Cari fratelli,
il tema della correzione fraterna ricorre spesso nella tradizione cristiana, al punto da diventare uno dei cardini della vita monastica.
Ma sappiamo anche che il suo esercizio diventa un’arte e suppone umiltà reciproca, amore autentico, delicatezza e sensibilità interiore.
A nessuno infatti, a motivo del nostro orgoglio, piace essere ripreso.
Così come è presentato da Ezechiele e Matteo quest’impegno è in pratica il dialogo pastorale all’interno della comunità fedele, perché essa sia aiutata ad essere sempre più coerente col messaggio evangelico.
L’azione di reciproca correzione non è solo personale ma anche ecclesiale ed è sigillata dall’autorità stessa di Dio.
Ma proprio perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva, è ovvio che questa azione pastorale dev’essere condotta senza ipocrisie, pettegolezzi, maldicenze, orgoglio e prevaricazioni di potere.
Il male è un seme sempre presente nell’uomo, anche se è credente.
La Chiesa lo può sciogliere nel perdono sacramentale; ma altre volte deve registrare il dramma del rifiuto, della durezza e dell’insuccesso nell’azione di conversione.
Questo realismo cristiano non è certamente indice di fariseismo, perché il suo stesso Signore ha scelto di essere amico di pubblicani e di peccatori, che in ultima analisi si rivelano più sinceri ed amici di coloro che si ritengono perfetti.
Tuttavia la Chiesa deve essere attenta a non stemperare la sua carica di bene, di giustizia e di amore nel compromesso e nella superficialità.
La stella polare che fa camminare la comunità cristiana sulla via retta è quella dell’amore autentico, come ammonisce Paolo nella sua brevissima riflessione sul decalogo.
Infine alla dimensione orizzontale, il vangelo di oggi associa anche quella verticale.
La presenza di Dio si attua là dove c’è anche una presenza di fraternità.
Don Emilio