26 Maggio 2013

San Leonardo Confessore (Linarolo), 26 Maggio 2013

[16]Allora il capo dei panettieri, vedendo che l’interpretazione era favorevole, disse a Giuseppe: “Quanto a me, nel mio sogno tenevo sul capo tre canestri di pane bianco [17] e nel canestro che stava di sopra c’era ogni sorta di cibi per il faraone, quali si preparano dai panettieri. Ma gli uccelli li mangiavano dal canestro che avevo sulla testa”.

[18] Giuseppe rispose e disse: “Questa è l’interpretazione: i tre canestri rappresentano tre giorni. [19] Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti impiccherà a un palo e gli uccelli ti mangeranno la carne addosso”.

[20] Appunto al terzo giorno, che era il giorno natalizio del faraone, questi fece un banchetto per tutti i suoi ministri e allora sollevò la testa del capo dei coppieri e la testa del capo dei panettieri in mezzo ai suoi ministri. [21] Reintegrò il capo dei coppieri nel suo ufficio di coppiere, perché porgesse la coppa al faraone; [22] invece impiccò il capo dei panettieri, secondo l’interpretazione che Giuseppe aveva loro data. [23] Ma il capo dei coppieri non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò.

 

Anche il panettiere rivela, dunque, a Giuseppe il suo sogno. L’interpretazione, però, che ne riceve non è favorevole, così come era avvenuto per il coppiere. In effetti, le cose vanno proprio secondo le parole di Giuseppe.

Quello che qui merita di essere rimarcato è il finale di questa vicenda. Ci è riferito dal v. 23: Ma il capo dei coppieri non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò.

Questa annotazione amara, che trae efficacia proprio dalla sua brevità, mette in guardia dà un’eccessiva fiducia nell’amicizia. Essa rispecchia bene certi insegnamenti sapienziali che invitano a non dare credito agli amici con troppa facilità.

Giuseppe, in questo modo, conosce un terzo grosso scacco. Dopo la prova di vedersi rifiutato dai fratelli; dopo la prova di un’ingiusta condanna, nonostante la sua onestà; ora, la pungente delusione dell’amicizia.

Pungente perché – annota il Card. Martini – “le delusioni dell’amicizia sono forse le più cocenti, anche se sono le meno apparenti (spesso rimangono nascoste e conosciute solo dagli interessati), e anche le meno sensibili (nel senso che non comportano una decadenza fisica: le cose vanno avanti all’esterno come prima”. In cambio, però, “le delusioni dell’amicizia sono molto purificanti, perché ci aiutano a porre la speranza in Dio solo” (Due Pellegrini per la giustizia, Piemme, Casale Monferrato, p 106).

Proprio così è avvenuto per Giuseppe. Il fatto di non trovare aiuto neppure da parte di chi pensava si sarebbe ricordato di lui, avendo condiviso con lui la sofferenza del carcere, gli fa comprendere che ci sono valori più grandi nella vita sui quali riporre la propria fiducia. Non è la fiducia nel coppiere del faraone che può salvarlo e riscattare la sua vita, ma la fiducia nell’ “Altro” ben diverso.

Ecco la lezione che Giuseppe è chiamato ad interiorizzare. Questo senza voler negare il valore dell’amicizia. Il suo valore è reale; tuttavia, va purificata.

 

Don Luigi Pedrini