteva risolversi nella fuga, ma anche – non è da escludere – nella decisione estrema del suicidio. Scrive, infatti, il card. Martini – con un po’ di sorpresa per noi – che per gli uomini politici “il suicidio è una tentazione non così rara come si penserebbe” (p. 70).

Un’altra scelta poteva essere quella di venire a patti con il faraone con le armi in pugno e andare incontro alla morte da eroi. È la scelta di giocare il tutto per tutto, anche se il futuro non lascia intravedere alcuna speranza.

Una terza scelta poteva essere quella di venire a patti con il faraone e trovare con lui una forma di compromesso. Mosè stesso, quale persona più rappresentativa degli israeliti, si sarebbe fatto carico di questa ambasceria presso il faraone.

Infine, rimaneva un’ultima scelta quale possibile via di risoluzione: era la strada della fede, ossia la scelta di rimettersi ancora una volta nelle mani di Dio e affidarsi alla sua iniziativa. È la scelta di guardare a Dio come il pastore che non abbandona mai il suo gregge, tanto meno quando deve attraversare una valle oscura. Si tratta di credere profondamente alla fedeltà di Dio che avendo iniziato un’opera la porta a compimento.

Erano queste le possibili scelte verso le quali – secondo il card. Martini – Mosè avrebbe potuto orientarsi. Di fatto come ha reagito? Qual è stata la sua scelta?

Stando al testo biblico possiamo dire che la risposta è stata nel segno del coraggio della fede, anche se non priva di angoscia interiore. Vedremo più precisamente tutto questo la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

16 Agosto 2015

Carissimi Parrocchiani,

accennavo l’ultima volta alla situazione drammatica in cui viene a trovarsi il popolo di Israele dopo essere uscito dall’Egitto. Ha l’impressione di essere finito in un vicolo cieco: il faraone è alle sua spalle che lo insegue con il suo esercito, davanti c’è il mar Rosso a sbarrare la strada. Tutto sembra perduto e il popolo invaso dalla paura grida al Signore la sua disperazione.

Il card. Martini, nel suo commento a questo episodio, per aiutare a renderci conto di come stavano le cose, ha costruito un racconto sapienziale. Lo chiama il “midrash della tenda”.

Scrive:

Immaginiamo la scena. La notte cala molto presto nel deserto; ora siamo all’inizio della notte. A qualche centinaio di metri si sente il va e vieni delle onde del mare, a sinistra si vede l’accampamento degli Ebrei.

Si accendono i primi fuochi; tutti sono affaccendati, gesticolano, raccolti in piccoli campanelli gli omini discutono; c’è qualcosa di grave nell’aria. Un momento di tragedia si sta avvicinando; qualcuno corre nel campo lontano, ritorna, porta notizie. L’eccitazione cresce.

Noi ci avviciniamo all’accampamento e chiediamo spiegazioni… Ci viene indicata una grande tenda al centro del campo: ci avviciniamo alla tenda e cerchiamo di vedere cosa sta avvenendo là dentro. C’è un uomo pallido, ansimante, senza parola; attorno a lui altri uomini con lunghe barbe e con i pugni tesi. Capiamo che quell’uomo deve essere Mosè e gli altri gli anziani di Israele. Cosa fa Mosè? È lì, sta zitto, sembra quasi paralizzato. E gli anziani d’Israele che fanno? Parlano, gridano, inveiscono, come fanno gli orientali quando si adirano. Cerchiamo di capire cosa dicono.

Uno dice: “Ecco, Mosè, dove ci hai portato! Ti abbiamo creduto, pensavamo che Dio ti avesse parlato; e, invece, siamo qui a morire come topi: o ci gettiamo in mare e moriamo annegati, o ci lasciamo uccidere dal faraone. Ecco deve siamo: è la fine per Israele!”.

Un altro si alza e dice: “Credevamo che tu, Mosè, fossi cambiato; ti conoscevamo imprudente e cocciuto, ma credevamo che il deserto ti avesse giovato. Invece, sei rimasto proprio uguale a quello che eri. E ci hai fatto di nuovo precipitare nel disastro”.

Un terzo: “ Fratelli ascoltatemi: noi abbiamo delle armi (infatti, dice il v. 16 del cap. 13: ‘Gli israeliti bene armati uscirono dal paese d’Egitto’); è vero che gli egiziani sono potentissimi, ma se andremo contro di loro, almeno chiuderemo la nostra storia gloriosamente. Moriamo da eroi e diamo lode a Jahvé cadendo con le armi in pugno!”.

Un quarto, più venerabile degli altri, dice: “Fratelli, ascoltatemi: ho molta esperienza della vita. Conosco bene Mosè e non ho avuto molta fiducia in lui nemmeno quando è tornato; capivo che era un visionario. Tuttavia ascoltatemi: il faraone, lo conosco, non è cattivo; inoltre, ha bisogno di noi, quindi non ha nessuna intenzione di sterminare il nostro popolo, ma anzi ha tutto l’interesse a reintegrarci nella nostra situazione. Siamo utili e non tentiamo Dio: la nostra posizione è insostenibile. Mandiamo quindi un’ambasceria al faraone; Mosè non si faccia proprio vedere; vadano invece alcuni dei nostri uomini saggi a dirgli: ‘Abbiamo peccato, riaccoglici, siamo pronti a tornare indietro: ci siamo fidati di quest’uomo che ci ha ingannati”. Poi, il tono di questo vecchio si fa più suadente, più forte: “Fratelli, ascoltatemi: il faraone significa la sicurezza, la pace, il pane per i nostri figli: non rigettate questa offerta, non siate pazzi”.

Un altro si alza e dice: “E se veramente Dio avesse parlato a Mosè? Cosa faremo: andremo contro Dio?”. Ma un altro lo contraddice: “No, non è possibile, Dio non può abbandonare il suo popolo. La nostra situazione è disperata: come può Dio volere la nostra disperazione?.

Don Luigi Pedrini

02 Agosto 2015

Carissimi Parrocchiani,

continuando il nostro cammino in compagnia di Mosè giungiamo all’episodio centrale dell’Esodo: il passaggio del Mar Rosso. La liturgia della veglia pasquale lo propone come il testo fondamentale della celebrazione della Pasqua.

A rigor di termini dobbiamo dire che propriamente il racconto della Pasqua si trova nel capitolo 12 del libro dell’Esodo dove si parla della cena pasquale consumata nelle case degli israeliti. Ma la tradizione cristiana ha allargato il significato del termine pasquale fino a comprendere il passaggio del Mar Rosso. Anzi, questo episodio si è imposto fino a diventare il centro di tutti gli eventi legati alla Pasqua ebraica.

La centralità di questo avvenimento è pure messa in risalto dalla menzione che ne fa il solenne inno dell’Exultet all’inizio della veglia pasquale quando proclama : Questa è la notte in cui i figli di Israele hanno attraversato il Mare Rosso a piedi asciutti.

Nel racconto di questo avvenimento possiamo distinguere tre parti: i vv. 5-10 che possiamo intitolare – facendo nostra la proposta del Card. Martini – “la notte della grande paura”; i vv 11-15 che riferiscono come Mosè ha reagito in questa notte; i vv. 16ss che raccontano il passaggio del Mar Rosso.

Nei vv. 5-10 è ben descritta la situazione drammatica che vivono gli Israeliti subito dopo l’uscita dall’Egitto: l’impressione è di trovarsi in un vicolo cieco. Alle loro spalle c’è il faraone che, pentitosi di aver loro permesso di lasciare l’Egitto, li sta inseguendo con il suo esercito; davanti hanno l’ostacolo insormontabile del Mar Rosso. In questa situazione in cui tutto sembra perduto sono presi dall’angoscia: ebbero grande paura e gridarono al Signore (Es 12,10).

Noi che leggiamo il racconto non possiamo non rimanere stupiti di quanto va accadendo: Dio che ha agito con mano forte contro l’Egitto, tanto da piegare anche il cuore indurito del faraone ora sembra aver abbandonato il suo popolo.

In realtà, leggendo attentamente la Scrittura, scopriamo che questo comportamento è un po’ una costante dell’agire di Dio. Pensiamo ad Abramo che dopo aver accolto l’invito del Signore a lasciare la propria terra, si mette in cammino, entra nella Terra di Canaan, incoraggiato dalla promessa di un futuro fecondo per lui e per tutta la sua famiglia e, tuttavia, è costretto a lasciarla molto presto, perché in quella terra c’è la carestia: proprio nella terra in cui Dio l’ha inviato e che dovrà diventare la ‘sua’ terra si fa la fame. Che stranezza!… Ma pensiamo anche a Maria che dopo aver dato la disponibilità a Dio che le sta chiedendo di diventare la madre del Messia, va incontro all’incomprensione di Giuseppe, al disagio di una nascita in totale povertà, alla prova di vedersi perseguitata e di dover fuggire in Egitto per salvare la vita del bambino. Davvero è strano l’agire di Dio.

Forse la spiegazione più plausibile al riguardo è questa: Dio volutamente priva chi si affida a lui di ogni sicurezza umana perché sia evidente che è grazia non solo la chiamata, ma anche il modo con cui essa viene realizzandosi. Tutto va a compimento, ma non anzitutto per le nostre forze, ma per la fedeltà di Dio verso di noi. Israele sta muovendo, per ora, solo i primi passi in questa direzione.

Don Luigi Pedrini

Avvisi – 26 Luglio 2015

  • Domenica 26 c.m., ore 15.30: Battesimo di Matteo Joan Stefan
  • Presso l’Oratorio sono aperte le iscrizioni di calcio nella Società Sportiva USD Atletica del Po per i ragazzi delle classi 2003-2010.
  • Domenica sera, alle ore 21.00, in oratorio, chi è interesato può chiedere informazioni ai dirigenti della Società sportiva.
  • Mercoledì mattina la santa Messa è anticipata alle ore 7.30.
  • A partire da mezzogiorno del 1 agosto e per tutta la giornata del 2 agosto si può beneficiare dell’indulgenza plenaria, l’indulgenza della Porziuncola o “Perdono di Assisi”. Le condizioni richieste sono.
  1. Visita nel tempo prescritto nella chiesa parrocchiale e recita del Padre nostro e del Credo secondo l’intenzione del Papa.
  2. Confessione sacramentale
  3. Comunione eucaristica

(sia la confessione che la comunione si possono ricevere anche nei giorni precedenti o seguenti nei quali si è fatta la visita in chiesa e la preghiera richiesta. Meglio ancora se la comunione si può ricevere lo stesso giorno in cui si visita la Chiesa.

  1. Disposizione d’animo che escluda ogni affetto al peccato anche veniale.

L’indulgenza può essere applicata a se stessi, oppure ai defunti in modo di suffragio.    

26 Luglio 2015

Carissimi Parrocchiani,

nella riflessione della scorsa settimana abbiamo abbozzato qualche risposta alle domande: “Chi è il faraone in noi? Chi è Mosè in noi?”.

Completiamo quelle osservazioni aggiungendo che il far crescere in noi Mosè e non il faraone è un’opera mai realizzata una volta per tutte. È piuttosto una meta verso la quale occorre incamminarsi con decisione e costanza.

San Gregorio di Nissa, nella sua opera La vita di Mosè, ha una bella riflessione sul tema del progresso spirituale. Scrive il santo che quando in gioco c’è la nostra crescita nelle virtù, la perfezione ha un solo limite: quello di non averne alcuno.

Per questa ragione – continua san Gregorio – san Paolo non si è mai considerato nel suo cammino di fede un uomo arrivato. Anzi, correndo nella via delle virtù, non ha cessato mai di “protendersi verso il futuro” (Fil 3,13). Egli reputava pericoloso nella vita spirituale smettere di correre e fermarsi. E ne dà anche la motivazione: come la fine della vita è inizio della morte, così smettere di correre nella via della virtù significa iniziare a correre in quella del vizio.

Dunque, la vita dell’uomo non è mai ferma e non raggiunge mai un punto stabile: è sempre in cammino. E il cammino può essere nella giusta direzione, cioè verso la crescita delle virtù; oppure, può essere nella direzione sbagliata, sulla strada che allontana da una vita virtuosa. Dobbiamo fare un grande sforzo per non perdere la perfezione acquisita e per conseguire la perfezione di cui siamo capaci. Non è forse l’attitudine a tendere a un bene sempre maggiore a costituire la perfezione della natura umana?

Come stimolo e aiuto a rimanere persone in cammino san Gregorio suggerisce di accogliere la Scrittura come propria parola e di valorizzare, in particolare, quei testi che presentano persone di fede che sono state esempi luminosi di virtù.

E volendo indicare una persona della Scrittura quale modello di fede particolarmente significativo, cioè quale esempio di virtù provata che possa svolgere per noi la funzione di faro, suggerisce proprio la figura di Mosè. Il suo esempio mostra chiaramente come sia possibile far approdare l’anima al porto tranquillo della virtù, in cui non sarà più esposta alle tempeste della vita e in cui non si rischierà più di naufragare negli abissi del peccato sotto gli urti delle ondate successive delle passioni.

Facendo nostra questa consegna di Mosè quale esempio di fede da imitare, ci disponiamo in sua compagnia a riprendere il cammino.

Don Luigi Pedrini