Cari fratelli,
l’umiltà è la regola per la partecipazione alla mensa del Regno.
Come il Maestro il discepolo opta per l’ultimo posto, perché anch’egli è venuto per servire e non per essere servito.
La vera grandezza dell’uomo non si misura nei titoli nobiliari o accademici, o nelle cariche più o meno prestigiose che egli ricopre, ma nella ricchezza umana ed interiore, cioè nella capacità di amare con la mente saggia, come dice il Siracide.
L’umiltà non è disprezzo di sé ma è la giusta conoscenza di sé per occupare esattamente il proprio posto nel disegno della storia, offrendo il proprio contributo allo sviluppo dell’uomo.
La parabola evangelica ed il monito del Siracide sull’elemosina esortano anche alla donazione libera e gioiosa contro una concezione sempre più economicistica ed agonistica del vivere sociale.
“Sarai beato perché non sei ricambiato”: questa bellissima beatitudine esalta il vero atteggiamento del credente che, come Cristo, si dona per gli altri; che presta senza sperare niente, che non calcola, che non sceglie le amicizie in rapporto all’utilità che può ricavarne, ma che è felice di essere vicino a poveri, ciechi e storpi.
L’umiltà e la donazione sono due virtù che celebrano il primato di Dio rispetto ai giochi ed alle manovre umane.
La liturgia di oggi è dunque, in ultima analisi, il canto dei perfetti, come il Padre celeste, i quali, divenendo poveri come Cristo, sono esaltati
Ad essi viene destinata la “città del Dio vivente”, cioè l’esperienza festosa della piena comunione con Dio.
Se si è pieni del proprio orgoglio o delle cose possedute, non si può aprire il cuore a Dio, né godere della libertà del distacco e della gioia della semplicità.
Don Emilio