San Leonardo Confessore (Linarolo), 16 Ottobre 2011
Carissimi Parrocchiani,
poniamo oggi attenzione a Giacobbe che riceve da Isacco la benedizione legata alla primogenitura. Persuaso di averne diritto, con una disinvoltura che sorprende, Giacobbe attua la sua trama per ottenerla. Isacco è ormai nel pieno della sua paternità, i figli sono cresciuti e si preparano ciascuno a intraprendere la propria strada. Isacco, però, è anche un uomo sofferente: è diventato cieco e ha il cuore pieno di dispiacere per le scelte matrimoniali di Esaù che egli non condivide.In questa situazione, reputa ormai giunto il tempo di dare a Esaù la benedizione che gli spetta in quanto primogenito. Lo chiama e, prima di benedirlo, lo invia a cercare la selvaggina, cibo a lui molto gradito. Giacobbe, però, grazie a Rebecca che cucina secondo il gusto del marito un animale preso dall’ovile, si presenta al padre con la “selvaggina”, dopo essersi camuffato in modo da risultare peloso come il fratello ed essere così scambiato per Esaù.
Così egli venne dal padre e disse: <<Padre mio>>. Rispose: <<Eccomi; chi sei tu, figlio mio?>>. Giacobbe rispose al padre: <<Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica>>. Isacco disse al figlio: <<Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!>>. Rispose: <<Il Signore me l’ha fatta capitare davanti>>. Ma Isacco gli disse: <<Avvicinati e lascia che ti palpi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no>>. Giacobbe si avvicinò ad Isacco suo padre, il quale lo tastò e disse: <<La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù>>. Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e perciò lo benedisse. Gli disse ancora: <<Tu sei proprio il mio figlio Esaù?>>. Rispose: <<Lo sono>>. Allora disse: <<Porgimi da mangiare della selvaggina del mio figlio, perché io ti benedica>>. Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: <<Avvicinati e baciami, figlio mio!>>. Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse: <<Ecco l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli e si prostrino davanti a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!>> (Gen 27,18-29).
Nell’episodio colpisce la determinazione con cui Giacobbe, va dritto verso l’obiettivo prefissato. Di fronte ai dubbi del padre prima conferma la sua falsa identità; poi, dichiara che grazie al Signore ha potuto trovare in fretta la selvaggina. C’è da notare che il nome di Dio risuona sulle labbra di un uomo che sta agendo con inganno e ne sta facendo un utilizzo strumentale. È significativo che da questo momento il nome del Signore scompare per molto tempo dal testo: Dio è stato nominato invano e ora è come se si ritirasse.
Veramente, il cammino di Giacobbe è diverso da quello di Abramo e anche di Isacco. Abramo lo si vede in continuo dialogo con Dio, desideroso di obbedire alla Parola; Isacco ama il raccoglimento e il silenzio; Giacobbe, invece, è uno che, agli inizi, non mette in primo piano il dialogo con Dio; preso dai calcoli, ricorre a Dio solo per servirsene. Così Isacco, ingannato, dà a Giacobbe la sua benedizione. Poco dopo, ritornando Esaù, scoprirà l’inganno e, tuttavia, non ritratterà quanto accaduto. Giacobbe, con grande dispiacere di Esaù, è ormai il “benedetto”.
Don Luigi Pedrini