Carissimi Parrocchiani,
dopo la pausa dovuta alle feste natalizie, prima di concludere la riflessione sulle diverse mansioni svolte da Mosè verso il popolo di Israele, vogliamo raccogliere qualche luce per noi riguardo ai servizi che ci sono assegnati.
Prendiamo spunto da questo versetto della Lettera agli Ebrei in cui si legge: In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua (di Dio) casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi (Eb 3,5-6).
Mosè ci insegna che il servizio autentico ha come sua caratteristica fondamentale la fedeltà. Egli era un uomo affidabile di cui ci si poteva fidare; in qualsiasi momento, in qualsiasi difficoltà si poteva contare: lui c’era sempre.
Non solo: in Mosè vediamo pure un uomo che era interamente dedito alla missione che gli era stata affidata, al punto da identificarsi in essa. Non coltivava progetti propri accanto alla missione. Quello che Dio gli andava chiedendo era diventato la sua stessa vita. Il progetto di Dio era diventato il suo progetto.
I santi, avendo ben compreso tutto questo, amano ripetere che la pace sta proprio in questa obbedienza fiduciosa: oboedientia et pax ripeteva spesso Papa Giovanni. Sei lì dove il Signore ti ha chiesto di servire stai in pace. Ti senti inadeguato? Non preoccuparti, non l’hai scelto tu. Dipendesse da te faresti altro, ma non dipende da te e allora adattati a quello che ti viene richiesto, fallo nel migliore dei modi in base alle tue possibilità. Anche Mosè non avrebbe voluto parlare pubblicamente; ma gli è stato chiesto e ha accettato.
È interessante, inoltre, nel versetto della Lettera agli Ebrei la precisazione: “in tutta la sua casa”. La casa di cui si parla è Israele in quanto è la casa di Dio. Pertanto, Mosè essendosi messo al servizio degli israeliti ha servito nella casa del Signore.
Col tempo la coscienza di essere un servitore nella casa di Dio è diventata sempre più viva. A differenza degli anni giovanili in cui egli guardava a Israele come qualcosa di suo e con presunzione riteneva che dipendesse da lui la sua liberazione, ora invece si rende conto che Israele è anzitutto la proprietà di Dio: Dio è la prima gida del suo poplo; egli non è che un collaboratore alla sua opera.
Proprio questa coscienza del primato che spetta a Dio spiega anche la libertà interiore di Mosè nello svolgimento della sua missione. Quando, a un certo punto, Dio gli fa capire che è giunto ormai il tempo di fermarsi, egli prontamente si fa da parte e lascia il suo posto a Giosuè.
Così Mosè sta davanti a noi anche come un esempio luminoso di distacco e di umiltà.
Don Luigi Pedrini