12 Giugno 2016

Carissimi Parrocchiani,

proseguiamo il racconto della vicenda di Mosè ponendo ora attenzione alla fatiche apostoliche che ha incontrato nella missione di guida del suo popolo. Queste fatiche configurano nel loro insieme un cammino di ‘passione’ che ha contribuito a forgiare progressivamente in Mosè l’animo del vero pastore secondo il cuore di Dio.

Una prima fatica è costituita da quei momenti di prova in cui Mosè ha fatto l’esperienza della paura. Si tratta di momenti in cui ha dovuto constatare la sproporzione tra la propria persona e la missione alta e delicata a cui era chiamato. Propriamente in quali frangenti Mosè ha conosciuto la paura?

Anzitutto, dobbiamo ricordare la paura che Mosè ha sperimentato fin dall’inizio al pensiero di doversi presentare al faraone, fare da intermediario per il suo popolo e chiedere di poter uscire dall’Egitto. Conoscendo la propria difficoltà nell’esprimersi Mosè fa presente a Dio il suo timore: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua (Es 4,10). Il timore che gli incute la missione percepita da lui come un peso troppo gravoso superiore alle sue forze lo spinge a chiedere a Dio di poter declinare tale responsabilità: “Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!” (Es. 4,13).

Una seconda causa generatrice di timore e paure sarà l’andamento degli eventi. Le cose anziché procedere in modo lineare andranno sempre più ingarbugliandosi. Mosè molto presto deve constatare che il cammino intrapreso non conoscerà affatto un crescendo di apertura e approvazione, né da parte del faraone, né da parte del suo popolo.

Da parte del faraone incontrerà infatti un atteggiamento di chiusura e di ostinato diniego: nel testo si annota come un ritornello l’indurimento del cuore da parte del faraone. Inoltre, questa indisponibilità a lasciar partire il popolo di Israele, si accompagna anche a iniziative di ritorsione nei suoi confronti, così che gli israeliti oltre a non vedere davanti a sé vie di uscita, assistono a un peggioramento della loro situazione.

Questa situazione di stallo diventa motivo di profonda amarezza anche per Mosè. Al riguardo è significativa questa supplica che rivolge a Dio: “Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo! (Es5,22-23).

            La sofferenza dovuta all’esito negativo della sua missione di intermediario presso il faraone viene ulteriormente aggravata dalla protesta degli israeliti che in alcuni momenti di esasperazione dichiarano di essere al limite della sopportazione e protestano severamente con Mosè. Sono forse questi i momenti più drammatici in cui la paura ha maggiormente il sopravvento nel suo cuore. Le parole di supplica con cui si rivolge a Dio rivelano il punto più basso a cui è giunto nel suo cammino di abbassamento e di servizio a favore del suo popolo. Allora Mosè invocò l’aiuto del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!” (Es 17,4).

 Don Luigi Pedrini