Cari fratelli,
il dono pasquale della remissione dei peccati permea tutto il lezionario odierno.
L’iniziativa è di Cristo stesso che, entrando nella sua Chiesa, offre la sua reale presenza salvifica.
Non è un fantasma, come immaginavano spaventati gli apostoli, ma ha carne ed ossa.
Il primato di Dio e di Cristo è inoltre ribadito da Pietro (“Dio ha glorificato il suo servo Gesù e l’ha resuscitato dai morti”), e da Giovanni, che nella sua lettera scrive: “Gesù Cristo giusto, nostro avvocato presso il Padre”.
La remissione dei peccati è quindi un dono che nasce dalla croce e dalla gloria che Cristo consegue con il suo supplizio.
Questo dono non è però né automatico né magico, perché esige una risposta attiva da parte dell’uomo e cioè la conversione.
Lo ripete Pietro: “pentitevi e cambiate vita”.
Lo ribadisce Cristo stesso risorto: “saranno predicati a tutte le genti la conversione ed il perdono dei peccati”.
Lo esprime parallelamente Giovanni con l’appello all’osservanza dei comandamenti.
Nella Pasqua cristiana il Cristo risorto, avvocato presso il Padre (sempre vivo per intercedere per noi, dice la lettera agli Ebrei) e l’uomo peccatore convertito si incontrano e costituiscono la nuova comunità, la Chiesa pasquale.
Alla libertà dell’offerta divina corrisponde però la libertà dell’accettazione umana: Dio nella sua immensa bontà ci ha lasciati liberi di accettare o meno la sua proposta di amore; di seguire o meno la via del bene e della vita, con tutto ciò che ne consegue.
Come ebbe a scrivere un grande pensatore del secolo scorso, H. de Lubac, “tutto il problema della vita spirituale consiste nel liberare questo desiderio di vita, che è insito in ognuno di noi, e nel trasformarlo in conversione radicale senza la quale non si entra affatto nel Regno”.
Don Emilio