Carissimi Parrocchiani,
ci avviamo a concludere queste considerazioni sulle sofferenze apostoliche di Mosè mettendole a confronto con quelle di Gesù e coglierne le somiglianze e insieme le differenze.
Anche Gesù ha vissuto come Mosè l’esperienza della paura. È accaduto durante la sua passione, nell’Orto degli ulivi: nelle parole che pronuncia nella sua preghiera dichiara di avere nel cuore una grande tristezza. L’evangelista, da parte sua, annota che Gesù pregava in preda all’angoscia. Questo primo rilievo viene a ricordarci che nel servizio al Vangelo nessuno di noi è al riparo da situazioni dolorose che possono anche incutere paura.
Mosè è stato provato, poi, nella pazienza. Troviamo questa prova anche nella vita di Gesù. Al riguardo Egli ci ha lasciato, specialmente nella sua Passione, un esempio mirabile di sopportazione paziente e discreta. Ce lo descrive bene san Pietro nella sua Prima Lettera quando scrive:
Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti (1 Pt 2,21-25).
Infine, anche Gesù è stato tentato come Mosè sul piano della fede. Nel suo ministero si è presentata non di rado la tentazione di Massa e Meriba, cioè la prova del dover affrontare situazioni che si presentavano umanamente senza via d’uscita. Pensiamo a situazioni limite in cui si è trovato e che sembravano irrimediabilmente compromesse come ad esempio la situazione di disagio che si è creata durante le nozze di Cana a motivo del venir meno del vino; così pure alla preoccupante penuria di cibo in cui viene a trovarsi la folla nel deserto e che fa da preludio alla prodigiosa moltiplicazione dei pani; pensiamo, inoltre, all’opposizione degli abitanti di Nazaret che vorrebbero mettere le mani su di lui e farlo morire oppure al grande senso di abbandono e di solitudine che Gesù ha sperimentato nei giorni che precedono la sua passione e morte.
In tutte queste situazioni noi non troviamo mai in Gesù un benché minimo tentennamento nella fede. A differenza di Mosè che nell’episodio di Massa e Meriba non è riuscito, come in altre occasioni a giocarsi interamente e a rimettersi pienamente nelle mani di Dio, Gesù dimostra prontezza sia nel consegnare se stesso “Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10.45), sia nell’affidarsi totalmente nelle mani del Padre: “Padre non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42).
Don Luigi Pedrini