Cari fratelli,
la prima lettura ci presenta la prova estrema di fede richiesta ad Abramo: il sacrificio dell’unico figlio, speranza della sua discendenza.
Quel terribile viaggio di tre giorni, verso il luogo dell’olocausto, è la salita al Calvario di Abramo.
L’agonia di Abramo, l’agonia di Isacco, l’agonia di Cristo, l’agonia di ogni credente costituiscono l’esperienza prima e più comune di ogni credente.
La crisi della Passione, la solitudine degli uomini e lo scandalo della croce sono dati costanti della nostra vita di fede.
Il poeta francese C. Péguy scriveva: “è lo sperare la cosa difficile; facile invece è disperare ed è la grande tentazione”.
Il cammino di fede comprende il silenzio, la solitudine davanti a Dio e la prova per raggiungere la luce.
Al termine però brilla la Pasqua-Trasfigurazione.
Gesù sulla croce urla la sua disperazione con le parole del salmo 22, preghiera certamente di desolazione, ma che sbocca in un finale di gioia e di pace.
Il grano affidato alla terra muore ma dà frutto nella spiga.
La Pasqua nasce dal terreno della passione, ma è riscatto della stessa passione e morte.
Bisogna perciò partecipare all’umanità di Cristo per condividerne la gloria.
Francesco d’Assisi nella sua agonia, secondo quanto narra il suo biografo S. Bonaventura, volle che lo si ponesse sulla nuda terra per unirsi in modo più perfetto al creato e per imitare da vicino Cristo crocifisso, povero, sofferente e nudo.
Ma questo distacco da sé e dalle cose genera lo splendore della promessa di Abramo e la luce della Trasfigurazione pasquale.
Ricordo l’appuntamento del venerdì alle 20.30 con la Via Crucis.
Don Emilio