06 Giugno 2014

Carissimi Parrocchiani

riprendo la riflessione avviata sul significato dell’icona per dedicare, poi, un’attenzione specifica all’icona della “Vergine della tenerezza” che abbiamo collocato nella nostra chiesa.

Già ho ricordato che all’origine dell’icona sta il mistero dell’Incarnazione. Dal momento che Dio, facendosi uomo, si è fatto visibile ai nostri occhi, noi ora lo possiamo rappresentare dandogli un “volto”. Proprio questa considerazione ha portato la Chiesa ha prendere le distanze da una convinzione giudaizzante che aveva influenzato anche le prime comunità cristiane. Tale concezione, richiamandosi a quanto di legge in Es 20,4: “Non ti farai idolo né immagine alcuna”, sosteneva che fare immagini religiose è illegittimo e contrario alla fede. Nell’anno 787 la Chiesa, riunitasi in Concilio a Nicea, ha preso ufficialmente e autorevolmente le distanze da questa posizione, affermando la legittimità del culto delle immagini. Così Ireneo, un padre della Chiesa, giustifica tale risoluzione: “Il Verbo incarnato è diventato l’immagine visibile del Padre invisibile. È per questo che può essere rappresentato attraverso la pittura”.

Da questo momento inizia il culto legato all’immagine sacra dell’icona e si afferma anche la figura dell’iconografo, colui che dipinge le icone. Generalmente è un monaco o un sacerdote; non mancano, però, anche laici con una vita cristiana esemplare.

L’iconografo si propone di realizzare il suo lavoro artistico con la preghiera e con un digiuno riguardante sia il cibo, sia lo sguardo. Questa sobrietà può sorprendere, ma è la condizione che gli consente di concentrarsi meglio sull’immagine religiosa che vuole rappresentare. In questo modo, l’icona è la materializzazione dell’intensa esperienza di Dio vissuta nella preghiera e nella penitenza.

Così, il Concilio di Nicea tratteggia la fisionomia spirituale dell’iconografo: “Il pittore deve essere pieno di modestia, di dolcezza e di pietà. Eviterà costantemente i discorsi vani, o poco seri. Dovrà avere un carattere pacifico che ignori l’ira e l’invidia. Prima di ogni cosa dovrà conservare con scrupolosa attenzione la purezza spirituale e corporale”.

Naturalmente, oltre ad essere un uomo di Dio, si richiede all’iconografo di essere un uomo dotato dal punto di vista artistico, allo scopo di evitare che l’incapacità e l’incompetenza rechi offesa a Dio. Inoltre, egli deve sottomettersi a un insieme di leggi precise e severe trasmesse dalla tradizione. Ancora il Concilio di Nicea annota al riguardo: “Fare icone non è invenzione di pittori, ma approvata legislazione e tradizione della Chiesa cattolica… Al pittore spetta soltanto l’esecuzione concreta, ma è chiaro che la disposizione spetta ai santi padri”. Dunque, il compito di maestranza è della Chiesa, quello dell’esecuzione concreta del progetto è dell’iconografo. In questo modo, l’arte dell’icona è assoggettata al controllo della Chiesa che deve garantire la fedeltà alla tradizione.

            Don Luigi Pedrini