San Leonardo Confessore (Linarolo), 29 Luglio 2012
Carissimi Parrocchiani,
prendendo ora in considerazione la seconda parte del v. 2 del capitolo 37 della Genesi possiamo rivolgere un primo sguardo sulla vita interna della famiglia di Giacobbe.
La prima parte del versetto – Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i fratelli. Essendo ancora giovane, stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre – allude ad un clima di unità e fratellanza che regna tra i figli di Giacobbe. Si ha l’impressione di un quadro di vita pastorale sereno nel quale i fratelli stanno insieme in modo amichevole.
A diciassette anni Giuseppe è un pastorello impegnato nel pascolo del bestiame insieme con i fratelli. Tutti svolgono lo stesso lavoro: sono pastori. Siamo, dunque, di fronte ad un’economia familiare unificata, che viene ad interrompere la differenziazione di mestiere che era presente, invece, nelle famiglie precedenti (cfr: Caino, il cacciatore e Abele, il pastore; Esaù, il cacciatore e Giacobbe, il pastore).
Il versetto riferisce che Giuseppe “stava” con i figli di Bila e di Zilpa. In realtà, sarebbe più corretto tradurre: “Giuseppe aiutava i figli di Bila e di Zilpa”. Infatti, il testo vuole evidenziare che Giuseppe si colloca su un piano di inferiorità rispetto ai fratelli: la sua giovane età fa sì che egli svolga dei compiti secondari. Egli è ancora un apprendista pastore, un ‘aiutante’ (na’ar).
Ma ecco l’ultima parte del versetto 2: Ora Giuseppe riferì al loro padre di chiacchiere maligne su di loro.
Queste parole rivelano un aspetto un po’ singolare della personalità di Giuseppe. Se da una parte è un giovane ancora inesperto, tuttavia, possiede una certa scioltezza o – forse più giustamente – ingenuità nel parlare. Così, diventa un informatore di notizie presso il padre.
Va notato che la traduzione ufficiale della Chiesa italiana (CEI) parla di “chiacchiere maligne su di loro”. Un autorevole commentatore – A. Schokel – preferisce usare l’espressione “cattive informazioni”, precisando che non devono essere intese come diffamazioni e ancor meno come calunnie.
Ad ogni modo, il testo sembra propenso a valutare il parlare di Giuseppe come qualcosa di inopportuno, frutto di ingenuità giovanile, pur essendo un parlare libero da cattive intenzioni. Sta di fatto che questo particolare introduce tra i fratelli un elemento di tensione.
Don Luigi Pedrini