24 Gennaio 2016

Carissimi Parrocchiani,

concludiamo la nostra riflessione sulle diverse modalità con cui Mosè ha espresso la sua missione verso gli israeliti con questa significativa riflessione di san Gregorio di Nissa.

Il Santo riflette sul fatto che Mosè, a motivo dei tanti servizi svolti ha meritato di essere chiamato “servo di Dio”. Si tratta di un appellativo “sublime” – osserva il santo –, da considerarsi come il coronamento di una vita interamente vissuta nell’obbedienza alla volontà di Dio.

Per spiegare meglio questa affermazione, egli offre una mirabile sintesi delle tappe più significative che segnano il ‘sentiero’ di Mosè per concludere che la meta vera, quella più desiderabile, era proprio quella di potersi fregiare del titolo di ‘servo’.

Le tappe che con un linguaggio puntuale, efficace e non privo di poesia ricorda sono le battaglie affrontate nelle quali ha riportato vittoria sui nemici; l’attraversamento del Mar Rosso e il cammino nel deserto con i miracoli della manna e dell’acqua fatta scaturire dalla roccia; l’esperienza di incontro con Dio sul monte Sinai nella quale ha ricevuto il dono dei comandamenti; la presa di distanza dal male e da ogni idolo attraverso un cammino di purificazione fatto in prima persona e nel quale è riuscito a coinvolgere anche gli israeliti così da restituire loro dignità e libertà.

Attraverso queste tappe Mosè ha conseguito il fine più ambito di meritarsi il titolo di “ servo di Dio”. Questo è infatti il punto di arrivo della vita spirituale. Ma ascoltiamo ora direttamente le parole di san Gregorio di Nissa:

 Apprendiamo così che, dopo essere passato per tanti successi, allora è ritenuto degno di questo appellativo sublime, in modo da esser chiamato servo di Dio, che equivale a dire che egli fu superiore a tutto […].
Che cosa ci insegnano queste parole? A guardare a un solo fine durante questa vita: essere chiamati servo di Dio grazie alla nostra condotta di vita. Quando avrai vinto tutti i nemici, l’egiziano l’amalecita l’idumeo il madianita, avrai traversato il mare, sarai stato illuminato dalla nube e addolcito dal legno, avrai bevuto dalla roccia e gustato il cibo celeste; quando con purezza e santità ti sarai aperto la strada per salire al monte e, giunto là, avrai appreso il mistero divino dalla voce della tromba e, nella tenebra che impediva di vedere, ti sarai avvicinato a Dio con la fede, e lì avrai conosciuto i misteri della tenda e la dignità del sacerdozio; quando avrai intagliato il tuo cuore, così da imprimervi le parole divine, quando avrai distrutto l’idolo d’oro, cioè avrai cancellato dalla vita la brama di possedere, quando ti sarai innalzato tanto da apparire invincibile alla magia di Balaam ( a udire magia, intendi il vario inganno di questa vita, il quale gli uomini, come incantati da una coppa di Circe, si estraniano dalla propria natura e assumono l’aspetto degli animali irragionevoli); quando sarai passato attraverso tutte queste esperienze …; quando tu avrai ridotto al niente tutto ciò che si eleva contro la tua dignità come Datan, consumandolo col fuoco come Core; allora tu ti avvicinerai al termine, e io intendo con questa parole ‘termine’ ciò in vista di cui tutto avviene: così, il termine della coltivazione dei campi è gustarne i frutti; il termine della costruzione di una casa è abitarvi; il termine del commercio è arricchirsi; infine, il termine della fatiche dello stadio è essere coronati: così, il termine della vita spirituale è essere chiamati servi di Dio (La vita di Mosé, nn. 314-317).

 

Don Luigi Pedrini