Cari fratelli,
il lezionario di questa domenica ci ammonisce sulla relatività del presente e delle cose, la loro finitudine, il loro limite.
È un invito al ridimensionamento dell’orgoglio tecnicistico, dell’affezione alle cose, del possesso e dell’avere.
L’idolatria materialistica dei beni economici, considerati come valori assoluti, ai quali tutto sacrificare, è una tentazione che affiora anche nella comunità.
Sia pure con prospettive differenti Gesù e Qohelet ci invitano oggi a ricomporre una più autentica scala di valori.
Senza negarne la reale incidenza nel tessuto della storia, le strutture economiche devono essere ricondotte al loro giusto posto e riportate al servizio dell’uomo.
In un mondo rigorosamente retto da leggi economiche, calibrato da calcolatori elettronici, soddisfatto di sé e del benessere fisico, la Chiesa deve essere un segno di umanità, di spiritualità, di trascendenza e di divinità.
Siamo tutti pellegrini su questa terra.
La Chiesa è poi un corpo di nomadi permanenti, perché ha la visione di una città il cui artefice e costruttore è Dio.
La chiesa è un popolo che vede visioni e che ha speranze.
In un mondo di città pianificate, coordinate, razionalizzate, deve esserci un popolo che sogni e che speri.
Scrive l’autore della lettera a Diogneto: “I cristiani non si distinguono dagli altri per usi o costumi. Abitano nelle città come persone comuni. Per loro ogni patria è terra straniera ed ogni terra straniera è loro patria”.
Proprio perché il loro orizzonte travalica l’orizzonte sensibile, si comportano come coloro che possiedono senza possedere nulla.
Usano dei beni comuni, ma non si lasciano usare, perché sanno che passa la scena di questo mondo ed alla fine il tremendo giudizio di Dio li aspetta inesorabile.
Chi pone la propria sicurezza in quel che possiede, è come colui che costruisce la casa sulla sabbia, secondo la parabola evangelica.
Don Emilio