Carissimi Parrocchiani,
ritorniamo a guardare al nostro cammino di fede aiutati dal commento di san Gregorio di Nissa nella sua opera La vita di Mosè. Il santo ha già chiarito i requisiti per intraprendere il cammino verso l’Alto, ci ha anche avvertiti riguardo alle difficoltà che incontreremo all’inizio. Che cosa accade una volta che ci siamo messi in viaggio e ci siamo ormai inoltrati nel deserto?
Capiterà anche a noi come a suo tempo agli israeliti – risponde san Gregorio di Nissa – di giungere assetati a una sorgente che ha l’acqua imbevibile perché amara e di poterla bere soltanto dopo che Mosè vi avrà gettato il suo bastone rendendola così dolce e potabile. Che cosa significa tutto questo sul piano spirituale? Il santo risponde che per colui che ha appena abbandonato i piaceri dell’Egitto il cammino del deserto risulta all’inizio duro e disgustoso. È facile che insorgano in lui nostalgie, ripensamenti, desideri di ritorno al passato. E, tuttavia,
se egli getta il legno nelle acque amare, se cioè si dà a considerare il mistero della Risurrezione che prende inizio dal legno (mi riferisco evidentemente al mistero della croce) allora la vita virtuosa gli diventa più dolce e più saporosa di qualsiasi dolcezza grata al gusto, perché si fonda sulla speranza dei beni futuri.
Cammin facendo accadrà, poi, di giungere alle dodici fonti di acqua pura e dolce e alle settanta palme grandi e alte: anche noi come gli Israeliti potremo sotto la loro ombra ripararci dal sole e ristorare la nostra sete. Questa oasi di quiete rappresenta la Parola di Dio che dà conforto e forza: essa giunge a noi grazie alle “dodici sorgenti” che “indicano gli apostoli”, mentre “le settanta palme rappresentano gli apostoli mandati in tutto il mondo, in numero appunto di settanta”.
Continuando il cammino saremo anche testimoni del continuo ripetersi di due miracoli con quali il Signore provvederà alla nostra sete e alla nostra fame.
In primo luogo, ci sarà concesso di vedere la pietra spaccarsi in due per lasciar scaturire una copiosa sorgente d’acqua. Questa roccia che tutti disseta rappresenta Cristo.
Cristo è la roccia (1 Cor 10,4): pietra dura e resistente per gli increduli, ma che diviene acqua buona per l’assetato che si avvicini con la verga della fede. Cristo penetra nell’intimo di chi lo accoglie, poiché è lui stesso che afferma: “Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora in Lui” (Gv 14,23).
In secondo luogo, saremo nutriti di un pane che scende dal cielo sotto forma di manna per resistere agli spasimi della fame. Anche in questo pane dobbiamo vedere una rappresentazione di Cristo: Egli infatti è “il vero cibo”; “il pane celeste che è disceso tra noi in una sostanza corporale”.
Don Luigi Pedrini