Carissimi Parrocchiani,
a completamento di quanto già detto sulle esperienze di amicizie di Gesù resta ora da considerare la sua amicizia con l’apostolo Giovanni, l’autore del quarto Vangelo, il Vangelo che più di ogni altro parla dell’amore di Dio verso di noi.
Giovanni parlando della sua amicizia con il Signore lo fa con molta discrezione: parla di sé in terza persona autodesignandosi con il titolo di “discepolo che Gesù amava”.
Cinque sono i testi in cui nel quarto Vangelo c’è un rimando diretto a questa amicizia. Il primo testo – Gv 13,27-29 – riferisce il gesto confidenziale con cui Giovanni, durante l’Ultima Cena dopo che Gesù ha svelato ai Dodici che fra loro c’era uno che stava tramando contro di lui per consegnarlo ai suoi nemici, sollecitato da Pietro, si china sul petto di Gesù per domandargli chi è colui che sta per tradirlo. C’è dunque questo gesto confidenziale che rivela un rapporto di particolare familiarità che Giovanni ha con il Maestro.
Nel secondo testo – Gv 19,25-27 – si riferiscono le parole che Gesù ha rivolto stando in croce, poco prima di morire, a Maria e a Giovanni che gli erano vicini. Disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. 27Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. La consegna di Maria a Giovanni – consegna che lo riveste di un’importante responsabilità in quanto Giovanni rappresenta in quel momento tutta la Chiesa chiamata ad accogliere Maria come Madre – mette in luce un altro aspetto che contrassegna la vera amicizia. Ricorda che essa non si chiude nella sfera del privato, ma viene assunta e messa a servizio del disegno di Dio così da diventare responsabilità e dono per tutti.
I testi di Gv 20,2-4 e 21,7 rivelano un’altra peculiarità propria dell’amicizia autentica: l’affinità spirituale che essa genera favorisce la reciproca conoscenza ed è in grado di illuminare anche i tratti di buio che si possono incontrare.
Nel primo testo si riferisce, infatti, che Giovanni e Pietro vanno insieme alla tomba di Gesù per verificare di persona se sia veramente aperta e se è scomparso il corpo del Signore. Entrambi entrano nella grotta del sepolcro e vedono che il cadavere di Gesù non c’è più, le bende sono posate sulla roccia, mentre il sudario sta piegato in un luogo a parte. Quantunque la scena che sta davanti ai loro occhi sia la stessa, diversa è tuttavia la reazione: solo del discepolo che Gesù amava si dice che “vide e credette” per dire che a lui sono bastati quei segni per rendersi conto di ciò che era accaduto.
In questa stessa linea si pone anche l’altro testo. Riferisce che Gesù dopo la sua apparizione appare agli apostoli sulla riva del lago di Galilea. Tutti vedono quell’uomo che li esorta a gettare nuovamente le reti per la pesca, ma solo Giovanni, dopo l’esito favorevole della pesca fatta, riconosce che è Gesù e dice a tutti: “È il Signore”.
I due testi concordano nel dire che l’amicizia autentica favorisce una conoscenza della persona a cui si vuole bene che va al di là dei ragionamenti umani. Sant’Agostino proprio in considerazione di questo scriverà: Ubi amor, ibi oculus volendo dire che l’amore illumina gli occhi e permette loro di vedere ciò che la mente da sola non è in grado di vedere.
Occorre a questo punto ricordare un ultimo testo e precisamente Gv 21,20-2, ma completeremo la prossima volta.
Don Luigi Pedrini