Carissimi Parrocchiani,
concludo le riflessioni sulle prove di Mosè con questo commento offerto da san Gregorio di Nissa nella sua Vita di Mosè (cfr. nn. 147-148). Egli, considerando alla sua morte gli è succeduto un giovane condottiero il cui nome era Giosuè – nome che rimanda direttamente a Gesù – legge in tutto questo una prefigurazione del passaggio tra l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, tra la Vecchia Alleanza che faceva leva sulla legge promulgata da Mosè e la Nuova Alleanza che fa leva sul Vangelo, la nuova legge donataci da Gesù.
Egli reputa che al tempo di Mosè il popolo di Dio era ancora segnato dalla fragilità: debole e malridotto a motivo della tirannia che aveva subito in Egitto non era in grado con le sue forze di affrontare i nemici e di liberarsi dal loro giogo. Per questo ha avuto bisogno sia di un condottiero come Mosè, sia del conforto della legge che gli indicava la strada da seguire. Tuttavia, osserva san Gregorio di Nissa:
allorché si è liberato dalla servitù di quelli che l’opprimevano, ha provato la dolcezza grazie al legno, si è riposato dalla fatica nella tappa delle palme, ha conosciuto il mistero della roccia e ha avuto parte del cibo celeste, allora non respinge più il nemico per mano di altri, ma, come ormai uscito dall’infanzia e giunto alla pienezza della gioventù, egli da sé attacca battaglia con i nemici, servendosi come comandante non più di Mosé, il servitore di Dio, ma dello stesso Dio, di cui Mosè era servitore.
Dunque, secondo san Gregorio di Nissa, una volta fatto tutto il cammino di liberazione, gli israeliti non avevano più bisogno di un condottiero come Mosè. Nelle prove il popolo di Israele è stato aiutato da Mosè a conoscere Dio e ad appoggiarsi a Lui; ora, in forza della fede che ha maturato, è in grado di affrontare anche senza Mosè le battaglie della vita.
Pertanto, il passaggio da Mosè a Giosuè sta a significare il salto di qualità che la fede di Israele ha fatto: prima aveva bisogno di un condottiero umano della statura di Mosè; ora, è disposto a lasciarsi condurre da Giosué, perché in realtà la sua vera guida è Dio stesso.
Per noi questo passaggio da Mosè a Giosué è già avvenuto grazie a Gesù: egli da una parte è il nuovo Mosè che con le sue prove si è fatto carico delle nostre debolezze e dall’altra è il nuovo Giosué che mediante il dono del Vangelo ci conduce a una fede adulta grazie alla quale siamo in grado di riporre interamente in Dio la nostra fiducia e di affrontare le vere battaglie della vita.
Infatti, San Gregorio di Nissa aveva introdotto la sua considerazione con questo paragone: Come quando, durante l’arruolamento, prima il comandante dà la paga e poi senz’altro dà il segnale della guerra, così anche i soldati della virtù, dopo aver ricevuto la mistica paga, muovono senz’altro guerra agli stranieri, avendo come comandante per la battaglia Giosué, il successore di Mosé. Con queste parole il santo vuole dire che noi cristiani, in quanto discepoli di Gesù (soldati della virtù), salvati in modo gratuito da Lui, nuovo Mosè, con la sua passione e morte (mistica paga) e guidati da Lui, nuovo Giosuè, abbiamo una fede matura e, appoggiati a Lui, siamo ormai pronti ad affrontare gli stranieri, cioè ogni imprevisto e vicissitudine della vita.
Don Luigi Pedrini