Cari fratelli,
a prima vista la parabola dei talenti, che oggi leggiamo nel vangelo, può risultare imbarazzante, legata come sembra alla logica di mercato.
L’accento nell’interpretazione è stato posto spesso sulle opere, sul fruttificare: ma questo è certamente parziale.
Infatti il senso generale della parabola è ben specificato dal premio e dal castigo finale che trascendono i limiti del racconto.
Il tema generale è, allora, quello dell’accoglienza operosa del Regno.
Più che sul semplice impegno per sviluppare bene le proprie doti, il discorso cade sull’accettazione efficace ed attiva del dono della salvezza.
In pratica dunque è l’equivalente dell’esortazione paolina alla vigilanza.
Il primo appello che oggi riceviamo ci orienta perciò verso una decisione seria e radicale che si esprime nella concretezza della vita e nella specificità delle nostre scelte.
Il motivo del fruttificare non è certo escluso.
Come la donna ideale della prima lettura, anche noi siamo chiamati all’operosità ed alla misericordia verso il misero.
Come l’uomo che teme il Signore del salmo 127, siamo chiamati a vivere del lavoro delle nostre mani.
Come i cristiani di Tessalonica siamo chiamati a vivere come figli della luce e del giorno, che compiono le opere giuste.
Come i due servi dei cinque e dei due talenti, siamo chiamati ad un serio impegno perché i nostri doni crescano in bene per tutti.
Nella figura del servo c’è anche un’altra connotazione: la paura che trasforma la religione in un dovere e quindi nel minimo richiesto: “So che sei un uomo duro che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura ho nascosto il tuo talento”.
“La fede in Cristo è il rischio di tutti i rischi; è per tutti lo stesso salto nel vuoto. Ma è anche gioia e promessa, amore e vita. È conversione; è il radicale nuovo orientamento dell’uomo che sta nudo davanti a Dio e che per amore è pronto a perdere la propria anima” (K. Barth).
Don Emilio