Cari fratelli,
in questa domenica risuona un forte richiamo alla purezza della fede ed alla giustizia sociale.
Il culto a Dio ed il culto per ciò che ci sta attorno sono antitetici: il primo suppone la logica dell’amore, della donazione e della fraternità; il secondo suppone la logica dell’edonismo, del possesso, della prevaricazione.
L’appello alla giustizia, scandito con veemenza da Luca e da Amos, la lotta contro la religione della ricchezza e dell’oppressione, l’attenzione alle vittime del potere e dello sfruttamento devono essere temi permanenti dell’impegno morale del cristiano.
Fino a quando l’uomo non è difeso nella sua dignità, Cristo, come diceva Pascal, continua ad essere ingiuriato, ad agonizzare, ad essere ucciso da noi.
La strana parabola odierna centra anche un altro tema fondamentale: nell’esistenza si può essere frequentemente come bambini distratti mentre il tempo della vita è decisivo.
La lunga tipologia di uomini indifferenti, banali, volgari e superficiali che troppo spesso costella l’orizzonte della storia è guardata con amarezza da Gesù.
L’unica loro prontezza è solo quella di perpetrare il male, come il corrotto amministratore della parabola.
Ogni atto di amore e di giustizia è troppo oneroso e costoso per loro.
Ed infine Paolo all’impegno orizzontale associa oggi quello verticale della preghiera, soprattutto liturgica.
Si potrebbe perciò esaminare criticamente le nostre celebrazioni liturgiche ed il nostro dialogo con Dio, personale ed ecclesiale.
Romano Guardini, liturgista svizzero da poco scomparso, scriveva nel suo volume Il senso della Chiesa: “la liturgia è integralmente realtà. Abbraccia tutto quanto esiste: angeli, uomini e cose. Tutti i contenuti e gli avvenimenti della vita. Ogni realtà: la naturale è afferrata dalla soprannaturale; la creata è fecondata dalla increata”.
Don Emilio