Cari fratelli,
l’umanità profonda di Paolo, la sua delicatezza d’animo diventano già di per sé un appello a vivere l’esperienza cristiana non solo a livello razionale, ma con tutto l’essere dell’uomo che è fatto d’intelligenza, volontà, sentimento, azione e passione.
Questa profonda partecipazione si concentra su un caso umano, quello di uno schiavo fuggitivo, sul quale la parola ha operato un intervento decisivo.
L’impegno cristiano per la dignità dell’uomo dovrebbe essere primario.
Ogni uomo è figlio di Dio, sua immagine, fratello di Cristo salvato e destinato alla comunione piena con l’eterno.
Paolo non suggerisce una soluzione paternalistica, ma radicale: lo schiavo sarà d’ora in avanti come un fratello.
In questa luce si comprende la proposta biblica sui veri valori: non è la posizione sociale, né il benessere economico, né il prestigio la meta da raggiungere, ma la sapienza, cioè la piena realizzazione dell’uomo in tutte le sue dimensioni e capacità.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal 89).
Nell’antica poesia azteca del Messico precolombiano c’era questo detto: “Si nasce, si viene su questa terra; per un po’ di tempo si ottiene la gloria di colui per il quale tutto vive (il Sole). Il fiore del nostro corpo apre qualche corolla ed è subito appassito”.
Questa sapienza, che ci indica la strada vera ed i valori autentici, è celebrata anche nel vangelo di oggi.
Esso raccoglie uno dei temi fondamentali della predicazione di Gesù: bisogna con intelligenza e volontà optare per la grande decisione, quella per il Regno.
Le scuse, le attenuanti, le mezze misure, le superficialità spezzano il legame con Cristo, la cui proposta è radicale ed esigente: chiunque non si fa povero in spirito, chi non porta la propria croce, chi non mette in gioco anche la propria vita, non può essere discepolo del Signore.
Don Emilio