Carissimi Parrocchiani,
dopo la pausa dovuta alla Pasqua ritorniamo sulla vicenda dell’insediamento nella Terra Promessa del popolo di Israele.
Ormai non c’è molto da aggiungere a quello che si è detto. È importante, tuttavia, prima di chiudere questo primo spezzone della nostra narrazione introduttiva alla vicenda del re Davide offrire un chiarimento fondamentale.
Il chiarimento riguarda precisamente alcuni passaggi che si trovano specialmente nel libro di Giosuè e che sembrano dare un’immagine ‘bellica’ di Dio, in sostanza un Dio guerriero che si schiera a favore degli Israeliti e sbaraglia con una ‘guerra santa’ i suoi nemici.
Sembra andare in questa direzione anche un passaggio contenuto nel libro del Siracide che volendo celebrare la figura di Giosué per le imprese compiute afferma che egli “guidava le guerre del Signore”. Chiaramente siamo di fronte a un’affermazione che sorprende e che può prestarsi a interpretazioni distorte: infatti, potrebbe indurre a pensare che le guerre non sono opera degli uomini, ma del Signore.
Per spiegare il senso di affermazioni come questa che sembrano attribuire a Dio le azioni belliche degli Israeliti due considerazioni possono aiutarci a dare una risposta.
In primo luogo, va tenuto presente il genere letterario del libro di Giosuè e, quindi, la finalità che persegue. Il suo intento è di celebrare la conquista della terra come un’impresa epica. Per questo riferisce la progressiva penetrazione di Israele nella Terra Promessa con una certa enfasi dando l’impressione che si è trattato di un avanzamento trionfale a scapito dei suoi nemici. Le cose, però, come abbiamo avuto modo di far notare non sono andate realmente così. La conquista della Terra Promessa deve essere stata meno violenta e totalitaria di come viene presentata dal libro di Giosuè. Sta di fatto che dopo la “conquista” constatiamo che Israele non ha fatto il vuoto attorno a sé; al contrario, noi assistiamo a una convivenza tra il popolo di Israele e gli abitanti di Canaan: il dialogo culturale e religioso che si avvia tra le due popolazioni segnerà la vita di entrambe.
In secondo luogo occorre distinguere nella Parola di Dio il messaggio che realmente vuole trasmettere dal linguaggio che adotta. Nel caso specifico, quando la Scrittura riconduce a Dio il merito della vittoria conseguita vuole dire semplicemente che il male, qui impersonato dai nemici di Israele, così come tutto ciò che si oppone ai disegni di Dio, a un certo punto crolla su se stesso come le mura di Gerico, “si autocondanna e non giunge mai a concludere un processo storico. Il suo ciclo rimane fatalmente incompiuto, si ferma a tre tempi e mezzo su sette, a 42 mesi, a 1260 giorni, ecc. come insegnano i numeri simbolici del libro di Daniele e dell’Apocalisse” (Rossi De Gasperis, op. cit., pp.127-128).
Accostarsi alla Scrittura con spirito di discernimento è importante: solo così si accoglie l’autentica rivelazione che Dio offre di sé e si evita il rischio di sovrapporre sul volto autentico di Dio immagini che sono il frutto o della nostra personale esperienza di fede o della cultura nella quale siamo immersi. Proprio questo sforzo di discernimento permette di estirpare in radice ogni pericolo di fondamentalismo.
Il discorso è importante e delicato. Vi ritorneremo per concludere la prossima settimana.
Don Luigi Pedrini