Cari fratelli,
la cornice alla prima ed alla terza lettura di questa domenica ci può proporre il tema dell’ospitalità, in una angolatura molto ampia, quale ad esempio quella proposta dal monachesimo benedettino.
A tutti i pellegrini indistintamente il monastero medievale offriva acqua, sale e fuoco, oltre ad un tetto sotto cui ripararsi. In tutte le vocazioni poi ed in tutti gli stati di vita è indispensabile l’atteggiamento dell’ascolto della Parola, sia che noi siamo come Marta, avvolti nel groviglio delle occupazioni quotidiane, sia che noi siamo come Maria, soli, all’interno di una casa familiare e quotidiana: dobbiamo sempre tenere aperto un canale di comunicazione con l’infinito.
Questo ci suggerisce il passo del Vangelo.
Scriveva K. Ranhner: “abbiamo mai fatto l’esperienza della grazia? Non vogliamo alludere, si badi, ad un generico sentimento di devozione o ad un’esaltazione religiosa, di tipo festivo, e nemmeno ad una qualunque consolazione intrisa di dolcezza, ma all’esperienza della grazia vera e propria, cioè a quella visitazione dello Spirito Santo, del Dio Trino, che in Cristo, grazie alla sua incarnazione ed alla sua immolazione in croce, è diventata realtà”.
Questa comunicazione in noi di Dio, come ci ricorda Paolo, ci trasforma nel Cristo vivente nel tempo e nello spazio, in parte del Corpo di Cristo che nella storia annunzia il Vangelo e salva.
La nascita e la crescita del vero cristiano fioriscono non da una radice sociologica ma da una forte esperienza di fede e di amore.
In questo modo, nell’agire quotidiano, noi, secondo la parola dell’Apostolo, portiamo a compimento ciò che manca ai patimenti di Cristo nella nostra carne.
Don Emilio