Carissimi Parrocchiani,
concludevo la scorsa settimana constatando che l’esperienza di Dio sta davvero al cuore dell’esistenza di Davide, è il segreto della sua vita. Le preghiere che Davide ha composto sono come finestre attraverso le quali questa esperienza segreta viene in certa misura alla luce e ci consentono di entrare in quella cella segreta interiore nella quale la persona che prega vive l’incontro con Dio.
In questo orizzonte vogliamo allora considerare da vicino tra i salmi scritti da Davide uno dei più conosciuti: il salmo 63. Secondo la tradizione biblica questa preghiera è stata composta da lui in quel periodo di tribolazione e di vita alla macchia quando era perseguitato da Saul (cfr. 1 Sam 22-24).
In questa situazione di esilio forzato e di solitudine Davide confessa la sua sete di Dio contemplato come l’unico che può ricondurlo alla libertà e restituirgli la pace e la sicurezza di un tempo. Il salmo è dunque animato dal desiderio di un pieno affidamento nelle mani di Dio.
Dal punto di vista della struttura, questa preghiera si divide in tre parti. Nella prima parte (vv. 2-4) Davide confessa la sua sete di Dio: una sete ardente paragonabile a quella della terra arida del deserto; nella seconda parte (vv 5-9) esprime la speranza di rivivere l’incontro con il Signore: un incontro di cui già pregusta la gioia e che descrive con i caratteri della convivialità, dell’intimità, della consolazione; nella terza parte (vv. 10-12) dichiara la sua certezza che Dio gli farà riportare vittoria sui nemici ossia su tutto ciò che vuole opprimere e intristire la sua vita. Ci soffermiamo per ora sulla prima parte, rimandando il commento alla seconda e alla terza alla prossima settimana.
Il salmo si apre con un’esclamazione, o meglio con un grido: “O Dio, tu sei il mio Dio” (v 2a). È il grido che sgorga spontaneo e fiducioso dal cuore di un uomo che si trova nella più grande solitudine e che si rivolge a Dio dicendogli: “Tu sei il mio Dio”. Sono parole che riconoscono un’appartenenza intima che nulla può incrinare. Si potrebbero tradurre così: “Signore, Tu sei tutto per me e io non ho altro al di fuori di Te, Tu sei l’unica ragione della mia vita, la mia unica e vera gioia”. Siamo di fronte a una vera professione di fede: si afferma il valore assoluto di Dio e insieme il bisogno assoluto che l’uomo ha di Lui.
I versetti che seguono sono conseguenti questa affermazione iniziale: “All’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (v 2b). Qui Davide sta dando voce al desiderio che porta nel cuore, un desiderio che lo spinge ogni giorno a cercare Dio dalla prima ora dell’alba. È un desiderio che coinvolge in tutto il suo essere di anima e corpo: tutta la sua persona desidera abbeverarsi del Signore riconosciuto come pura sorgente di vita. Sta in attesa davanti a Dio così come la terra riarsa, assetata, aspetta la pioggia e la rugiada.
“Così nel santuario ti ho cercato” (v 3a). A quale santuario Davide si riferisce? Il nostro primo pensiero va al tempio di Gerusalemme e certamente a questo luogo di preghiera avranno pensato tutti i credenti di Israele venuti dopo Davide pregando con queste parole. Davide, tuttavia, non poteva riferirsi al tempio di Gerusalemme che ancora non era stato costruito. Qui l’allusione va invece a quel sacrario interiore che il cuore dell’uomo vero santuario nel quale è dato a ciascuno di vivere l’incontro con il Signore.
“Ti ho cercato”: è tipica del povero l’umiltà di non cercare in se stesso, ma al di là di se stesso. L’incontro con Dio può essere vissuto solo in termini di dono: è la scoperta gioiosa e stupita di essere da Lui visitati nel santuario del cuore. Quando l’uomo si mette in ricerca di Dio con questo spirito di umiltà, allora è nella giusta disposizione di poter contemplare – come dice il salmo – “la tua potenza e la tua gloria” (v 3b).
Questa prima parte si conclude con un riconoscente atto di fede: “La tua grazia vale più della vita”, che potremmo esprimere cosi: “L’essere con Te, Signore, che sei tutto il mio bene è la cosa più preziosa che per nulla al mondo vorrei perdere”; e poi con una promessa di lode: “Le mie labbra diranno la tua lode”.
Don Luigi Pedrini