19 Aprile 2015

Carissimi Parrocchiani,

concludo il commento a questa seconda fase della vita di Mosè con una citazione che traggo da La vita di Mosè di san Gregorio di Nissa.

La sua riflessione di carattere spirituale vuole offrire qualche luce anche per il nostro cammino di fede. Ed ecco la sua prima considerazione. Riferendosi alla vita appartata di Mosè nel deserto, scrive: Allorché vivremo solitari, senza dover venire alle mani con gli avversari, senza dover essere arbitri di litigi, ma in unione di pensiero e di sentimenti con i pastori che condividono la nostra vita; quando tutti i moti del nostro spirito saranno unificati sotto la guida della ragione, come un gregge condotto dal suo pastore; quando potremo godere di questa vita tranquilla e senza lotte, la verità risplenderà su di noi e illuminerà con i suoi raggi gli occhi del nostro spirito.

San Gregorio afferma che quando troviamo, dopo un periodo intenso di attività, un tempo per fermarci, vissuto in pace con gli altri (in unione di pensiero e di sentimenti) e con noi stessi (unificati tutti i moti interiori) allora la verità trova spazio in noi e illumina interamente la nostra esistenza: anche noi come Mosè diventiamo spettatori di un roveto che brucia senza consumarsi.

La seconda considerazione riguarda proprio il fatto del roveto ardente che san Gregorio legge come un segno anticipatore del mistero dell’Incarnazione. Il segno umile del roveto è attraversato da un fuoco che arde e non consuma. Ugualmente nel mistero dell’incarnazione: Dio che è luce si è abbassato fino ad assumere la nostra natura umana; nel grembo di Maria si è manifestato nella carne.

Il roveto richiama anche l’umile condizione della natura umana che Dio ha voluto assumere. Non ha voluto venire in mezzo a noi con lo splendore della sua gloria, ma rivestendosi della nostra carne mortale. La luce di Dio – scrive san Gregorio – non risplende di qualche luce stellare – il suo splendore rischierebbe allora di essere confuso con quello di una materia celeste – e tuttavia, pur provenendo da un semplice roveto terreno, supera con i suoi raggi gli astri del cielo. Dunque, questa luce promana da una umanità che è in tutto come la nostra: veramente Dio si è fatto uomo; eppure, questa luce che risplende in un uomo come noi è ben superiore a ogni essere celeste, perché è la luce del Figlio di Dio fatto uomo. Anche il fatto del fuoco che arde senza consumare il roveto rimanda al mistero dell’Incarnazione. È quanto è accaduto nel mistero del parto verginale: il fuoco della divinità, che nascendo ha illuminato il mondo, ha lasciato intatto il roveto che lo ha accolto, e il parto non ha fatto sfiorire la verginità di Maria.

Ed ecco gli insegnamenti che ricava per il nostro cammino spirituale. Anzitutto, questo episodio insegna ciò che dobbiamo fare per rimanere sotto i suoi raggi. Perché la luce del roveto possa illuminare sempre la nostra vita dobbiamo custodire la pace con gli altri e con noi stessi, coltivando una vita virtuosa; in secondo luogo, ci esorta ad accostarci al mistero di Dio in atteggiamento di umiltà: infatti, non possiamo correre con i calzari ai piedi verso il luogo elevato dove si manifesta la luce della verità; … prima dobbiamo spogliare i piedi dell’anima del rivestimento di pelli morte e terrene di cui la nostra natura è stata rivestita, all’inizio, quando per avere disobbedito al comando divino, siano rimasti nudi (da: La vita di Mosé, di Gregorio di Nissa, II,19-22)

Don Luigi Pedrini