San Leonardo Confessore (Linarolo), 9 Marzo 2014
Carissimi Parrocchiani,
non possiamo congedarci da questo episodio sul quale da tempo stiamo riflettendo senza fare due ultime considerazioni.
Giuseppe è riuscito nel suo intento di ricostruire i legami familiari coi fratelli. Questo, però, non basta: insieme alla riconciliazione fraterna era necessaria anche la riconciliazione con Dio.
Forse avremo notato che il racconto della vicenda di Giuseppe si è sviluppato fin qui senza mai nominare Dio. Egli sembra sostanzialmente assente. A un certo punto, però, la sua presenza si impone e avviene nel momento in cui Giuseppe ha condotto i fratelli a un passo ormai dalla riconciliazione. Infatti, quando ritornando dall’Egitto ritrovano i propri soldi nella sacca, si rendono conto che quanto sta loro accadendo è molto strano e, sia pure velatamente, chiamano in causa Dio: “Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello, perché abbiamo visto la sua angoscia quando ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato. Per questo ci è venuta addosso quest’angoscia” (Gen 42, 21).
Questa percezione dell’iniziativa di Dio avviene in concomitanza al riconoscimento della gravità del peccato commesso nei confronti di Giuseppe ed è un primo passo verso l’accoglienza del perdono di Dio. Chiaramente è un passo ancora bisognoso di purificazione perché l’immagine di Dio che essi hanno in mente è quella di un giudice che non dimentica il male compiuto e che vuole imporre la giusta sanzione per la colpa. Questa strada, però, non porta ad una vera riconciliazione con Dio: nel migliore dei casi porta a riparare il debito della colpa.
È Giuseppe che con le sue parole illuminate dalla fede e animate da grande compassione, aiuta i fratelli a scoprire l’immagine di un Dio pieno di misericordia, che non li ha mai abbandonati e che ha operato in modo da far sì che anche il male commesso diventasse parte del suo disegno di grazia. Sono emblematiche le parole con cui egli li rincuora nel momento in cui si rivela: Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nel paese e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto. (Gen 45, 5-8). Qui, per la prima volta, si fa menzione di Dio e si dice che la sua misericordia è così grande che persino il peccato può essere integrato nel suo disegno di grazia.
La storia della salvezza andrà avanti proprio in questa linea, fino a giungere alla croce di Gesù, vertice supremo dell’amore misericordioso di Dio verso di noi: lì il nostro massimo male è viene trasformato nel gesto di un amore totale che “va fino alla fine” (Gv 13,1).
La seconda e ultima considerazione la rimandiamo alla prossima settimana.
Don Luigi Pedrini