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26 Giugno 2016

Carissimi Parrocchiani,

ci mettiamo ora in ascolto di un episodio che costituisce un’ombra nel cammino luminoso di Mosè: si tratta dell’episodio di Massa e Meriba. Infatti, in quella circostanza Mosè ha conosciuto un momento di smarrimento nella fede. Ed è del tutto comprensibile se si considerano le fatiche apostoliche che ha incontrato: la vertigine per la sproporzione tra la sua persona e la missione affidatagli; la paura dovuta alle opposizioni sia da parte del faraone, sia da parte degli israeliti; la sofferta messa a prova della pazienza. Alla luce di tutto questo si comprende che Mosè abbia conosciuto anche momenti in cui ha vacillato nella fede.

L’episodio di Massa e Meriba è uno di questi. Come sono andate le cose? Il libro dei Numeri riferisce che gli Israeliti nel loro viaggio verso la Terra Promessa sono giunti in un luogo in cui mancava l’acqua. Nella situazione drammatica che si è creata, sull’orlo della disperazione, hanno protestato nei confronti di Mosè e di Aronne: “Perché avete condotto l’assemblea del Signore in questo deserto per far morire noi e il nostro bestiame? E perché ci avete fatto uscire dall’Egitto per condurci in questo luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non vigne, non melograni, e non c’è acqua da bere” (Nm 20,4-5).

Mosè ha reagito anche in questa situazione come era solito fare: ha cercato rifugio in Dio chiedendo che venisse in soccorso al suo popolo.

E questa è stata la risposta di Dio: “Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l’acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame” (Nm 20,8).

È utile a questo punto leggero per intero dal testo il seguito della vicenda: Mosè dunque prese il bastone che era davanti al Signore, come il Signore gli aveva ordinato. Mosè e Aronne radunarono l’assemblea davanti alla roccia e Mosè disse loro: “Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?”. Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e il bestiame. Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: “Poiché non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete quest’assemblea nella terra che io le do”. Queste sono le acque di Merìba, dove gli Israeliti litigarono con il Signore e dove egli si dimostrò santo in mezzo a loro (Nm 20,9-13).

Stando al testo, Dio rileva in Mosè e in Aronne una mancanza di fede e, per questa ragione, annuncia che non sarà loro concesso di introdurre gli israeliti nella Terra Promessa. L’accusa è diretta e perentoria; la sua motivazione, però, non viene esplicitamente indicata e viene lasciata a chi legge il testo.

Tradizionalmente per giustificare questo rimprovero di poca fede si è richiamato l’attenzione sul fatto che Mosè ha colpito per due volte la roccia con il bastone. Forse il non immediato esaudimento della sua richiesta d’acqua, lo ha portato a dubitare nel cuore e, quindi, a battere la roccia una seconda volta. In questa direzione il testo orienta a cercare la risposta.

Tuttavia, alcuni testi del Deuteronomio, ritornando su quanto è accaduto a Massa e a Meriba, indirizzano verso un’altra spiegazione. Di questo, però, parleremo la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

19 Giugno 2016

Carissimi Parrocchiani,

l’ultima volta ci siamo soffermati su alcune sofferenze conosciute da Mosè nell’accompagnare il suo popolo verso la terra promessa. Ora dobbiamo ricordarne ancora una: la messa a prova della pazienza. Ne danno testimonianza gli episodi nei quali si confronta con l’ostinazione del faraone, come pure quelli in cui si scontra con la fede povera degli israeliti portati più a cedere al lamento che non a rimettersi con fiducia nelle mani di Dio.

In questo orizzonte è significativo un episodio singolare: la sua particolarità deriva dal fatto che si colloca nella cornice dei rapporti familiari. Infatti, a un certo punto Mosè si vede contestato nella sua autorità da persone dalle quali non si sarebbe mai aspettato un’iniziativa del genere: la critica infatti viene sollevata dalla sorella Maria e dal fratello Aronne e fa leva sul fatto – a loro giudizio deprecabile – che egli era sposato con Zippora, una donna straniera.

Questa è la motivazione che viene addotta per giustificare la critica sollevata. Il testo, però, lascia intravedere sullo sfondo di questa presa di posizione una punta di gelosia nei confronti del fratello: Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della donna etiope che aveva sposata; infatti aveva sposato una Etiope. Dissero: “Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?”. Il Signore udì (Nm 12,1-2).

Il dolore di questa critica è reso ancora più acuto dal fatto che si tratta di persone care, persone che gli sono sempre state molto vicine: Maria è colei che lo ha salvato dalle acque del Nilo; Aronne è il suo braccio destro, è la sua voce.

Il testo, inoltre, lascia comprendere che alla radice di questa critica c’è una messa in questione dell’autorità del fratello e insieme la richiesta di affiancarsi a lui nell’esercizio dell’autorità. Essi non condividono il fatto che Mosè non debba rendere conto a nessuno di se stesso, possa fare scelte libere in rapporto ai costumi morali del suo popolo e, quindi, decidere di avere per moglie una donna straniera.

Dunque, Maria e Aronne ritengono che Mosè stia esagerando e che debba un po’ ridimensionarsi. Il suo ‘abuso di potere’ li fa sentire come messi da parte e questo li rende un po’ invidiosi e gelosi nei confronti del fratello.

Mosè viene così a trovarsi in una situazione imbarazzante: l’incrinarsi dei rapporti all’interno della sua famiglia rischia di trasformarsi in una contro-testimonianza nei confronti di quel popolo al quale egli è preposto come guida. È una situazione che oltre ad addolorarlo, lo umilia anche profondamente.

Come ha reagito Mosè? Il testo racconta che propria a causa di questa parola di critica Maria si ammala di lebbra e che Aronne si rivolge a Mosè perché interceda e ottenga da Dio la guarigione. Mosè, senza rimproverare nulla, accetta. Si fa carico della sorella nella preghiera; chiede a Dio il dono della guarigione, viene esaudito: di nuovo ritorna la pace in famiglia.

Questo episodio insieme agli altri rivela Mosè come un uomo paziente che non reagisce sull’onda del sentimento immediato, non fa ricorso a misure repressive e neppure reagisce criticando a sua volta. È invece un uomo che ha imparato a tacere, a lasciar fare al Signore, sopportando interiormente, con grande dignità, il dolore per il torto subito.

Don Luigi Pedrini

12 Giugno 2016

Carissimi Parrocchiani,

proseguiamo il racconto della vicenda di Mosè ponendo ora attenzione alla fatiche apostoliche che ha incontrato nella missione di guida del suo popolo. Queste fatiche configurano nel loro insieme un cammino di ‘passione’ che ha contribuito a forgiare progressivamente in Mosè l’animo del vero pastore secondo il cuore di Dio.

Una prima fatica è costituita da quei momenti di prova in cui Mosè ha fatto l’esperienza della paura. Si tratta di momenti in cui ha dovuto constatare la sproporzione tra la propria persona e la missione alta e delicata a cui era chiamato. Propriamente in quali frangenti Mosè ha conosciuto la paura?

Anzitutto, dobbiamo ricordare la paura che Mosè ha sperimentato fin dall’inizio al pensiero di doversi presentare al faraone, fare da intermediario per il suo popolo e chiedere di poter uscire dall’Egitto. Conoscendo la propria difficoltà nell’esprimersi Mosè fa presente a Dio il suo timore: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua (Es 4,10). Il timore che gli incute la missione percepita da lui come un peso troppo gravoso superiore alle sue forze lo spinge a chiedere a Dio di poter declinare tale responsabilità: “Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!” (Es. 4,13).

Una seconda causa generatrice di timore e paure sarà l’andamento degli eventi. Le cose anziché procedere in modo lineare andranno sempre più ingarbugliandosi. Mosè molto presto deve constatare che il cammino intrapreso non conoscerà affatto un crescendo di apertura e approvazione, né da parte del faraone, né da parte del suo popolo.

Da parte del faraone incontrerà infatti un atteggiamento di chiusura e di ostinato diniego: nel testo si annota come un ritornello l’indurimento del cuore da parte del faraone. Inoltre, questa indisponibilità a lasciar partire il popolo di Israele, si accompagna anche a iniziative di ritorsione nei suoi confronti, così che gli israeliti oltre a non vedere davanti a sé vie di uscita, assistono a un peggioramento della loro situazione.

Questa situazione di stallo diventa motivo di profonda amarezza anche per Mosè. Al riguardo è significativa questa supplica che rivolge a Dio: “Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo! (Es5,22-23).

            La sofferenza dovuta all’esito negativo della sua missione di intermediario presso il faraone viene ulteriormente aggravata dalla protesta degli israeliti che in alcuni momenti di esasperazione dichiarano di essere al limite della sopportazione e protestano severamente con Mosè. Sono forse questi i momenti più drammatici in cui la paura ha maggiormente il sopravvento nel suo cuore. Le parole di supplica con cui si rivolge a Dio rivelano il punto più basso a cui è giunto nel suo cammino di abbassamento e di servizio a favore del suo popolo. Allora Mosè invocò l’aiuto del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!” (Es 17,4).

 Don Luigi Pedrini

29 Maggio 2016

Carissimi Parrocchiani,

nei giorni scorsi abbiamo vissuto in preparazione alla Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo le giornate eucaristiche. L’esposizione dell’Eucaristia, la celebrazione della S. Messa, la Processione che abbiamo fatto per le vie del paese, sono state occasioni propizie sia per onorare l’Eucarestia, sia per renderci conto del grande dono che abbiamo ricevuto.

Preparando le omelie ho avuto modo di accostarmi ad alcune testimonianze significative proprio riguardo alla  devozione eucaristica. Tra queste voglio riportare qui alcune affermazioni di san Pio da Pietralcina (santo meglio popolarmente conosciuto come Padre Pio). Egli oltre ad essere stato un grande confessore capace di guidare le anime verso il Signore, è stato anche un profondo contemplativo del mistero eucaristico. Quanti hanno avuto modo di assistere alla sua celebrazione eucaristica rimanevano meravigliati per il profondo coinvolgimento interiore con cui celebrava al punto da arrivare a immedesimarsi in Cristo stesso e a rivivere in sé il mistero della suo sacrificio sulla croce.

Riporto qui alcune sue parole che lasciano vedere il suo amore per l’Eucaristia. In una lettera indirizzata a una sua figlia spirituale, scrive: L’Eucaristia è il massimo dei miracoli; è il segno ultimo e più grande dell’amore di Gesù per noi ed Egli tutto questo l’ha operato per darci una vita piena, abbondante, perfetta. Questo è ciò che ci va dando ogni giorno più ancora nella Comunione. Conserviamo perciò con maggiore gelosia il prezioso deposito della fede in questo sacramento, riconosciamo con senso di gratitudine sempre maggiore l’immenso beneficio della bontà di Dio, amiamo con maggiore trasporto questo Dio d’amore, compiamo con maggiore diligenza tutte le opere sante per piacere a questo Dio fatto uomo, per goderne il frutto qui in terra ed ottenerne più ricca la ricompensa nei cieli.

Alla richiesta che il Signore gli aveva fatto: “Figlio mio non credere che la mia agonia sia durata solo tre ore. No! A causa delle anime da me più amate, io sarò in agonia fino alla fine del mondo. Figlio mio durante la mia agonia, non dormire! La mia anima va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma purtroppo mi lasciano solo sotto il peso dell’indifferenza”, aveva prontamente risposto con la consegna della sua vita. Così, infatti, pregava: “Gesù mi offro come vittima per tutte le anime che ti offendono e non ti amano o non ti conoscono ancora. Ricorro alla carità ardente del tuo Cuore divino perché le salvi tutte; tutte, tutte. Cuore divino di Gesù, converti i peccatori, salva i moribondi, libera le anime del Purgatorio”.

Padre Pio ha vissuto fino in fondo questa offerta fatta al Signore. Si è fatto tutto a tutti, facendosi carico del peccato dei suoi penitenti ed espiandoli portandoli sull’altare. Ha sperimentato quanto fossero vere le parole che Gesù gli andava ripetendo: “Non temere, io ti farò soffrire, ma te ne darò anche la forza… Quante volte mi avresti abbandonato, o figlio mio, se non ti avessi crocifisso. Sotto la croce si impara ad amare e io non la do a tutti, ma solo alle anime che mi sono più care”.

Don Luigi Pedrini

22 Maggio 2016

Carissimi Parrocchiani,

 

avviandoci verso il tratto conclusivo del sentiero di Mosè prendiamo ora in considerazione una dimensione che segna profondamente il suo ministero di servizio: la sofferenza.

Mosè è il primo uomo di cui la Scrittura riferisce una sofferenza che possiamo chiamare ‘pastorale’: si tratta di quella passione che ha incontrato essendosi fatto vero pastore delle persone a Lui affidate.

Questo tipo di sofferenza fa soltanto ora la sua comparsa nella Scrittura per il fatto che prima non esisteva ancora un popolo di cui farsi carico e da accompagnare.

Ora, invece, esiste. Dopo essere uscito dall’Egitto, dopo aver fatto l’esperienza dell’iniziativa di grazia con cui Dio lo ha liberato dalla schiavitù e lo ha introdotto nell’alleanza, gli israeliti hanno preso coscienza della loro identità di popolo prescelto da Dio fra tutti i popoli e insieme ora avvertono anche il bisogno di una guida che li aiuti a proseguire sulla strada inattesa che si è aperta davanti a loro.

Mosè è colui che svolge questo servizio di guida: un servizio che richiede disponibilità al dialogo e conosce inevitabilmente anche tensioni, incomprensioni, resistenze e, talvolta, anche scontri aperti.

E qui nasce la sofferenza pastorale di colui che guida. Infatti, quando una persona non ha questa responsabilità nei confronti di una comunità, l’evolversi della sua esperienza di fede chiama in causa in modo prioritario e pressoché esclusivo il suo personale rapporto con il Signore. Quando, invece, una persona riveste un ruolo di guida verso una comunità, allora la sua esperienza di fede è fortemente segnata dalla risposta di fede delle persone a lei affidate. Se questa risposta è deludente e fallimentare ne patisce inevitabilmente anche colui che svolge un compito di servizio nei loro confronti.

In questo orizzonte si comprende il dramma interiore di Mosè: un dramma che i patriarchi che l’hanno preceduto non hanno conosciuto. Certo, Abramo ha conosciuto la sofferenza dovuta al farsi carico del nipote Lot, come pure del prendersi a cuore della sorte rovinosa di Sodoma e Gomorra per le quali si è fatto intermediario presso Dio mediante la preghiera di intercessione. Ugualmente, Giacobbe ha vissuto la sofferenza del farsi carico dei suoi figli con i loro pregi e i loro difetti. E anche Giuseppe ha conosciuto la sofferenza nel prendersi a cuore la vita dei suoi fratelli e nel condurli pazientemente verso la riconciliazione.

È Mosè, tuttavia, che conosce per primo la sofferenza pastorale propria di colui che ha fatto della presa a cuore del destino di un intero popolo il senso del proprio vivere.

La sofferenza pastorale di Mosè ha un valore profetico: anticipa quella che si ritrova più avanti nella figura misteriosa del servo di Jahwé e che, poi, apparirà in modo sublime e commovente nella passione di Gesù.

 

Don Luigi Pedrini

15 Maggio 2016

Vieni, o Spirito Santo,
penetra nella profondità della nostra vita,
là dove sono accumulati i ricordi,
quelli buoni e quelli cattivi,
quelli conservati e quelli che sembrano perduti.

Vieni, o Spirito Santo,
a purificarci nella memoria
a conferirci pienezza e santità.
Senza di te, o divino Spirito,
Dio appare lontano,
Cristo rimane nel passato.

La Chiesa è una semplice organizzazione,
il Vangelo una lettera morta,
la missione una propaganda,
la liturgia un’archeologia.

Sei tu, o Spirito di verità e di amore,
che nobiliti la creazione,
rendi presente il Padre,
metti in mezzo a noi Gesù risorto,
fai della Chiesa una comunione
del Vangelo una realtà viva
e della liturgia un efficace memoriale.

 (C.M. Martini, Omelia di Pentecoste 1996)

 

BUONA FESTA DI PENTECOSTE A TUTTI!

 

 

8 Maggio 2016

Prima Comunione 1 maggio 2016
Prima Comunione 1 maggio 2016

Carissimi Parrocchiani,

domani la nostra Comunità Parrocchiale è particolarmente in festa perché sei ragazzi e sei ragazze riceveranno l’Eucaristia per la prima volta. È la loro Prima Comunione. Vogliamo essere loro vicini specialmente con la preghiera in questo momento di grande emozione e attesa. L’augurio per il quale preghiamo è che il loro cuore si apra sempre al Signore che bussa per abitare in noi e per accompagnarci nel cammino della vita.

Questi i loro nomi:

1. C. Nicolò
2. C. Isabel
3. C. Loredana
4. F. Matteo
5. F. Diego
6. F. Michele
7. L. Edoardo
8. M. Monica
9. M. Arianna
10. S. Sara
11. Stefani K. de lo S.
12. T. Nicolò Christian

Carissimi Parrocchiani,

sabato 14 c.m. per la nostra Comunità Parrocchiale è nuovamente in festa perché quattro ragazzi e cinque ragazze riceveranno il sacramento della Confermazione per mano di Sua Ecc.za il Vescovo Mons. Giovanni Giudici, vescovo emerito della nostra Diocesi.

Vogliamo essere loro vicini specialmente con la preghiera in questo momento chiedendo al Signore che il dono dello suo Spirito dia loro coraggio e convinzione nel camminare sulla via di Gesù nella certezza di poter sempre contare sulla sua presenza buona e fedele.

Questi i loro nomi:
1. C. Samuele
2. F. Andrea
3. F. Giulia
4. F. Benedetta
5. G. Francesco
6. G. Martina
7. M. Francesca
8. M. Marianna
9. Z. Luca

01 Maggio 2016

Carissimi Parrocchiani,

la nostra Comunità Parrocchiale è particolarmente in festa perché sei ragazzi e sei ragazze riceveranno l’Eucaristia per la prima volta. È la loro Prima Comunione.

Vogliamo essere loro vicini specialmente con la preghiera in questo momento di grande emozione e attesa. L’augurio per il quale preghiamo è che il loro cuore si apra sempre al Signore che bussa per abitare in noi e per accompagnarci nel cammino della vita.

Questi i loro nomi:

C. Nicolò
C. Isabel
C. Loredana
F. Matteo
F. Diego
F. Michele
L. Edoardo
M. Monica
M. Arianna
S. Sara
Stefani K. de lo S.
T. Nicolò Christian

Avvisi – 01 Maggio 2016

  • Domenica 1 maggio, ore 11,00: Prima Comunione di 12 ragazzi/e. Alla sera, ore 20.45: Rosario nel cortile della Casa Parrocchiale (in caso di brutto tempo si farà in chiesa).
  • Iniziamo il mese di Maggio con gli appuntamenti di preghiera alla sera secondo il programma stabilito. Ricordo fin d’ora due appuntamenti particolarmente significativi:
    giovedì 12 il pellegrinaggio vicariale alla Certosa;
    lunedì 23 il giubileo Vicariale in Duomo con la preghiera insieme al nostro Vescovo: per questo ci sarà un pulmann disponibile perché tutti quanti desiderano possano partecipare.
  • Mercoledì 4 maggio, ore 21.00: prove di canto.
  • Sabato 7 maggio, ore 18.30: Catechismo per le Medie e per gli adolescenti.
  • Domenica 8 maggio, ore 10.00: Incontro con gli adolescenti.
  • Ho concluso, in paese, la benedizione delle case. Completerò con la benedizione delle fabbriche e delle ultime case rimaste.

*** Domenica prossima la S. Messa a Motta san Damiano è anticipata alle ore 9.15.