Carissimi Parrocchiani,
concludiamo le nostre riflessioni su Mosè quale uomo che prega soffermandoci su una terza tipologia di preghiera che troviamo nella sua esperienza di fede: quella contemplativa. È la preghiera nella quale Mosè vive più profondamente la sua relazione con Dio; tuttavia è anche quella più discreta e lo si capisce: in questa maniera di pregare – come testimoniano i mistici – è molto quello che si sperimenta, ma poco quello che si è in grado di riferire.
Il testo biblico in diverse occasioni parla di Mosè come il confidente di Dio. Egli è ammesso ad una intimità con Lui quale non è concessa a nessun altro. È estremamente eloquente in proposito quanto si legge nel libro dei Numeri. Dio interviene per prendere le difese di Mosè nei confronti di Aronne e Maria che avevano avanzato dubbi sulla sua rettitudine di governo e fa espressamente distinzione tra Mosè e i profeti. 6Il Signore disse: “Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. 7Non così per il mio servo Mosè: egli è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. 8Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi, ed egli contempla l’immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?” (Nm 12,5-8).
Dunque, Mosè ha la possibilità di intrattenere un dialogo diretto con Dio. E, tuttavia, questa confidenza che gli è concessa non sottrae Dio al suo mistero.
Possiamo richiamare al riguardo un altro testo significativo nel quale Mosè osa rivolgere a Dio la domanda che forse sta nel cuore di ogni uomo, quella di poter vedere il suo volto. Ed ecco la risposta di Dio: “Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te” […] 20Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”. 21Aggiunse il Signore: “Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: 22quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. 23Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere” (33,18-23).
Questo testo rivela bene sia ciò che Dio darà sia ciò che non darà a Mosè. Gli concederà di vedere lo splendore della sua gloria, ma non di vedere il suo volto, perché a nessun uomo è dato di vedere Dio: non reggerebbe di fronte alla grandezza del suo mistero.
È proprio quanto attestano i mistici: essi affermano che quando hanno l’impressione nella contemplazione che Dio sia come a portata di mano, proprio in quel momento constatano che Egli sta sempre ‘oltre’: quello che pareva un punto di arrivo diventa invece un nuovo punto di partenza.
Il testo riferisce anche la modalità singolare con cui Dio viene incontro alla richiesta di Mosè: gli offre una cavità, un luogo protetto e isolato per mezzo della roccia, con la possibilità di guardare verso l’esterno. Così Mosè vede passare la gloria splendente di Dio, ma non vede il suo volto: di Dio vede solo le spalle, cioè lo vede mentre va allontanandosi.
Dunque, all’uomo è dato di vedere la vicinanza e, allo stesso tempo, il suo allontanarsi: come a dire che quanto più ci immergiamo nell’oceano sconfinato del suo mistero, tanto più scopriamo quanto esso è profondo; quanto più abbiamo modo di conoscerlo e tanto più appare l’illimitatezza di Colui che è il “totalmente Altro” da noi.
Don Luigi Pedrini