Cari fratelli,
la liturgia di questa domenica è un canto all’universalismo della salvezza, all’infinità dell’amore di Dio, alla misteriosa ricchezza nascosta nel cuore di ogni uomo giusto.
La Bibbia si sforza di spalancare gli orizzonti, di invitare al dialogo, di stimolare il rispetto reciproco, di favorire la comunione.
La vera appartenenza alla comunità di Dio si sancisce sulla base di una adesione etica ed esistenziale.
I confini della Chiesa passano innanzitutto attraverso i cuori e le coscienze.
Dobbiamo temere la replica terribile di Cristo: “anche se avete continuato a insegnare nel mio nome e a celebrare riti in mia memoria, se il vostro cuore e la vostra vita erano lontani da me, voi restate per me stranieri”.
La lettera agli ebrei, nel passo oggi letto, ci invita alla perseveranza di fronte alla prova.
Il Signore corregge colui che egli ama.
La prova, anziché segno di reiezione, può essere per il fedele segno di elezione.
Essa diventa la lezione necessaria che attesta la nostra filiazione nei confronti di un Padre che ci ama, anche secondo criteri che possono sembrare assurdi e che ci rendono muti davanti al dolore innocente.
Anche il Figlio per eccellenza, Gesù, è divenuto causa di salvezza passando attraverso l’oscurità della croce.
I martiri hanno saputo affrontare terribili supplizi, nella consapevolezza che Dio “ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione” (2Cor 1,3).
Direi dunque che dalle letture di oggi possiamo dedurre tre messaggi: ottimismo quindi nei confronti degli uomini (a questo ci induce l’universalismo), ottimismo nei confronti di Dio e della vita (da cui traiamo l’impegno etico) e ottimismo nei confronti della storia.
Con queste tre fiducie riusciamo a rinfrancare le mani cadenti e le ginocchia vacillanti, per attendere così il frutto di pace e di giustizia che il Signore ci ha promesso.
Don Emilio