15 SETTEMBRE 2019

Cari fratelli,

il ritornello del Salmo responsoriale della domenica (“donaci, o Padre, la gioia del perdono”) esprime il senso profondo della liturgia di oggi.

È necessario ricuperare il valore del sacramento della riconciliazione, celebrandolo come sacramento di amore e di gioia e non come atto faticoso di vergogna e timore.

Nel romanzo Non sparate ai narcisi di L. Santucci c’è un suggestivo apologo: “La paura picchiò alla porta. La fede andò ad aprire: non c’era nessuno!”.

L’amore cancella la paura.

L’amore di Dio non s’arresta di fronte ad alcun delitto.

Pregava don Primo Mazzolari: “La mia vita si svolge tra questi due momenti, come tra due poli opposti: la mia povertà e la tua sovrabbondante misericordia. Donde il mio sospiro ed il mio grido: vieni Signore; non tardare”.

La gioia della salvezza nostra e altrui deve permeare tutto il cammino della nostra esperienza cristiana.

Bisogna lottare contro le gelosie, le grettezze, il compiacimento lamentoso.

S. Teresa d’Avila ripeteva spesso: “Liberaci, Signore, dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste”.

Il cristianesimo è la religione della gioia, come ben sapeva S. Filippo Neri, perché l’identità cristiana ha una forte connotazione pasquale e festiva.

La conversione del fratello è l’attesa primaria di Dio e della Chiesa.

È necessario, perciò, muoverci verso il mondo come Gesù che sedeva con pubblicani (esattori delle tasse) e peccatori per annunziare il Regno di Dio.

Bisogna vincere il complesso di superiorità del fratello maggiore della parabola del figliol prodigo, superando il nostro orgoglio, per scorgere nel fratello che ci sta accanto un frammento della sapienza di Dio, che opera in tutto e in tutti e che su tutti effonde la pienezza del suo Spirito.

Solo così potremo cambiare il mondo, rendendolo conforme ai desideri ed alle aspettative del Creatore.

Don Emilio