Carissimi Parrocchiani,
dopo aver aperto un confronto tra Mosè e Gesù riguardo alla loro morte continuiamo il confronto considerando la loro rispettiva risurrezione.
La cosa può sorprendere: se appare giustificato parlare di risurrezione per Gesù, non lo è altrettanto per Mosè. Ci viene, però, in aiuto il commento La vita di Mosè di san Gregorio di Nissa nel quale si legge che la morte di Mosè andrebbe interpretata come una “morte vivente”. Scrive il santo:
Che cosa dice la storia? Che Mosè, servo di Dio, morì per ordine di Jahwé, che nessuno conobbe la tomba e che i suoi occhi non si velarono, né il suo volto fu corrotto.
Noi impariamo di là che, essendo passato per tante fatiche, fu giudicato degno di essere chiamato col nome sublime di ‘servo di Dio’; ciò che equivale a dire che è stato superiore a tutto. Nessuno infatti saprebbe servire Dio senza essersi elevato al di sopra di tutte le cose del mondo. E quello è anche per lui il termine della vita virtuosa. Il fine raggiunto della vita virtuosa, operato dalla Parola di Dio, quello che la storia chiama morte, in realtà è una morte vivente, a cui non segue il seppellimento, sulla quale non si eleva una tomba e che non porta la cecità sugli occhi né la decomposizione sul viso.
Con queste parole san Gregorio di Nissa dice una cosa paradossale: Mosè muore, ma, essendo servo di Dio, muore in modo da far capire che in realtà vive ancora. Cioè, in sostanza si afferma che chi è servo di Dio muore, ma dalla sua morte scaturisce una nuova vita.
La paradossalità di questa affermazione è ancora più evidente se teniamo presente la messa in ombra a cui Mosè è andato incontro nella storia successiva di Israele. Come faceva notare il card. Martini, sono talmente rari e poveri i riferimenti a lui nei testi successivi dell’Antico Testamento che si può parlare di una sorta di scomparsa della sua figura nella memoria di Israele.
Tuttavia – è ancora il Card. Martini a farlo notare – per altri aspetti, Mosè rimane presente più che mai nella vita di Israele, in quanto la sua memoria è assicurata dalla permanenza dei suoi libri: la Legge, il Pentateuco. Questi libri sono fondamentali ancora oggi: lo sono per gli ebrei (in ogni sinagoga, nell’armadio in fondo, dietro il velo, ci sono solo i libri di Mosè che costituiscono per loro le Scritture); rimangono fondamentali anche per noi cristiani. Da questo punto di vista si può parlare di una permanenza oggettiva di Mosè: la sua morte è pure l’avvio di una sorta di risurrezione o di una “morte vivente”, per usare l’espressione originale di san Gregorio di Nissa.
Ora quello che è avvenuto in Mosè è avvenuto in maniera ancora più straordinaria e compiuta in Gesù. Non solo perché la sua memoria rimane viva in mezzo a noi attraverso la Scrittura e la testimonianza viva della Chiesa, ma anche e soprattutto perché Gesù è veramente il Risorto, il Vivente, Colui che è stato veramente nella morte e che veramente è ritornato in vita, ad una vita che ha vinto definitivamente la morte: Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto, / ma ora, vivo, trionfa (dalla Sequenza pasquale).
Pertanto quello che in Mosè, il giusto servo, è stato soltanto un lampo, un bagliore di luce, in Gesù è diventato realtà: con lui le tenebre hanno ceduto alla luce del giorno senza tramonto.
Don Luigi Pedrini