Carissimi Parrocchiani,
nel foglio della scorsa settimana ho richiamato l’attenzione su due singolari somiglianze tra la vita di Mosè e quella di Gesù. Continuo in questo solco ricordando altri due tratti che essi hanno in comune.
In primo luogo, il fatto che la missione di Mosè è preceduta da un lungo periodo di silenzio e di nascondimento. Riguardo agli anni che la precedono sappiamo pochissimo: siamo informati soltanto della sua iniziativa di presentarsi, a un certo punto, sulla scena pubblica nella veste di difensore del suo popolo. C’è, dunque, questa uscita ‘ufficiale’ che, quantunque fallimentare, è rivelativa dell’orientamento di vita che Mosè coltivava nel suo cuore. È, però, solo una breve parentesi, perché subito dopo Mosè ritorna nell’ombra: quando la chiamata di Dio lo raggiunge sul monte Sinai sono trascorsi ben quarant’anni dalla sua fuga dall’Egitto.
Anche in Gesù troviamo qualcosa di simile. La sua missione comincia all’età di trent’anni: prima c’è il lungo silenzio degli anni trascorsi a Nazaret. Anche nella sua vita, come in quella di Mosè, c’è stata una breve interruzione, un momento in cui è uscita dall’ombra: si tratta dell’episodio accaduto all’età di dodici anni, quando, durante il pellegrinaggio a Gerusalemme, si intrattiene all’insaputa di tutti. I suoi genitori credendolo smarrito, si mettono in affannosa ricerca e lo ritrovano dopo tre giorni seduto nel tempio mentre ascolta e interroga i dottori della legge. Alla loro richiesta di spiegazione di quel comportamento, Gesù dà una risposta inequivocabile riguardo a quello che sarà il suo orientamento di vita: egli dovrà “essere nella casa del Padre suo” (Lc ), cioè vivere interamente la sua vita in obbedienza alla volontà del Padre.
Ecco, allora un terzo parallelismo: sia la missione di Mosè, sia la missione di Gesù nascono dal silenzio, come a dire che Dio non ha bisogno anzitutto delle nostre doti, della nostra buona volontà, di ciò che umanamente fa notizia per realizzare i suoi disegni: Egli ama servirsi della nostra povertà e umiltà.
Infine, possiamo ricordare un quarto parallelismo che mette in luce la somiglianza, ma anche la diversità e l’eccellenza di Gesù rispetto a Mosè. Il tratto in comune è costituito dal rifiuto che, in certa misura, entrambi hanno incontrato da parte del loro popolo. Mosè viene rifiutato dai suoi e intraprende la via del deserto; Gesù viene pure rifiutato dai suoi e intraprende la via della croce. La differenza, invece, sta nella motivazione che ha determinato il rifiuto. Mosè è rifiutato per il ricorso alla violenza che lo fa percepire come uno che vuole imporre la sua autorità; Gesù, all’opposto è rifiutato perché non ricorre alla violenza, è troppo debole: il popolo di Israele non ha riconosciuto in lui il ‘nuovo Mosè’ che, secondo le aspettative, doveva essere un liberatore politico.
In realtà, Gesù sarà davvero il ‘condottiero’ e il ‘liberatore’, ma non salverà il suo popolo dall’oppressione politica del potente di turno servendosi della forza, ma dalla schiavitù interiore del peccato mediante il dono della propria vita. Come a dirci che Dio lavora ad un altro livello, più profondo e radicale, diverso dalle nostre aspettative. E qui sta l’eccellenza di Gesù rispetto a Mosè.
Don Luigi Pedrini