14 Dicembre 2014

Carissimi Parrocchiani,

prima di metterci in ascolto degli avvenimenti successivi e, in particolare, della ‘teofania’ del Sinai, che vedrà Mosè protagonista di un singolare incontro con Dio che segnerà una svolta decisiva nella sua vita, sostiamo sugli avvenimenti finora narrati per qualche considerazione che sia illuminante anche per il nostro cammino di fede.

La prima cosa che sorprende è che la salvezza dell’infante Mosè, per sé destinato come tutti i bambini maschi degli ebrei a morire annegato nel Nilo, è giunta per la strada più impensata: Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione…(Es 2,5-6).

Davvero Dio è capace di servirsi di tutto e di tutti per realizzare la sua opera: in questo caso si è servito niente meno che della figlia del faraone, così che – cosa paradossale – proprio il faraone, che aveva decretato l’uccisione di tutti i figli maschi degli ebrei, va preparando l’uomo che determinerà la salvezza di Israele.

Questo particolare invita noi ad affrontare le vicissitudini avendo fiducia nello Spirito di Dio che continua ad operare nella storia, senza cedere alla tentazione di quel “pessimismo sterile” da cui mette in guardia papa Francesco nell’Evangelii gaudium. Egli scrive:

I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20). La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo della zizzania. A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, anche se proviamo dolore per le miserie della nostra epoca e siamo lontani da ingenui ottimismi, il maggiore realismo non deve significare minore fiducia nello Spirito né minore generosità (n. 84)

C’è ancora un particolare che vale la pena richiamare. I versetti 5-6 riferendo per la prima di Mosè, che poi sarà il protagonista assoluto degli avvenimenti successivi, lo presentano semplicemente come un bambino che piange. In questo modo, la Parola di Dio vuole ricordare l’umiltà dello stile di Dio: egli ama realizzare imprese grandiose servendosi di avvenimenti all’inizio molto umili. Queste era e rimane tutt’oggi lo stile con cui Dio porta avanti la storia.

E anche qui c’è di che riflettere: solo rimanendo nell’umiltà, nella povertà, nell’impotenza serviremo il Signore. Se vorremo ricorrere alla potenza, alla ricchezza, alla forza, saremo strumenti inadatti e il Signore ci dirà che non ha bisogno di noi. Tra l’altro, l’impotenza ha il vantaggio – come è accaduto con Mosè – di essere difesa e salvata proprio dagli stessi potenti: non sanno che proprio l’impotenza è il loro vero pericolo.

Don Luigi Pedrini