San Leonardo Confessore (Linarolo), 22 Aprile 2012
Carissimi Parrocchiani,
accennavo la settimana scorsa ai guai a cui Giacobbe è andato incontro subito dopo il suo insediamento nella terra di Canaan. Ed, ecco, come sono andate le cose.
Giacobbe ha una figlia, Dina. Un giorno decide di scendere in città per vedere come usano vestirsi le ragazze del luogo. Accade, però, che la sua presenza non passa inosservata e un giovane, di nome Sichem, abusa di lei. Il testo mette in luce che Sichem, pur avendo sbagliato, è tuttavia sinceramente innamorato della ragazza e vorrebbe sposarla. Intanto, Giacobbe viene informato: “Intanto Giacobbe aveva saputo che quegli aveva disonorato Dina, sua figlia, ma i suoi figli erano in campagna con il suo bestiame. Giacobbe tacque fino al loro arrivo” (Gen, 34,5)
“Aveva saputo”, “tacque”. Giacobbe, come già accennavo, è ormai un uomo che sa ascoltare in silenzio. Non è più l’uomo scaltro che aveva una soluzione brillante in qualunque situazione. Ora, è un uomo che, quantunque profondamente ferito dal male, ascolta rimanendo in silenzio.
Il dramma è costituito dal seguito della vicenda. Al ritorno dal lavoro, anche i figli sono informati del fatto. Si decide di avviare le trattative per stipulare il matrimonio, senonché, due figli – Levi e Simeone – decidono di vendicare l’offesa subita e escogitano un piano subdolo per uccidere Sichem e i membri della sua famiglia. Ecco l’esito drammatico della vicenda.
Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. […] Saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella. Presero così i loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna (Gen 34,26-29).
Questa è la tragedia immane che accade nella famiglia di Giacobbe. È del tutto comprensibile il lamento che egli rivolge ai figli.
Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: “Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa”. Risposero: “Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?” (Gen 34,30-31).
Dunque, i figli non ritrattano il loro operato e la cosa strana è che Giacobbe a questo punto non è più capace di replicare nulla. Commenta significativamente, al riguardo, P. Stancati:
È come se, dal giorno in cui è entrato nel suo cammino di conversione, (a Giacobbe) mancassero le parole e gli argomenti convincenti. Non sa più come persuadere coloro che dovrebbero essere più attenti ad imparare da lui il mestiere del vivere umano. È un uomo divenuto stranamente pensoso: è un vero peccatore ed è un vero convertito, per cui è un uomo che ormai sa assumere su di sé il fallimento di tutti coloro che incontra […] Lo stesso peccato altrui, certamente non approvato, è un peccato che sopporta, di cui porta il peso in sé, di cui condivide le conseguenze. È un peccatore che si guarda intorno e riconosce subito i peccatori, verso i quali non ha più nessuna complicità e convivenza, ma verso i quali sa offrire uno sguardo pietoso (p. 108).
Don Luigi Pedrini